Premessa
In plurime occasioni vi è stato modo di rilevare come l’istituto della perpetuità nelle concessioni cimiteriali costituisca un fattore di criticità, di cui sta ampiamente crescendo la percezione della sua gravità, ma raramente (per non dire pressoché mai) questo istituto è affrontato con un’ottica che parte dalle famiglie, cioè da chi ne sia, in un certo senso, fruitore.
Dell’istituto della perpetuità si trova traccia fin dall’art. 100 R.D. 11 gennaio 1891, n. 42, riprodotto nel R.D. 25 luglio 1892, n. 448 (norma questa rimasta vigente fino al 30 giugno 1943), comunque sempre come un’opzione accanto a quella, sempre indicata nell’ordine come prima, delle concessioni a tempo determinato.
In alcune realtà, la scelta tra queste due opzioni è avvenuta in modo sui generis nel senso di fare ricorso all’istituto della perpetuità corredato da un procedimento di rinnovo da richiedere dopo un certo tempo (in alcuni casi, dopo 30 anni).
In prima battuta, può apparire una soluzione intelligente, specie per mantenere aggiornata la conoscenza delle persone interessate (sia come titolari, sia come aventi titolo ad essere accolte nel sepolcro), ma poi, se si vada oltre alle sole formule testuali utilizzate, per cui formalmente, cioè negli atti concessori, si usava la formulazione di concessione data in perpetuo, e si cerca di riconoscere l’elemento sostanziale che regola questi rapporti, senza lasciarsi condizionare dal mero nomen iuris, potrebbe pervenirsi ad osservare come venga ad emergere altro.
Il rapporto sostanziale di queste tipologie sarebbe oggettivamente quello di una concessione a tempo determinato, collegata all’ipotesi che vi sia un titolo a richiedere il rinnovo, cioè rimettendo la continuità del rapporto alla volontà delle famiglie (in altre parole, la concessione prosegue se ed in quanto le famiglie lo vogliano, ne abbiano interesse …), con un impianto per cui l’Amministrazione Comunale ha “rinunciato”, per il futuro rispetto al momento originario della concessione, a fruire, in tempi successivi, della titolarità di valutare, momento per momento, l’opportunità di accedere ad un’eventuale richiesta di rinnovo, essendo quest’ultima sempre e solo una facoltà per il comune, quale titolare dell’esercizio della demanialità dell’area cimiteriale.
Va rammentato che, quando si parli (generalmente, nel Regolamento comunale di polizia mortuaria, ma, talora, anche per mera prassi consuetudinaria) di rinnovo di una concessione cimiteriale, questo istituto costituisce sempre una facoltà del tutto discrezionale e che può essere accolta o meno, senza che debba neppure darsene motivazione, valutando, nel momento in cui ve ne sia richiesta, se sussistano ragioni o meno per accoglierlo: si tratta di un principio di ordine generale, che presenta due sole eccezioni, entrambe fondate su norme, di legge, attuative dell’art. 8, comma 3 Cost.
In proposito, anche per il fatto che il comune ha malamente argomentato i propri assunti, utilizzando istituti non pertinenti (e, sembrerebbe, neppure localmente presenti), mescolandoli sommariamente, non può omettersi di rinviare alla pronuncia della Corte di Cassazione, Sez. 1^ civ., 22 giugno 2023, n. 18001, in cui si affronta proprio la questione delle concessioni perpetue strictu sensu e le (sedicenti) concessioni perpetue con previsione di rinnovo a data periodicità.
La questione delle estumulazioni
L’art. 65 R.D. 21 dicembre 1942, n. 1880, entrato in vigore il 1° luglio 1943, il cui comma 1 recitava:
“Art. 65.- Le estumulazioni, quando non si tratti di salme tumulate in sepolture private a concessione perpetua, si eseguono allo scadere del periodo della concessione ed esse sono regolate dal custode.
Si tratta di disposizione mantenuta nel D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803 e, di seguito, nell’art. 86 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. Concerne una previsione che formula (o, forse, si dovrebbe dire: “formulerebbe” in quanto frequentemente non osservata) due principi: il primo (regola) che le estumulazioni di eseguono alla scadenza della concessione, il secondo (eccezione) che la predetta regola non si applica quando si tratti di salme tumulate in sepolture private a concessione perpetua, nelle quali ultime l’estumulazione non può (o, c.s. “potrebbe”) avere luogo.
