Quelli che non servono, vanno soppressi. Ma come? – 1/2

Come presumibilmente ben noto, le planimetrie cimiteriali previste dall’art. 54 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. vanno aggiornate non sono con una certa periodicità (ogni 5 anni), ma altresì quando siano costruiti nuovi cimiteri o soppressi quelli vecchi, ed in altri casi.
Inoltre, il successivo art. 92, comma 2, ultimo periodo dispone che: “Tutte le concessioni si estinguono con la soppressione del cimitero, salvo quando disposto nell’art. 98”.
In questo modo, si introduce il tema regolato dal Capo XIX D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., la cui prima disposizione (art. 96) sembra contrastarvi, dal momento che dichiarerebbe che nessun cimitero possa essere soppresso: in realtà, il senso della norma è altro, partendo dal presupposto che i cimiteri, per brevità, “idonei” non possano essere soppressi se non per motivi di dimostrata necessità o, altrimenti, che questi motivi consentono anche la soppressione di cimiteri “idonei”.

La valutazione delle motivazioni di necessità, da dimostrare, e rimessa al consiglio comunale, nell’esercizio delle proprie competenze, ai sensi dell’art. 42, comma 2, lett. b) T.U.E.L., D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e s.m., cioè dell’organo di governo avente carattere assembleare e, per questo, maggiormente rappresentativo della popolazione locale.
Questa deliberazione, ferme le procedure interne proprie del consiglio comunale, richiede che sia sentita l’A.S.L. (in alcune regioni è previsto anche un parere dell’A.R.P.A. territorialmente competente), cosa che porta a richiamare il successivo art. 139 stesso T.U.E.L. appena citato, il quale rinvia ulteriormente all’art. 16 L. 7 agosto 1990, n. 241 e s.m., che prevederebbe che gli organi consultivi siano tenuti a rendere i pareri di loro competenza entro 20 giorni dal ricevimento della richiesta e, in difetto, che l’amministrazione possa procedere indipendentemente dall’espressione del parere obbligatorio.
Per altro, il comma 3 di quest’ultima disposizione cui è fatto rinvio, dispone che le disposizioni del comma 1 e 2 del sopra citato art. 16 non trovino applicazione nel caso di pareri che debbano essere rilasciati da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistica, territoriale e della salute dei cittadini, con la conseguenza che cade sia la previsione sui termini, sia quella per cui, in difetto, l’amministrazione possa procedere indipendentemente dal parere.

Una volta deliberata (e divenuta esecutiva la relativa deliberazione) la soppressione di un cimitero, interviene una fase, in realtà sono due fasi) che possono definirsi, rispettivamente, come sospensione della funzione cimiteriale la prima e come bonifica la seconda, consistenti nel fatto che il terreno del cimitero interessato alla soppressione non può essere destinato ad ogni altro utilizzo se non siano trascorsi almeno 15 anni dall’ultima inumazione (art. 97, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.).
In altre parole, vi è una sorta d’isteresi, nel senso etimologico del termine, che comporta che per questo periodo, stabilito nella sua misura minimale, il cimitero debba permanere in una condizione di ordinaria e decorosa manutenzione, sempre soggetto alla vigilanza del comune (art. 51 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.), come se non fosse stato neppure soppresso.
Va evidenziato il fatto che la disposizione citata faccia computare questo termine d’isteresi (o, se lo si voglia: inerziale) rispetto all’ultima inumazione (indifferentemente se questa sia avvenuta prima della soppressione o in itinere del relativo procedimento, mentre, intervenuta l’esecutività della deliberazione di soppressione, questa non può più avvenire, così come non possono avvenire “sepolture” in eventuali sepolture private in concessione), che altro non è se non l’ennesimo segnale normativo per cui la forma ordinaria, normale di sepoltura è quella dell’inumazione nei campi individuati dall’art. 58 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.
Comprensibilmente, una volta assicurata questa pratica funeraria nei termini noti, non si può escludere che alcune aree del cimitero soppresso possano essere state oggetto di concessioni per sepolture private (art. 90), ma queste sono regolate autonomamente.

Una volta decorso il termine di “almeno 15 anni dall’ultima inumazione”, e in tutti i casi prima che il terreno possa essere destinato ad altri usi, il terreno del cimitero soppresso deve essere dissodato diligentemente (si evidenzia l’avverbio) per una profondità di 2 m (che altro non è se non la profondità prevista per le fosse ad inumazione da entrambi gli artt. 72 e 73 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., osservandosi come in queste disposizioni la profondità debba essere “non inferiore” e non “pari” a 2 m), mentre le ossa che si rinvengano sono destinate ad essere depositate nell’ossario comune.
In pratica, si ha qui una previsione che richiama alla memoria quanto prevede l’art. 85, comma 1, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., ma da cui si discosta per il fatto di non considerare la possibilità offerta dalla parte finale della disposizione de quo, che, come noto, recita: “… , a meno che coloro che vi abbiano interesse facciano domanda di raccoglierle per deporle in cellette o loculi posti entro il recinto del cimitero ed avuti in concessione”, cosa che si giustifica con l’avvenuta soppressione del cimitero.
Si tratta di una disposizione che porta con sé anche la conseguenza che queste ossa non siano destinate ad un qualche trasferimento nel nuovo cimitero, se non nell’ossario comune realizzato nel nuovo cimitero (o, se non vi sia un nuovo cimitero, in altro cimitero del comune, facendosi notare come l’intero Capo XIX sembri ipotizzare che alla soppressione di un cimitero consegua la costruzione di altro, non tenendo conto come potrebbe aversi la soppressione di un cimitero e l’uso di altro cimitero, esistente, nel medesimo comune (si pensi ad ipotesi di soppressione di qualche cimitero di frazione che sia stata interessata da fenomeni di spopolamento).
Si darà come scontato, o implicito, che quando qui si userà “nuovo” si abbia presente come potrebbe anche riferirsi ad altro cimitero del medesimo comune).

Qui sorge, piuttosto, un ulteriore elemento da considerare (e raramente “messo a fuoco”): dato che ogni cimitero deve essere dotato di proprio ossario comune, le ossa già in precedenza, prima della soppressione, risultavano depositate nell’ossario comune del cimitero soppresso devono essere traslate (nel rispetto delle procedure di cui all’art. 36 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.) nel nuovo cimitero (o in altro cimitero)?
In difetto di indicazioni più o meno espresse del Regolamento (nazionale) di polizia mortuaria, va ritenuto, in via interpretativa, che debba aversi questo trasferimento, valutando come, in caso opposto, si avrebbe un ossario comune “abbandonato” in un’area che, prima o poi, verrebbe del tutto dismessa come area cimiteriale e prima o poi, nuovamente, destinato o destinabile ad altri usi, probabilmente del tutto “non cimiteriali”.
Sarebbe una soluzione che non risulterebbe coerente, anzi contrastante, con le disposizioni, di ordine pubblico interno, dell’art. 340 T.U.LL.SS., R. D. 27 luglio 1934, n. 1265 e s.m.

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Sereno Scolaro

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