Quando la responsabilizzazione non ha responsabilizzato

Si vuole, qui, apportare qualche luce su di un tema poco considerato, cioè sui rapporti tra fabbisogno cimiteriale e piano regolatore cimiteriale, poco considerato per il fatto che se ne sono perdute, attraverso i diversi mutamenti normativi, le motivazioni, le origini.
L’art. 58 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., attuando l’art. 337 T.U.LL.SS., R. D. 27 luglio 1934, n. 1265 e s.m., individua i criteri per il dimensionamento della superficie necessaria da assicurare per i campi ad inumazione, sulla base della “domanda” di inumazioni nell’ultimo decennio, ma tenendo presente anche la componente di “domanda” derivante dalle estumulazioni (art. 86, commi 2, e (e 4) stesso D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.), nonché eventuali eventi straordinari.
Per inciso, si rammenta come nella normativa regolamentare nazionale antecedente non si considerassero a questo fine le inumazioni, ma i defunti, anche se accolti in altre tipologie di pratiche funerarie (tumulazione, o cremazione anche se questa, nel 1990, avesse lieve incidenza).
L’immediatamente successivo art. 59 individua le aree che, per le loro destinazioni, non devono essere considerate nella superficie determinata nel rispetto dei criteri anzidetti.
L’accoppiata tra gli artt. 58 e 59 non possono che far richiamare gli artt. 58 e 59 (accidentalmente aventi la medesima numerazione) R.D. 6 settembre 1874, n. 2120, dove il primo prevedeva:
Art. 58 – Il terreno destinato a cimitero deve essere dieci volte più esteso dello spazio necessario pel numero presunto dei morti, che debbono esservi sepolti in ciascun anno, e dev’essere chiuso all’intorno da un muro.”, mentre il secondo:
Art. 59 – Nello spazio destinato a cimitero non è compresa quella estensione che il municipio può destinare per le sepolture private, o riserbare a titolo di onoranza per la sepoltura dei cittadini illustri e benemeriti del paese”.
Ne consegue che questi criteri vanno a costituire il contenuto sostanziale del fabbisogno cimiteriale, che è rilevante sotto differenti profili: si pensi all’espresso richiamo fattone al successivo art. 92, comma 2.
Quest’ultimo richiamo porta a dare conto del fatto che, in alcune realtà, non sono mancate, né mancano tuttora, orientamenti che “leggono” il fabbisogno cimiteriale come estensibile anche ad altre tipologie di “sepolture”, cosa maggiormente rilevabile in aree in cui prevalgono altre pratiche funerarie (segnatamente, quella della tumulazione) e l’inumazione p affetta, nelle percezioni sociali locali, da un certo quale stigma.
Si tratta di orientamenti che, in luogo di suggerire soluzioni a problematiche di matrice ultradecennale, nei fatti favoriscono il permanere di distorsioni nella gestione cimiteriale.

Accanto al richiamo appena fatto all’art. 92, comma 2 Regolamento (nazionale) di polizia mortuaria, deve farsi richiamo all’art. 91 per il quale “le aree destinate alla costruzione di sepolture private debbono essere previste nei piani regolatori cimiteriali di cui agli articoli 54 e seguenti, con una formulazione che, non casualmente, si ricollega all’art. 59, lett. a) già precedentemente citato.
Anche se in questo caso la portata dei piani regolatori cimiteriali è impostata in termini del tutto minimali, ne deriva (deriverebbe?) che, almeno nelle planimetrie, vi sia una previsione di specifica destinazione delle aree, in quanto eccedenti il fabbisogno cimiteriale.
Disposizione corrispondente era stata introdotta, per la prima volta, col D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803 (art. 92), che ha risposto ad una scelta di responsabilizzazione dei comuni nel senso di porli nella condizione di potersi autoregolare in proposito, fermo il mantenimento del principio di sufficienza del fabbisogno cimiteriale.
Infatti, l’art. 69 R.D. 21 dicembre 1942, n. 1880 prevedeva:
“[I] La concessioni podestarili di cui al precedente articolo sono subordinate al nulla osta del Prefetto.
[II] A tale scopo il podestà deve corredare la relativa deliberazione dei seguenti documenti: piano regolatore del cimitero, dal quale risulti quale sia l’area per i campi comuni di inumazione e quale quella che si intende riservare alle sepolture private; dati sulla mortalità annuale accertata nel comune durante l’ultimo decennio, calcolo del presuntivo aumento annuo della popolazione.”, dove era evidente una forma di controllo (autorizzazione) dall’esterno ai fini di assicurare la costanza della disponibilità di aree per le sepolture a sistema d’inumazione, rispettando predeterminati parametri quantitativi in relazione ai defunti (indipendentemente dalla pratica funeraria utilizzata; la presa in considerazione delle sole inumazione nel decennio, come già ricordato, è stata introdotta solo nel 1990).
Solo per memoria e maggiore comprensione, si porta anche l’art. 47 stesso R.D. 1880:
“[I] Ogni cimitero deve avere campi comuni destinati alla sepoltura per inumazione, scelti tenendo conto della loro idoneità in rapporto alla struttura meccanica e fisica del suolo e della distanza dalla falda freatica.
[II] Nei singoli campi comuni devono preventivamente designarsi i posti delle fosse individuali in base al apposito piano distributore, dividendole in riquadri proporzionali al numero delle inumazioni in un anno e al previsto periodo di rotazione in modo che una fossa sia accanto all’altra in file continuate, simmetricamente ai muri di cinta ed ai viali interni di comunicazione.
[III] Lo spazio necessario per un anno deve calcolarsi su media annuale dei morti durante l’ultimo decennio.
È da ritenersi sufficiente il rapporto di 73 morti, di età oltre i 10 anni, e di 27, di età al di sotto dei 10 anni, per ogni cento morti, salvo che il Ministro per l’interno non disponga diversamente in rapporto a variazione dei coefficiente di mortalità per età.”

Si aggiunge, altresì, che l’indicazione di 27 fosse per morti fino a 10 anni ogni 100 di morti totali, era in precedenza di 46 (ogni 100) e l’età computata fino a 7 anni (art. 61 R.D. 11 gennaio 1891, n. 42, nonché art. 61 R.D. 25 luglio 1892, n. 448).
Il percorso precedente, che vedeva l’autorizzazione prefettizia, con logiche di ingerenza governativa del passato (ormai contrastante con l’art. 5 Cost.), è stato evidentemente sostituito da un processo che prima abbiamo definito di responsabilizzazione da parte dei comuni, in termini di riconoscimento della loro autonomia.

In numerose località, vi sono comuni che tuttora sono privi di piano regolatore cimiteriale, anche nei termini minimali previsti dall’art. 91 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., per cui verrebbe da chiederci come sia stato possibile, costituendo questa strumentazione una pre-condizione di legittimità, far luogo al sorgere di concessioni di sepolture private nel cimiteri, essendo queste disposizioni vigenti fin dal 10 febbraio 1976.
Non si esprimono giudizi di merito, ma unicamente si constata una situazione in cui ogni impostazione gestionale delle attività cimiteriali è stata, quanto meno, immeditata.
In altre parole, non è stata colta, o non si e voluta cogliere, la complessità delle opzioni, le opportunità che potevano raggiungersi esercitando con una certa ponderazione una qualche programmazione.

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Sereno Scolaro

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