Premessa
Ricordando come, nel passaggio tra il R.D. 11 gennaio 1891, n. 42 e il R.D. 25 luglio 1892, n. 448, attuativi della L. 22 dicembre 1888, n. 5849, vi sia stata un’azione di drafting che ha visto una certa quale sostituzione terminologica tra “salma” e “cadavere”, certa quale dal momento che non è stato un processo uniforme, meno ancora assoluto, ma che ha interessato solo alcune disposizioni (per cui i due termini sono presenti in entrambi i testi), cosa che può ex post immaginarsi riconducibile all’opera di diverse “scuole di pensiero”, fenomeno sempre presente negli ambienti accademici.
Più recentemente, alcune regioni hanno ritenuto di introdurre specifiche definizioni di “salma” e di “cadavere” con lo scopo, sostanzialmente dichiarato, di regolare diversamente alcune fattispecie, in particolare (ma non solo) quella del relativo trasporto (osservando, altresì, come qualche regione abbia ritenuto (precisandolo espressamente nella Relazione alla propria legge regionale) che una tale distinzione avrebbe comportato equivocità, preferendo parlare di “trasporto durante il periodo di osservazione”, terminologia in cui ha anche trovato imitatori.
Questo per segnalare come la questione delle definizioni, dei termini sia tutt’altro che recente.
Non solo, ma analoga questione può porsi anche per altro: si pensi solo in quante variabili sia declinato il termine del posto feretro a sistema di tumulazione (loculo, colombaro, avello, cassettone, forno, ecc., magari con specificazioni (es.: “di testa”, “di fianco”, “laterale”, “a maddalena”, ecc.), per non dire dei sepolcri: sempre a titolo esemplificativo, in alcune realtà la parola “tomba” è sinonimo di “cappella funeraria”, altrove di “fossa a sistema di inumazione” (ma si sono anche le mini-tombe ed i tombini …).
Un nuovo approccio
Da qualche tempo, alcuni stanno utilizzando anche l’abbastanza nuovo termine di spoglie mortali, precisandosi che con questo termine si definisce il corpo della persona defunta, indipendentemente dallo stato in cui si trovi: salma, cadavere, resto mortale, resto osseo, ossa, ceneri contenute in debita urna cineraria.
Anche su queste diverse terminologie occorre fare chiarezza, poiché vi sono fonti normative che sembrano essere fatte apposta per alimentare equivocità.
Trascuriamo il termine di “resto osseo”, a volte utilizzato, più o meno adeguatamente quale sinonimo di “ossa”, non solo perché non piace, ma anche perché fa ricorso ad espressioni ridondanti (le ossa in loro stesse sono un … resto), per porre l’accento sul termine di “resto mortale”.
Sappiamo tutti che esso aveva una certa quale definizione nella circolare del Ministero della sanità n. 24 del 24 giugno 1993 (Punto 15, che, per inciso, considera anche altre definizioni), poi nella circolare del Ministero della sanità n. 10 del 31 luglio 1998 (Punto 1), per giungere quindi all’art. 3, comma 1, lett. b) D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254 [1].
Quest’ultima definizione (che, sia per effetto della successione nel tempo, sia per effetto della c.d. “gerarchia tra le fonti del diritto”, dovrebbe avere superato le precedenti definizioni, tanto più in quanto date con atti amministrativi, si presta ad essere percepita (si permetta l’espressione) come molto prossima alle indicazioni che si ritrovano nell’art. 3, comma 1, lett. g) L. 30 marzo 2001, n. 130 (si fa notare come questa disposizione sia antecedente, temporalmente, al predetto D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254, ma prevalga su quest’ultimo per il fatto di essere data con norma di rango primario).
Comunque sia, la citata disposizione della L. 30 marzo 2001, n. 130 non formula, in sé, una definizione, ma è abbastanza assonante alla definizione di “resto mortale” citata.
Con la peculiarità che se ne distingue, per il semplice fatto di prendere in considerazione un fattore temporale, diversificato in relazione alla pratica funeraria (inumazione o tumulazione) utilizzata, mentre nella sopra citata definizione di “resto mortale”, pur in presenza delle medesime indicazioni circa il termine temporale, si considera lo stato in cui il corpo si trovi (nell’accezione qui utilizzata, le “spoglie mortali”).
Di qui l’importanza, se si vuole l’utilità, anche pratica, di introdurre questa nuova terminologia, dato che essa consente di sottrarsi ad ogni condizionamento circa lo stato in cui il corpo si trovi.
Utilità in ragione del fatto che molte attività anche amministrative (es.: autorizzazioni) richiedono presupposti diversi per essere poste in essere.
Ad esempio, l’autorizzazione alla cremazione di un “cadavere” è regolata dall’art. 3, comma 1, lett. a) e b) L. 30 marzo 2001, n. 130, mentre la cremazione di resti mortali è regolata dall’art. 3, commi 5 e 6 D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254 (richiamando l’attenzione sul fatto, già evidenziato, che la cremazione di cui all’art. 3, comma 1, lett. <g) non ha a proprio oggetto i “resti mortali”, quanto le “spoglie mortali”, quando sia decorso il periodo temporale previsto in relazione alla pratica funeraria utilizzata.
Altrettanto, può dirsi per il trasporto (leggi: rilascio della relativa autorizzazione) dove gli artt. 20, 22 e 23, nonché artt. 34 e 35, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. parlano unicamente di “cadavere”, mentre il successivo art. 24 si applica ai “cadaveri”, ai “resti mortali”, alle “ossa umane” (e, al comma 3 emerge la “salma”, termine presente altresì negli artt. 27, 28 e 29 successivi).
Infine, all’art. 36 si parla di “ossa umane” e di “resti mortali assimilabili” (commi 1 e 2; al comma 3 non è più presente questo “assimilabili”), dove potremmo porci la domanda su come debbano o possano essere definiti questi “assimilabili”.
E, con riguardo a quest’art. 36, non si può omettere il rinvio all’art. 3, comma 1, lett. f) L. 30 marzo 2001, n. 130, col suo cenno al “trasporto delle salme”.
Come si vede, l’ampiezza e numerosità dei termini può ingenerare equivocità, anche procedimentali, che sarebbe del tutto opportuno evitare, prevenendole attraverso un sistema definitorio uniforme e omogeneo.
Altrimenti, è abbastanza facile che vi siano spazi per comportamenti non sempre lineari. Per questo, ci pare che usare il termine “spoglie mortali” non sia capzioso, né inutile.
[1] – Che, si ricorda, essere stato emanato su in put del Ministero dell’Ambiente (denominazione del tempo: il Ministero ha successivamente mutato, più volte, denominazione), di concerto con il Ministero della salute, il ché fa ricordare come si tratti di materia rientrante nella previsioni dell’art. 117, comma 2, lett. s) Cost., per cui sussiste la competenza legislativa – esclusiva – dello Stato, cosa che impedisce (o, impedirebbe, dato che è accaduto) che sia oggetto di modifica da parte di leggi o regolamenti regionali.