Si possono “novare” gli atti di concessione cimiteriale?

Di tanto in tanto può accadere che qualche concessionario richieda di modificare l’atto di concessione per inserire tra i destinatari del diritto d’uso della sepoltura privata in concessione, persone diverse da quelle cui spetta la “riserva” ai sensi dell’art. 93, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. e che non si trovano in alcune della condizioni individuate dal successivo comma 2, per quanto queste due posizioni siano limitate e una subordinata alla definizione di specifici criteri in sede di Regolamento comunale di polizia mortuaria, senza la quale quest’ipotesi non è neppure proponibile.
Più rara, ma non assente, appare la casistica di chi voglia modificare il diritto di sepoltura in senso restrittivo, escludendo alcune persone (oppure, categorie di persone) che avrebbero normalmente diritto di sepoltura nella sepoltura privata.
Quando ciò accada, frequentemente queste richieste nascondono un deterioramento, attuale oppure anche ormai consolidatosi, tra persone della stessa famiglia.
Ma le motivazioni che inducono le persone a richiedere interventi di modifica dell’atto di concessione non interessano, rimanendo nell’ambito del tutto privato ed interpersonale.
Quello che interessa è ben altro, cioè se e quanto queste richieste possano essere accoglibili
Vi sarebbe chi ha ipotizzato che possa farsi riferimento all’istituto della novazione, istituto che viene chiamato in causa talvolta a questi fini.
In realtà, questa impostazione non trova conforto, poiché tale è regolato dal Libro IV “Delle obbligazioni”, Titolo I, Sezione I, Capo IV del Codice Covile, disposizioni che sono del tutto non pertinenti per il fatto – elementare – che il rapporto giuridico che sorge tra comune e concessionario di sepoltura privata (Capo XVIII D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.) non ha minimamente natura di un rapporto di obbligazione, bensì è un rapporto che attribuisce al concessionario il diritto d’uso su beni assoggettati al regime dei beni demaniali, diritto che si avvicina piuttosto ad un diritto assimilabile al diritto di superficie, come in più occasioni acclarato dalla giurisprudenza di legittimità.
Se anche questo istituto fosse, astrattamente, applicabile, si dovrebbe tenere conto delle disposizioni dell’art. 1231 Codice Civile, per il quale rinnovazioni ed altre “variazioni”, incluse quelle sui termini, oppure modifiche accessorie non costituiscono novazione.

Tralasciando la questione dell’istituto cui possa, astrattamente, farsi applicazione, queste richieste sembrano non tenere presente come l’atto di concessione sia in sé stesso un atto stabile, per la durata della concessione, e come tale non suscettibile di variazioni che alterino i fini per cui è sorta la concessione cimiteriale.
È certamente fuori discussione che il concessionario, in occasione della stipula dell’atto di concessione possa intervenire sui soggetti che, in attuazione della concessione così stipulanda, acquisiscono il diritto di sepolcro, estendendo o anche riducendo il novero delle persone rispetto alla previsione stabilita per default dal sopra citato art. 93, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.
Forse non sempre si coglie come un esempio ne sia il caso del sepolcro ereditario, come tale disposto al concessionario/fondatore del sepolcro, in quanto deroga dall’ordinario sepolcro di famiglia (o, gentilizio, essendo questo ultimo termine nel contesto null’altro che un sinonimo) condizione che, in difetto di espressa destinazione del sepolcro ad ereditario – il sepolcro, e i diritti che lo riguardano – si presume sempre essere di famiglia (o, gentilizio), come si evince, ex plurimis, da Corte di Cassazione, Sez. VI^ civ., 22 marzo 2021, ordinanza n. 8020, in cui si legge: “ … secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. U, Ordinanza n. 17122 del 28/06/2018, Rv. 649495 – 01), lo ius sepulchri (diritto di natura reale che garantisce al suo titolare, in caso di decesso, la prerogativa di ottenere sepoltura nella tomba familiare) origina da una duplice fonte di legittimazione, dovendo distinguersi, dal sepolcro ereditario destinato alla circolazione secondo le regole proprie del diritto ereditario, il sepolcro gentilizio, che attribuisce il diritto alla sepoltura ai soli titolari istituiti dall’originario fondatore o, in mancanza, ad esso legati da uno specifico rapporto di consanguineità (iure sanguinis) …”.
La mancata percezione cui si è fatto cenno trova origine dal fatto che il sepolcro ereditario istituto come tale si atteggia, fin dal suo sorgere, come un “qualche cosa” di ben diverso e lontano da questo dal sepolcro di famiglia.
Ma quanto sin qui considerato non considerava il sepolcro ereditario (né la trasformazione di un sepolcro di famiglia in sepolcro ereditario), quanto la possibilità, in corso di durata della concessione, cioè successivamente all’avvenuto sorgere della stessa, di modificare alcuni destinatari del diritto di sepoltura, sia in aggiunta, sia un esclusione, rispetto a persone che erano “naturalmente” in possesso del diritto di sepoltura.
Se nel caso di aggiunta di ulteriori persone, capienza del sepolcro permettendolo, potrebbe anche non aversi lesione di sorta rispetto alla posizione di chi è già titolare del diritto di sepoltura, nel caso di esclusione si avrebbe che in tal modo si andrebbero a privare di un diritto proprio persone che ne siano titolari per disposto normativo.
In pratica si avrebbe una violazione del principio del neminem laedere (non far del male a nessuno, non danneggiare), principio che dovrebbe essere alla base del c.d. vivere civile.

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Sereno Scolaro

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