All’art. 3, comma 1, lett. a) D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254 “Regolamento recante disciplina della gestione dei rifiuti sanitari a norma dell’articolo 24 della legge 31 luglio 2002, n. 179” (emanato, si ricorda, su Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro della salute) si ritrova la definizione di “parti anatomiche” (si riporta: “a) parti anatomiche riconoscibili: gli arti inferiori, superiori, le parti di essi, di persona o di cadavere a cui sono stati amputati”) e, di seguito si indicano le possibili destinazioni di queste, precisando, al comma 4, che la persona amputata può chiedere – espressamente – che la parte anatomica venga tumulata, inumata o cremata, ecc.
In altre parole è previsto un trattamento di default e, contemporaneamente, si riconosce una legittimazione a disporre in capo alla persona interessata (amputata), legittimazione importante per plurimi motivi, in primis per ragioni di rispetto della dignità della persona, ma che, in qualche modo, si potrebbero anche collegare anche all’art. 5 C.C., in particolare quale una sorta di tutela, di garanzia all’integrità del corpo.
Quando vi sia un’amputazione evidentemente si ha una “sepoltura” (quale sia la pratica funeraria cui venga fatto ricorso) di una “parte” del corpo, la cui componente maggiore può divenirne altrettanto interessata in un momento successivo, in data indeterminata (leggi: non determinata, non determinabile), ma pur sempre probabile ( … ), anche se ne sia incerto il quando.
Di qui possono emergere alcune questioni, da considerare, in particolare, quando intervenga la morte della persona.
Tempo addietro vi era stata la situazione per cui una persona amputata, avvalendosi del sopracitato art. 3, comma 4 D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254, aveva chiesto (espressamente, come previsto) la tumulazione della parte anatomica (arto) amputato, avendo intenzione di accedere, alla morte, alla cremazione e, in tal caso, non solo del corpo ma altresì della parte anatomica amputata.
I familiari, a seguito della morte, avevano chiesto che vi fosse l’estumulazione del contenitore contenente l’arto amputato in modo da far in modo che le due componenti (arto e residua parte del corpo) venissero cremati congiuntamente, in una sorta di riunificazione ideale di queste.
In altra situazione, abbastanza simile, la persona amputata era di confessione islamica e i familiari di questa hanno richiesto che l’arto amputato venisse inumato nel reparto speciale di cui all’art. 100, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. presente in cimitero di prossimità.
A tal fine dichiaravano anche di rinunciare, fin dalla “sepoltura” (inumazione) dell’arto alla futura richiesta d’inumazione della componente residua del corpo, aspetto che ha posto il soggetto gestore del cimitero l’esigenza di valutare il comportamento corretto da seguire nel caso in cui, quando intervenga la morte, vi sia un mutamento dell’orientamento degli aventi titolo, in particolare, ponendosi già la questione se potesse provvedersi all’inumazione nella medesima fossa in cui si trovava l’arto amputato.
A ben vedere nulla o poco muta se vi sia la scelta (o non scelta) per l’inumazione dell’arto, oppure la scelta per la sua tumulazione, oppure la scelta per la cremazione, essendo il tema sempre quello sulla ammissibilità (legittimità) di riunire le due componenti, dato che questa riunione e ricongiungimento avverrebbero sempre in momenti diversi, magari anche a distanze di tempo più o meno rilevanti.
Va considerato come il D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., poco aiuti (non solo per il fatto di essere largamente antecedente al D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254), ma qualche indicazione possa essere intravista.
Ad esempio, l’art. 70, comma 2 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. afferma i principi della a) individualità e (b) individuabilità dell’inumazione, principi rafforzati dal successivo art. 74 (applicabile all’inumazione, ma che spesso è trattato come fosse norma applicabile anche alla tumulazione) con cui si afferma che il cadavere va sepolto in fossa separata dalle altre.
Altrettanto può dirsi per la tumulazione alla luce dell’art. 76, comma 1, nonché per la cremazione alla luce dell’art. 80, comma 2 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. (per quanto riferendosi all’urna), così come per l’art. 3, comma 1, lett. e) L. 30 marzo 2001, n. 130 (anche qui con riguardo all’urna cineraria).
Non guasta neppure ricordare che nello standard CEN EN UNI 15017:2019 (e nella sua versione precedente), l’Annex C “, “Cremation ethics of the International Cremation Federation” prevede (Punto 5): “Each coffin given to the care of a Crematorium shall be cremated separately”.
Anche se i “tempi” della “sepoltura” (indipendentemente da quale pratica funeraria sia fatto ricorso) siano diversi per quanto riguarda la parte anatomica (arto) rispetto alla residua parte del corpo che costituisce/costituirà il cadavere, la questione qui posta rimane sostanzialmente la medesima.
Non interessano le condizioni per l’esumazione (anche alla luce dell’art. 83, comma 1 (per l’inumazione), oppure dell’art. 88 (per la tumulazione) D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.
Non affrontiamo – volutamente – il caso della cremazione dell’arto eseguito nell’immediato seguito dell’amputazione, poiché in tale (astratta) ipotesi si tratterebbe di valutare se, una volta cremato il cadavere, le ceneri risultanti dalla cremazione dell’arto (quante, dimensionalmente?) possano portare alla ricongiunzione con le ceneri risultanti dalla cremazione del cadavere, dove non si vuole entrare per il fatto che questo richiederebbe di aprire un’urna sigillata, ai fini del riversamento del contenuto in quella destinata ad accogliere le ceneri risultanti dalla cremazione del cadavere, cosa che porterebbe a dover ricordare la fattispecie di cui all’art. 349 C.P., magari con l’aggravante del suo comma 2.
Ma si potrebbe – accademicamente – considerare che all’art. 349, comma 1 C.P. è presente una finalità ( … sigilli …. apposti al fine di assicurare la conservazione o la identità di una cosa …).
Tuttavia, nel caso di inumazione o di tumulazione, ogni discussione attorno a tale norma penale non soccorre. Accanto ai due principi sopra indicati ((a) e (b))) dell’individualità e della individuabilità del defunto, un ricongiungimento ed una riunione delle due componenti (arto e residua parte del corpo) rispondono anche all’esigenza di prendere in considerazione la persona defunta come un unicum, dal momento che l’amputazione ha costituito un evento accidentale, rispetto a quello della (successiva) morte, assicurando così una reintegrazione di quell’unità data dal concetto stesso di cadavere.
Oltretutto, ciò risponderebbe ad un principio di tutela della dignità del corpo umano, che non viene meno (anzi!) nel post mortem, unicità tutelata anche dalle norme penali che fanno riferimento ai delitti contro la pietà dei defunti.
Per non dire (e non è proprio secondario) che – in tal modo – si assicura l’altrettanto necessario ed imprescindibile rispetto del lutto in capo ai familiari della persona defunta.