L’art. 274 “Altre norme applicabili Codice dell’ordinamento militare (D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66 e.m.), presente alla Sez. III del Capo VI “Zone monumentali di guerra, patrimonio” del Titolo II “Singole categorie di beni militari” del Lbro II del Codice, recita:
“[I] Per quanto non stabilito nella presente sezione, vanno osservate le disposizioni relative ai cimiteri comuni stabilite dalla legge sanitaria e dal regolamento di polizia mortuaria.
[II] Le disposizioni di cui all’art. 338, comma 1, dl regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, recante il testo unico delle leggi sanitarie, relative a una distanza minima di 200 metri dei cimiteri dai centri abitati e in genere da ogni edificio, non si applicano ai cimiteri militari di guerra, quando siano trascorsi dieci anni dal seppellimento dell’ultima salma.”
Il sopra citato Codice dell’ordinamento militare considera i (a) sepolcreti di guerra italiani, (b) i cimiteri di guerra stranieri e (c) i cimiteri di guerra italiani all’estero, per i quali possono essere presenti trattati internazionali.
In un caso particolare concernente un cimitero tedesco, realizzato in esecuzione dell’Accordo internazionale tra la Repubblica Italiana e la Repubblica Federale di Germania sottoscritto a Bonn il 22 dicembre 1955, ratificato in Italia con la legge 12 agosto 1957, n. 801.
L’art. 11 del Trattato demanda la gestione del sito cimiteriale per conto del Governo della Repubblica Federale di Germania al Volksbund Deutsche Kriegsgraberfuersorge, abbreviabile in V.D.K., su cui sono intervenute due pronunce della giustizia amministrativa: la più recente è del T.A.R. Veneto, Sez. I, 9 luglio 2024, n. 1803, l’antecedente, del medesimo organo e sezione, 9 gennaio 2023, n. 13.
Interessanti alcuni “passaggi” di questa (antecedente) laddove si sarebbe voluto negare la natura della struttura: “… Ove fosse da considerare solo l’aspetto di carattere igienico sanitario previsto dalla normativa nazionale, il sito di sepoltura di militari caduti in guerra non avrebbe mai potuto essere qualificato come cimitero, dal momento che è stato completato nel 1967, dopo oltre vent’anni dalla fine della seconda guerra mondiale, ed ospita anche dei caduti nella prima guerra mondiale che l’art. 2 del Trattato qualifica ugualmente come “salme”.
Per inciso, V.D.K, precisa che “…. il sito ospita dal 18 luglio 2013 i resti ossei di militari tedeschi rinvenuti a Verona in Piazzale XXV aprile, e dall’11 dicembre 2019 il corpo di un militare tedesco rinvenuto in San Daniele del Friuli nel marzo 2019, e deve pertanto trovare applicazione la fascia di rispetto.
L’elemento di rilievo (che costituisce aspetto di portata più generale) è la differenziazione tra “caduti” (senza precisazione sul loro stato) e “salme”, distinzione che, per altre finalità, è entrato in discussione anche nella pronuncia del T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. I, 28 febbraio 2024, n. 791.
In questo ultimo contenzioso rilevava l’applicazione dell’art. 92, comma 2 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., dato che, a 49 anni, vi era stata la tumulazione di una cassetta ossario che, se trattata come “altro”, avrebbe consentito/legittimato provvedimenti di revoca della concessione cimiteriale, con la considerazione che. “…. irragionevole differenziare l’ipotesi della tumulazione della salma nel loculo con la tumulazione dei soli resti …”.
Tornando al cimitero militare tedesco, il contenzioso originava dall’esigenza delle parti di far dichiarare la struttura non quale cimitero, in funzione di ottenere una riduzione della fascia di rispetto cimiteriale al di sotto del 200 metri.
Ma la deroga presente nell’art. 275, comma 2 Codice dell’ordinamento militare all’applicazione dell’art. 338 T.U.LL.SS., R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 e s.m. (per inciso contenutisticamente presente anche in alcune proposte di legge in itinere che altro non fanno, sul punto, che scrivere una seconda volta un testo già costituente norme di legge, vigente e oltretutto risalente anche da plurimi decenni prima del Codice dell’ordinamento militare) richiede di essere precisata.
Come visto il testo prevede: “… non si applicano non si applicano ai cimiteri militari di guerra, quando siano trascorsi dieci anni dal seppellimento dell’ultima salma”.
Qui torna la questione dei significati dei termini “sepoltura” e “salma”, osservando come per questo secondo siano intervenute norme di rango primario (legge) di matrice regionale, che non agevolano il tutto. Infatti, in tali casi le “salme” non possono essere “seppellite”, procedimento che richiede, almeno, la loro transizione definitoria da “salma” e quella di “cadavere” (forse non guasta una ri-lettura dell’art. 8 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. …).
Superando queste immeditate incoerenze, l’elemento di maggiore chiarezza (si spera) è nella definizione di “seppellimento” che, porta alla pratica della inumazione, che costituisce, nel dimensionamento previsto, il fabbisogno cimiteriale (vorremmo dire il solo che può essere riconosciuto come tale), per effetto, e conseguenza, dell’art. 337 T.U.LL.SS., R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 e s.m.
È ben vero che dal 27 ottobre 1990 il “fabbisogno cimiteriale” è dimensionato sulla base delle inumazioni (in precedenza si computavano i “defunti”, anche se vi fosse la richiesta di altre pratiche funerarie), ma il richiamo, per questo dimensionamento all’art. 58 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., non va isolato dalla previsione dell’immediatamente successivo art. 59 che, non casualmente, disposte che delle aree di cui assicurare il “fabbisogno cimiteriale” “… non deve essere calcolato lo spazio eventualmente riservato ….” (si rinvia alla lettura della norma).
Ecco che la condizione finale presente nell’art. 274, comma 2 Codice dell’ordinamento militare per la deroga (leggi: non applicazione) delle disposizioni dell’art. 338 T.U.LL.SS., R. D. 27 luglio 1934, n. 1265 e s.m., appare di maggiore chiarezza, nel senso che lo stesso termine temporale (10 anni) dal seppellimento dell’ultimo defunto porta, ancora una volta, verso la medesima direzione, cioè quella per cui il caduto de quo sia interessato all’inumazione, termine che non avrebbe senso alcuno se non corrispondesse, soprapponendosi, al turno ordinario di rotazione (art. 82 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.).