Rimozione delle parole

Leggiucchiando un comunicato stampa del Consiglio dei Ministri, tra le altre notizie vi era anche quella relativa ad un programma di emissioni filateliche per celebrare eventi e memorie di eventi.
Dal momento che, in alcuni casi, si trattava di commemorare persone defunte, alcune da secoli, altre da tempi più brevi, si è notare che la formula utilizzata era, più o meno, del tenore: “… nel … anniversario della scomparsa”, come a rifuggire dall’uso del termine morte (presente (i.e.) nell’art. 1 (ed in molti altri successivi) D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., così come nel Titolo X D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 e s.m. rubricato: “Delle registrazioni degli atti di morte”, e neppure del termine decesso, rinvenibile all’art. 3, comma 1, lett. a) L. 30 marzo 2001, n. 130.
Termini che, entrambi, sono abbastanza pacificamente presenti in plurime fonti del diritto, al punto che una qualsiasi elencazione sarebbe deficitaria.
Anzi, nel C.C. l’art. 4 è dedicato alla “commorienza”, situazione che considera la morte di una pluralità di persone.
L’uso di “scomparsa” sembra sottendere una sorta di rimozione di termini, quasi come un gesto apotropaico, scaramantico, cui spesso si può ricorrere al pari di altre formulazioni: “è mancata/o”, “è venuta/o meno”, “non c’è più”, “si è spenta/o”, fino a chi, confidando in ottiche religiose, “è volata/o in cielo”, fino a “non è più tra noi” o all’inglese “beloved (amata/o, beneamata/o, a volte “caro estinto”). Chi più ne ha, più ne metta.
Nei necrologi, spesso questa rimozione è maggiormente sfumata o, almeno, meno presente.

Questa rimozione delle parole pertinenti è notoriamente diffusa e non trova particolari motivazioni, almeno in atti e documenti che intendano assolvere ad una qualche funzione di ufficialità.
Il fenomeno è tanto diffusi che Marina Sozzi, studiosa del settore, ha avviato un sito proprio con questa URL: Si può dire morte? , oppure si potrebbe ricordare, in ambito sovranazionale, la Association for the Study of Death and Society (ASDS) , che si muove nel medesimo campo e, ancora una volta, senza avere paura delle parole.
Si tratta di citazioni che, purtroppo, lasciano fuori altre realtà, altrettanto importanti e che non temono di usare termini pertinenti.
Queste forme di rimozione portano all’etimologia della parola apotropaico, in precedenza utilizzata, le cui radici richiamano oggetti, atti, formulazioni aventi una qualche carica magica idonea ad allontanare presunti, o pretesi, influssi malefici.
Ma questo significa anche rimuovere una qualche presa d’atto del fatto che la morte è un evento (o, meglio, un processo) naturale che interessa in buona sostanza gli esseri viventi, quali essi siano (indipendentemente dai domini e regni di classificazione), dal momento che proprio la qualità di viventi ha in sé un complesso di processi trasformativi, anche se possano essere differenziati.
Se si tenga conto di questa caratteristica non sembrano esservi motivo per ricorrere ad atteggiamenti negatori, dal momento che essi non mutano per nulla la presenza, e le diversità, di questi processi di trasformazione degli esseri viventi, che operano sia nel tempo che nello spazio.

Spesso, nelle fasi del post mortem si considerano determinati processi trasformativi, integrandoli con l’aggettivo “cadaverici”, cosa che non può far dimenticare come la stessa morte sia un processo trasformativo, anche se (sia permessa la battuta scherzosa) sia sempre opportuno rinviarlo quanto più possibile.
Per altro, gli atteggiamenti di rimozione si ripercuotono anche sulle considerazioni sociali, al punto che, in alcune civiltà, chi assolve a funzioni in occasione della morte o del post mortem, viene considerato marginalizzato o esposto ad atteggiamenti di separazione, ma anche le relative attività, imprescindibili, sono poco apprezzate, al punto che costituire, anche abbastanza spesso, un fattore frenante nel reclutamento del personale, come se svolgere attività in questo contesto fosse poco “elegante” o indicativo di una qualche distorsione.
Ecco perché è – dovrebbe essere… – importante riprendere l’assunto di fondo della morte come uno dei tanti fenomeni naturali e fisiologici, anche se possa essere del tutto comprensibile che esso determini effetti sulle persone che abbiano qualche relazione di prossimità con le singole persone decedute.
Si chiama “lutto” e va rispettato, tenendo presente quanto siano forti i sentimenti che ne sono a fondamento.

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Sereno Scolaro

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