Potestà regolamentare: una regola e due eccezioni

Avendosi presente la distinzione tra norme di rango primario (leggi ed altri atti aventi forza di legge, inclusi i Regolamenti dell’Unione europea, in quanto direttamente applicabili in ciascun Stato membro) e le norme di rango secondario (regolamenti), è noto come l’esercizio della potestà regolamentare trovi regolazione costituzionale nell’art. 117, comma 6 Cost.
Prima di cercare di delineare i principi che da questa disposizione emergono, non si può evitare di ricordare come in date materie e per dati livelli di governo (art. 114 Cost.) vi siano e vi siano stati casi in cui la potestà regolamentare aveva/ha fonte in leggi ordinarie.
Se ne può citare, quale esempio, il caso dell’art. 7 (e, per gli aspetti sanzionatori, l’art. 7-bis (che salvaguarda la riserva di legge di cui agli artt. 23 e 25 Cost.) T.U.E.L., D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e s.m.

La disposizione costituzionale che affronta l’esercizio della potestà regolamentare, sopra citata, introduce una regola, nonché due eccezioni.
La regola è molto semplice, nel senso che la potestà regolamentare è attribuita (anzi …. spetta) allo Stato, nelle materie in cui sussiste la competenza legislativa – esclusiva – dello Stato, nonché alle Regioni in tutte le altre materie: si potrebbe riformulare il concetto affermando che la potestà regolamentare è, di norma (qui entra in gioco una delle due eccezioni), in capo al soggetto cui spetta la competenza legislativa.

Essendosi anticipato che vi sono due eccezioni a questa regola, l’eccezione n. 1 è quella per cui lo Stato, nelle materie in cui ha competenza legislativa – esclusiva – può delegare l’esercizio della potestà regolamentare alle Regioni.
L’eccezione n. 2 appare di maggiore interesse, dato che essa riguarda una potestà regolamentare sussistente in capo a soggetti … privi di potestà legislativa. Si tratta dei comuni, province e città metropolitane, la cui potestà regolamentare sussiste in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite”.
A questo punto, può essere utile raffrontare quest’ambito (costituzionale!) della potestà regolamentare, in particolare per il fatto che già norma di rango primario prevedeva altrettanto. Il già richiamato art. 7 T.U.E.L., D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e s.m. recita: “1. Nel rispetto dei principi fissati dalla legge e dello statuto, il comune e la provincia adottano regolamenti nelle materie di propria competenza ed in particolare per l’organizzazione e il funzionamento delle istituzioni e degli organismi di partecipazione, per il funzionamento degli organi e degli uffici e per l’esercizio delle funzioni.”, suggerendosi di confrontare il testo della norma costituzionale con quello del T.U.E.L.

Vi sono assonanza, ma anche differenze, la principale riguardante il riferimento allo statuto (Art. 114, comma 2 Cost. “I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i princìpi fissati dalla Costituzione”, da cui è stata tratta, dalla giurisprudenza di legittimità, la formulazione secondo cui lo statuto avrebbe natura pre-primaria, collocandosi tra la legge ordinaria (norma di rango primario) e la Costituzione, ma tale impianto interpretativo non appare sempre condiviso, solo se si consideri come (sempre in ambito di giurisprudenza di legittimità) la Corte di Cassazione, Sez. Unite, 16 giugno 2005, n. 12868 ha affermato che lo statuto comunale non è più in rapporto di gerarchia rispetto alla legge ma è da considerarsi come strumento di integrazione ed adattamento dell’autonomia locale ai principi derogabili dalla legge, ma rimarrebbe pur sempre in posizione subordinata alla legge: se ne trae la conclusione che lo statuto male si adatta alla semplice individuazione delle fonti del diritto (e loro gerarchia) quale data dall’art. 1 Disposizioni sulla legge in generale, c.d. anche Preleggi), il che non deve stupire solo se si consideri come queste ultime siano precedenti alla Costituzione, in particolare al suo testo attualmente vigente.

Nell’eccezione n. 2 va tenuto ben presente la rilevanza del fatto che la disposizione costituzionale (art. 117, comma 6, terzo periodo Cost.) considera (… hanno potestà regolamentare in ordine ….) livelli di governo del tutto sprovvisti di potestà legislativa.
Si tratta di questione da non sottovalutare (non è mancata occasione di leggere testi pubblicati sul web dove si diceva: “Legislazione comunale”, cosa che non stupisce dato che questa fonte ospita “di tutto e di più, incluso il suo contrario”, ma anche costituisce un ulteriore, aggiuntivo segnale circa la qualità di chi possa essere ritenuto autore di testi consimili.

In conclusione, pare utile fare richiamo all’art. 4 delle già citate “Preleggi” che recita: “[I] I regolamenti non possono contenere norme contrarie alle disposizioni di legge [II] I regolamenti emanati a norma del secondo comma dell’art. 3 non possono nemmeno dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo”.
Si hanno qui dei “paletti” abbastanza precisi e, secondo noi, esenti da equivocità in materia di esercizio della potestà regolamentare da parte dei soggetti considerati nell’eccezione n. 2, rispetto a cui non occorre dire molto altro, anche se talvolta si sono visti, e si possono ancora vedere, “tecniche redazionali” che non ne tengono in conto, magari “riproducendo” norme (sia di rango primario, sia di rango secondario) già presenti in altre fonti, siano esse di competenza dello Stato oppure delle Regioni.
Forse queste “tecniche redazionali” ingenuamente immaginano di poter pervenire, nell’esercizio della potestà regolamentare, a redigere “codici”, “testi unici” (od unificati), riunendo in un unico elaborato disposizioni che a rigore meritano fonti proprie e pertinenti.

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Sereno Scolaro

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