Le schede di morte ISTAT/D.4 (e D.4-bis, per i decessi che avvengano nel 1° anno di vita) sono redatte su moduli standard predisposti dall’ISTAT, in duplice esemplare, uno dei quali reca l’indicazione “copia per l’ISTAT” e l’altro quella di “copia per l’ASL“, anche se i due esemplari sono di pari contenuto.
Un tempo vi erano 2 schede, distinte per sesso (D.4 per i maschi e D.5 per le femmine), dato oggi incluso nell’unico formato.
La Parte A è destinata all’indicazione di notizie propriamente sanitarie (sesso, luogo del decesso ed altro, sequenza delle condizioni morbose, altri stati morbosi rilevanti, eventuali indicazioni nei casi di morte da traumatismo/avvelenamento), parte compilata e sottoscritta (con la presenza della formula “secondo scienza e coscienza”) dal medico.
La Parte B è destinata a notizie di fonte anagrafica e di stato civile ed è compilata e sottoscritta dall’Ufficiale dello stato civile.
È possibile che, stante il tempo trascorso (oltre una quarantina d’anni), qualcuno non abbia memoria del motivo per cui si sia pervenuti a questa impostazione, cioè ai due esemplari di pari contenuto, tra loro distinti per la sola indicazione del destinatario (ISTAT / ASL).
Diciamo subito che la prima (“copia per l’ISTAT”) segue i flussi delle statistiche demografiche della popolazione, così come le schede ISTAT di nascita o le schede ISTAT di matrimonio, nonché quelle relative ai c.d. movimenti della popolazione. La seconda è il risultato di alcune vicende.
Vi è stata, a suo tempo, una regione che assolveva al ruolo di capofila in materia, in cui è emersa l’opportunità di rilevare con una certa uniformità le cause di morte per pervenire ad elaborazioni utili ai fini della programmazione sanitaria. Rendendosi conto che questo comportava, allora, un’acquisizione di dati presso i comuni e, al loro interno, presso gli uffici dello stato civile, è stata interessata ANCI che ha indirizzato una nota al Ministero di Grazia e Giustizia, nella sua (allora) veste di autorità di vigilanza sul servizio dello stato civile, il quale ha emanato una circolare della Dir. A.C. e L.P., Ufficio 1°, n. 1/58 v.5 (81) 545 del 6 settembre 1984 (indicazioni riprese 10 anni dopo), con cui indicava (dava istruzioni?) agli Ufficiali dello stato civile di inoltrare copia (fotocopia …) delle schede di morte alle rispettive ASL.
L’ISTAT non era particolarmente d’accordo (anzi!), anche richiamandosi al c.d. segreto statistico (art. 10 D. Lgs. 6 settembre 1989, n. 322), con la conseguenza del coinvolgimento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, il cui Ufficio Legislativo ha espresso l’avviso che la scheda di morte avesse principalmente finalità sanitarie ed epidemiologiche, restando le finalità statistiche sostanzialmente strumentali alle prime.
Al tempo, non erano particolarmente puntuali disposizioni, come è oggi, in materia di protezione dei dati personali, né vi era pari sensibilità.
Si ricorda che la prima legge in proposito è stata la L. 31 dicembre 1996, n. 675, cui hanno fatto seguito altri atti normativi di rango primario.
Cosa che ha portato alla formazione dei due esemplari, identici, ma con differenti destinatari.
La vicenda ha poi avuto effetti che meritano di essere ricordati.
Una volta acquisite le notizie sulle cause di morte, le ASL, almeno nella regione promotrice (e, forse, neppure tutte con la medesima diligenza), hanno iniziato a produrre tabulati delle cause di morte, più o meno corposi, a seconda delle consistenza di popolazione dei diversi comuni, trasmettendone copia ai sindaci dei comuni.
In alcuni casi, questi tabulati non sono stati neppure oggetto di una qualche consultazione, ma in altri questa vi è stata, a volte anche attenta, rivelandosi come alcune frequenza di cause di morte costituissero segno che nel comune erano insediate “lavorazioni insalubri” (artt. 216 e 217 T.U.LL.SS., R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 e s.m.), rispetto a cui i sindaci, nella veste di autorità sanitaria locale, avrebbero dovuto adottare provvedimenti.
Non è che non si conoscessero gli insediamenti di tali “lavorazioni insalubri”, ma l’emersione di date frequenze di alcune cause di morte rendeva esplicita una situazione non facile da affrontare.
Infatti, eventuali provvedimenti avrebbero potuto comportare il trasferimento altrove di attività, con effetti sull’occupazione, con la traslazione altrove delle criticità, per non dire degli atteggiamenti dei titolari di queste “lavorazioni”, e molto altro.
Va riconosciuto che si trattava in molti casi di provvedimenti di non facile adozione, per cui è stata scelta la linea dello “scopare la polvere sotto al tappeto”, in luogo di operare in coerenza con le risultanze rilevate.
Di fatto, la produzione, e trasmissione ai comuni, di questi tabulati ha durato per 2-3 anni, con la decisione di non provvedervi ulteriormente.
Il personale (si chiamava Gianfranco, per gli amici Franco …) dell’ASL che aveva progettato e (ben) realizzato, anche sotto il profilo informatico, la rilevazione è stato trasferito ad altre funzioni, cioè ad attività (molto, proprio molto) operative presso un Distretto Sanitario di Base e la regione è riuscita a fare in modo che il ruolo di capofila venisse attribuito ad altra regione, confinante.
Si è trattato, ancora una volta, della difficoltà di operare con coerenza e usare la disponibilità di dati come oggettivi strumenti di programmazione, al di là delle parole altisonanti.