L’art. 104, comma 4 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. prevede che le cappelle private e i cimiteri particolari preesistenti alla data di entrata in vigore del T.U.LL.SS., R.D. 24 luglio 1934, n. 1265 e s.m. siano soggetti alla vigilanza dell’autorità comunale.
Non importa più di tanto, qui, indicare la data di entrata in vigore; per quanti interessati si tratta del 24 agosto 1934, dato che la vicenda che si illustra si colloca ben oltre.
Consta, infatti l’esistenza di situazioni che si collocano “fuori” in molti sensi, dall’impianto normativo.
In un comune montano (poi soppresso per “insolvenza” ed aggregato a comune maggiore contermine), costituito da una pluralità di frazioni (e parrocchie) a loro volta costellate da contrade, i rapporti personali, anche tra popolazione e eletti negli organi del comune erano caratterizzati da forti conoscenze personali.
Magari il sindaco si recava all’osteria, la domenica pomeriggio per giocare a carte o alle bocce, recando con sé moduli di certificazione che compilava in presenza dei richiedenti indicando i dati personali per come gli venivano riferiti (lasciamo immaginare gli effetti, anche in termini di imprecisioni).
Qui si è verificato che alcuni abitanti di una frazione, dotata di cimitero, avessero a prospettare al sindaco (tra gli anni ’50 e ’60 del XX sec.) l’idea di costruire, a ridosso delle mura di recinzione, ma all’esterno del cimitero, su terreni agricoli di loro proprietà, alcuni loculi, del tutto assenti nel cimitero de quo, per l’accoglimento di quelli tra loro che avessero pagato gli oneri della costruzione o compartecipato ai lavori di costruzione (non mancavano persone che erano in grado di provvedere ad eseguire i lavori di costruzione di manufatti).
Ottenuto l’assenso orale, gli interessati hanno provveduto alla costruzione con loro lavoro volontario domenicale, concordando tra essi stessi l’attribuzione dei posti feretro di tali loculi.
Una quarantina d’anni dopo, con i posti feretro ormai pressoché saturi, la questione è riemersa all’attenzione degli uffici del comune aggregante, che, operando con logiche e procedure amministrative impostate ben diversamente, hanno avuto difficoltà a reperire una qualche modalità per dare una qualche definizione coerente alla situazione così venutasi a creare di fatto, giungendo, dopo avere ponderato di diversi elementi in gioco, a formalizzare, una deliberazione della giunta comunale.
In essa, ricorrendo ad una grande e forzata, ma anche cosciente, “arrampicatura sugli specchi”, si dava conto della situazione per come avvenuta e si constatava che i diversi loculi erano di pertinenza (sic!) delle persone nominativamente individuate e che questo “riconoscimento” era ai soli ed unici fini dell’accertamento del diritto di “sepoltura”, lasciando del tutto impregiudicate tutte le altre posizioni di diritto soggettivo: in altre parole non affrontando (non potendolo fare) la questione della proprietà del terreno, esterno al cimitero, che era, e rimaneva delle persone che ne erano proprietarie, e che era stato occupato, materialmente, dalla costruzione così avvenuta e, in seguito al loro decesso, dei loro eredi.
È possibile che questa situazione non emerga neppure in relazione alla successione, o alle successioni, mortis causa, in quanto in quella (o, quelle) sede/i, verrebbe a risultare unicamente un terreno a destinazione agricola, oltretutto soggetto al vincolo di inedificabilità (art. 338 T.U.LL.SS., R. D. 27 luglio 1934, n. 1265 e s.m.).
Infatti, nessuno ha mai preso in considerazione l’ipotesi di far provvedere ad un qualche aggiornamento catastale (sarebbe occorsa la professionalità di un geometra, che costa e che si evita anche per quale piccolo “lavoretto” in casa, tipo un ampliamento per ricavare una stanza per il figlio che si sposa o, per i più “moderni” per realizzare i servizi igienici all’interno dell’abitazione in sostituzione della tradizionale latrina esterna (ricordiamo il periodo temporale e la localizzazione) estratta con assi ricavate dal taglio del legname del proprio bosco).
Probabilmente, situazioni con queste caratteristiche non sono neppure isolate, avendosi notizia di altra situazione, questa volta collocabile nel 1874 (proprio così!).
Qui un gruppo di persone abitanti in una frazione, costituitisi in “comitato” (presieduto dal parroco), hanno chiesto, ed ottenuto, dal Prefetto l’autorizzazione a “costruirsi” un cimitero di frazione.
L’autorizzazione prevedeva … che una volta costruita la strada di accesso, il cimitero sia comunale …, costruzione questa mai effettuata dalle persone del “comitato” che vi erano ritenute, generandosi un conflitto che il comune aveva tentato di risolvere, in più occasioni, ma che, per quanto noto, rimane tuttora aperto, con contenziosi, in cui i discendenti dei componenti del “comitato” rivendicano la loro proprietà del cimitero e dei sepolcri.
Per non richiamare la pronuncia del Consiglio di Stato, Sez. VI, 19 ottobre 2022, n. 8892 che neppure ha rilevato come vi sia stata (nel 1960 o di poco successivamente) edificazione, oltretutto senza titolo, su area posta fuori dal cimitero.
Senza valutazioni di merito, queste vicende portano alla considerazione di come “operazioni” che avvengano in un dato momento, abbiano effetti che persistono nel tempo per periodi spesso superiori a quella della durata della vita dell’uomo (non interessa se media o limite), proseguendo per più generazioni.
Sia ammessa venia, ma l’esigenza che, in ambiti cimiteriali, sia sempre necessario avere la coscienza che “scelte” fatte in un dato momento, magari anche razionalmente rispetto alle condizioni presenti in ub determinato momento, sono destinate a produrre i propri effetti nel lungo, molto lungo, periodo.
Nessuno chiede di predire il futuro, ma, almeno, di avere la coscienza che gli orizzonti temporali sono di tal fatta e che le condizioni presenti in un dato momento sono di per sé stesse e, del tutto fisiologicamente, mutabili.