Ma quest’ultimo presenta criticità immediatamente comprensibili dal momento che o porta, prima o poi, alla saturazione della capienza del sepolcro (art. 93, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., limite che, per altro, si porrebbe anche se non fosse normato, per ragioni meramente di spazio), raggiunta la quale il sepolcro diventa, anche solo spazialmente, non più utilizzabile.
Tuttavia, una tale criticità non manca di rilevare anche nei sepolcri aventi durata a tempo determinato, solo se si consideri come la scadenza della concessione, porti all’inutilizzo del sepolcro per il venire meno del titolo a fruirne, cioè per esaurimento della funzione (di accoglimento di feretri e, di seguito, della loro conservazione) per sopravvenuta cessazione (con la scadenza) del titolo.
In due precedenti evenienze si è utilizzato, in quella sede, il condizionale, in quanto in numerose realtà sono stati ricercati “strumenti” (quel “… frequentemente non osservata …) per superare questa limitazione, partendo dal presupposto di consentire, nel tempo, un ri-uso del sepolcro, in modo da non subire senza limiti temporali la limitazione, fisica, spaziale, data dal raggiungimento della saturazione della capienza.
Infatti, che senso avrebbe, anche per le famiglie, disporre di un sepolcro senza limiti temporali in cui, a un certo punto, non possono collocarsi ulteriori feretri, ma sono conservati feretri di defunti di cui, progressivamente, viene meno la memoria familiare, se non quella che risulti consolidata nelle iscrizioni.
Il lutto è un fenomeno oggetto di elaborazione e che tende, con una progressività che può variare tra le persone (così come tra gli ambienti in cui vivano), a smorsarsi. Gli stessi rituali post mortem a seguito di un decesso sono, generalmente, cadenzati con andamenti che progressivamente si dilatano: dal settimo giorno, al trentesimo giorno, fino all’anniversario (e , poi, anche gli anniversari tendono a distanziarsi per le più diverse motivazioni).
Gli “strumenti” possono andare da quello principale di esplicite previsioni nel Regolamento comunale di polizia mortuaria, sempre preferibili, ma anche in mere prassi comportamentali.
Tuttavia, quali questo fossero non risolvono le questioni sul da farsi a seguito dell’estumulazione, dato che l’art. 86 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. non può essere letto solo nel suo comma 1, ma, altresì, nei successivi, con l’iniziale destinazione all’inumazione (e, quindi, con una collocazione al di fuori del sepolcro familiare) per la durata del turno ordinario di rotazione, oppure, se ne ricorrano le condizioni, per una durata ridotta e, ultimo nell’elencazione, con la diretta raccolta delle ossa, cosa che può portare al loro collocamento nell’ossario comune o, trattandosi di sepolcri familiari, al loro collocamento in apposita cassetta ossario in zinco e suo posizionamento all’interno dello stesso sepolcro familiare (non escludendosi altre sedi, ma ciò assume un carattere di eccezionalità, partendo dal presupposto di un uso “familiare” del sepolcro familiare).
Ecco che torna la questione dell’ottica dalla parte delle famiglie. Dato che la “non osservanza” del limite deriva anche dalle scelte fatte con gli “strumenti”, diventa sempre difficile stabilire termini per derogare dalla limitazione de quo.
Va anche sottolineato come un’”osservanza” della disposizione potrebbe consentire di introdurre – sempre in sede regolamentare – la possibilità di ricorrere ad istituti in cui vi sia, su richiesta dei familiari aventine titolo, una trasformazione del rapporto di concessione, attraverso la rinuncia alla concessione “storica” e una “nuova” (dal punto di vista degli atti concessori) concessione, a tempo determinato ed avente ad oggetto il medesimo manufatto sepolcrale, dove il vantaggio viene ad essere quello della libera (per così dire) estumulabilità (con la rinuncia viene meno il titolo a fruire del sepolcro), ma la (formale) conservazione dei medesimi defunti, anche se in altro contenitore (da feretri a cassette ossario), cosa che comporta una maggiore capienza fisica, e presenta – soprattutto – il vantaggio di una conservazione del contesto della famiglia.
Se poi si considera come la crescita, ormai esponenziale, della cremazione importi, tra gli altri effetti, l’uso di “contenitori” (urne cinerarie) anche di dimensioni inferiori a quelli delle cassette ossario, ben si coglie come la capienza possa ulteriormente dilatarsi.