L’art. 106 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., innovando sulla precedente regolamentazione nazionale, ha introdotto indicazioni volte a consentire, previa autorizzazione, di ricorrere a speciali prescrizioni tecniche sia per la costruzione e ristrutturazione dei cimiteri, sia per l’utilizzazione delle strutture cimiteriali esistenti alla data di entrata in vigore dello stesso Regolamento e, con la circolare del Ministero della sanità n. 24 del 24 giugno 1993, al Punto 16), nonché Modelli allegati, ha fornito indicazioni attuative di questa possibilità.
L’introduzione di una tale ammissibilità di “speciali prescrizioni tecniche” nasce dalla presa d’atto che molti cimiteri, o, se lo si voglia, molte costruzioni effettuate all’interno di questi, presentano caratteristiche tecnico-costruttive non esattamente corrispondenti a quelle attuali (molte delle quali non sono che la “ri-scrittura” (riproposizione grosso modo pari pari, salvo variazioni di scarso rilievo) di quelle antecedenti, almeno a partire dagli ultimi 80 anni).
Come noto, le prescrizioni che hanno riguardo alle caratteristiche tecnico-costruttive, per i posti feretro a sistema di tumulazione, sono dettate dall’art. 76 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., ma non si possono dimenticare le “indicazioni” (non si tratta di norme regolamentari) presenti nel Punto 13) della già ricordata circolare del Ministero della sanità n. 24 del 24 giugno 1993 (in qualche regione è stata scelta la strada di definire diversamente alcuni aspetti tra quelli considerati dal citato Punto della circolare ministeriale).
La situazione affrontata dall’art. 106 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. è andata nella direzione di ottenere, attraverso l’autorizzazione alle “speciali prescrizioni tecniche”, di consentire di mantenere l’utilizzo di posti feretro a sistema di tumulazione, anche quando, in ragione dell’epoca della loro costruzione, non rispondessero alle prescrizioni tecnico-costruttive “attuali”, cosa importante per una piena valorizzazione del cimitero in quanto tale, mantenimento che risponde – e contemporaneamente – sia alle esigenze delle famiglie concessionarie e sia alle esigenze del comune (o, del soggetto gestore del cimitero, nel caso di affidamento del servizio cimiteriale ad altri soggetti, in conformità alle disposizioni legislative in materia).
Oltretutto, la formulazione temporale cui è stato fatto ricorso (testualmente: … esistenti alla data di entrata in vigore del presente regolamento) risulta opportunamente ampia, di modo da consentire una pluralità di soluzioni.
Dato che, come già enunciato, le prescrizioni tecnico-costruttive sono date dall’art. 76 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., potremmo chiederci se l’opportunità fornite dall’art. 106, citato fin dall’inizio, debba, o possa, limitarsi a tenere conto solo di queste, oppure che non sia il caso di avere uno sguardo alla situazioni di fatto esistente in molte realtà cimiteriali e, quindi, quanto questa opportunità possa essere oggetto di fruizione.
Un esempio: non mancano situazioni in cui posti feretro a sistema di tumulazione sono stati, a suo tempo, realizzati per più file sovrapposte (cosa in sé stessa ammissibile; art. 76, comma 2), ma in strutture epigee dotate di copertura, laddove la fila maggiormente alta ha, sul punto superiore, connessione diretta con la copertura, situazione che, anche quando si utilizzino apparecchiature di sollevamento dei feretri, rende del tutto difficile, quando non impossibile, l’esecuzione delle operazioni di collocamento del feretro all’interno del vano del posto feretro a sistema di tumulazione.
In certe circostanze, situazioni abbastanza simili possono aversi anche nei posti feretro a sistema di tumulazione ipogei, dove, con una certa frequenza (specie per costruzioni abbastanza risalenti nel tempo), può non aversi lo spazio esterno libero per il diretto accesso al feretro (art. 76, comma 3).
Non mancano situazioni in cui i posti feretro a sistema di tumulazione siano stati realizzati con un sistema “cuniculare”, cioè con la formazione di un “vano” di 75 x 70 cm (usiamo strumentalmente le misure indicate al Punto 13.2), primo periodo della circolare del Ministero della sanità n. 24 del 24 giugno 1993 solo per semplicità espositiva) con la conseguenza che il primo feretro accolto è stato collocato all’interno, il secondo successivamente “sospingendo” (trascuriamo volutamente le difficoltà di questi “sospingimenti”, dato che pressoché mai (diciamo: mai!) i feretri sono dotati di rotelle o simili in vista di queste operazioni) in avanti il primo e analogamente per i successivi.
Si tratta, comprensibilmente di situazioni non rispondenti alla prescrizione dell’art. 76, comma 3, dove la questione dello “spazio esterno libero” non si pone solo in relazione alle operazioni di tumulazione, ma – soprattutto – in occasione delle operazioni di estumulazione, laddove non è proprio agevole provvedere alla movimentazione di più feretri “infilati” l’uno di seguito all’altro, magari solo al fine di estumulare il primo feretro (o i primi feretri) a suo tempo tumulato.
Il termine “agevole”, in situazioni di tal fatta, è del tutto improprio, dovendosi fare ricorso ad altro, maggiormente cogente, cioè “impossibilità”, in quanto in presenza di un “cunicolo” delle dimensioni indicate (a volte anche minori) non è possibile il ricorso a strumentazioni idonee all’esecuzione delle operazioni, ma neppure alcuna operatività da parte del personale addettovi, che non può, in spazi così contenuti, accedere e men che meno eseguire operazioni di sorta.
Si tratta di situazioni variamente presenti, e più o meno diffuse, che mettono in evidenza come le prescrizioni tecnico-costruttive dell’art. 76 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. non si esauriscano nel (solo) rispetto di esse, ma richiedono altresì che si debbano avere anche le condizioni per osservare altre “prescrizioni”, in primis quelle poste dal D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 e s.m. “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”, che non costituiscono un “orpello”, più o meno aggirabile, ma hanno natura sostanziale e imprescindibile.
Si tratta di argomento che, eventualmente congiuntamente ad altri, consente di poter sostenere un’interpretazione anche evolutiva dell’art. 106.
Quanti pensino che la gestione cimiteriale sia “affare” tutto sommato semplice e riducibile a poche operazioni (magari preoccupandosi più delle vegetazioni spontanee delle c.d. “erbacce” o dello svuotamento periodico dei cestini raccogli rifiuti), dovrebbero considerare come le diversità delle tecniche costruttive evolutesi nel tempo (risalendo alle tecniche in uso al momento della costruzione del cimitero e, via via, modificatesi successivamente) abbiano comportato il formarsi di situazioni che non sono più gestibili, spesso neppure è possibile ricorrere all’uso di apparecchiature o strumenti ad hoc e che va posta adeguata attenzione alle situazioni che sono comunque presenti nelle diverse realtà locali.
Ora, l’opportunità fornita dall’art. 106, che, si ricorda, si applica alle “… strutture esistenti alla data di entrata in vigore ….” (cioè, esistenti alla data del 27 ottobre 1990) potrebbe essere fruita anche per dare “soluzioni” a problematiche ben più estese rispetto a quelle cui parrebbe, in prima battuta, riferirsi l’art. 106 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.
La sola remora che ci pare possa emergere da un approccio in questo senso della norma regolamentare pare essere se quanti, ciascuno nell’esercizio del proprio ruolo, siano chiamati all’istruttoria, all’esame delle soluzioni ed alla formazione del provvedimento di autorizzazione delle “speciali prescrizioni tecniche” siano nelle condizioni di cogliere le esigenze di fondo cui risponde quest’opportunità.