Onerosità dei “certificati” di stato civile … ultracentenari

In genere, la lettura della Legge di bilancio è aspetto che si può tendere a delegare ad altri sia per la lunghezza dei testi, sia per il fatto che, in epoche recenti, si è percorsa la strada dell’articolo unico, composto da un numero abbondante di commi, a differenza dei tempi in cui numerosi erano gli articoli, ciascuno con la sua bella rubrica, cosa che, più o meno, consentiva di cogliere la materia.
Più recentemente, si registra una scelta redazionale mista, per così dire, con un articolo composto da (solo) 908 commi, cui seguono altri 20 commi (nonché 6 Allegati ed altro, stato di previsione incluso): è questo il caso della L. 30 dicembre 2024, n. 207.
In questo testo, merita un qualche cenno l’art. 1, comma 637 [1], e 638, che attribuiscono una facoltà che, in qualche modo, sembra integrare, con previsioni specifiche, l’art. 149, commi 4 e 8 T.U.E.L., D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e s.m.
Non guasta, forse, dimenticare come il R.D. 9 luglio 1939, n. 1238 (in larga parte abrogato, salvo che per le disposizioni enunciate all’art. 109, comma 2 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 e s.m.), dedicasse il Titolo XI alla materia “Degli estratti degli atti dello stato civile e dei relativi certificati”, prevedendo (artt. 190 – 195) che per la loro spedizione (oggi, si tenderebbe ad usare il termine: rilascio) fossero dovuti specifici diritti.

Al di là delle variazioni della relativa misura, questa previsione è cessata dal 30 marzo 2001 come uno degli effetti dell’entrata in vigore del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 e s.m. già richiamato).
Nel titolo abbiamo usato il termini “certificati” con l’intento comunque di comprendere, accanto a questi, altresì gli estratti di stato civile.
Ora vi è una parziale re-introduzione dell’istituto, seppure limitatamente agli estratti e certificati defunti da atti dello stato civile formati da oltre un secolo.
Non formuliamo considerazioni sul fatto che il testo sembrerebbe prendere in oggetto i certificati o estratti “formati” da oltre un secolo, anziché quelli tratti da atti “formati” da tal periodo.
Tanto più che quanto gravato non riguarda tanto questi, quanto le fasi ad essi antecedenti, cioè la loro richiesta (oltretutto sanzionata al comma 638 dall’improcedibilità (sic!) in caso di mancato o inesatto (???) pagamento) …
Con un po’ di malizia ci si potrebbe chiedere se chi ha redatto questo testo abbia cognizione su quale sia la differenza tra certificati ed estratti (nelle 2 tipologie: (a) per riassunto oppure (b) per copia integrale) di stato civile, ma ciò poco rileva.

Come anticipato, non vi è l’istituzione di un “contributo amministrativo”, quanto della facoltà attribuita ai comuni di poter istituirlo.
Questo solleverebbe la domanda se vi sia stata qualche valutazione “quantitativa”, cioè una qualche stima, per quanto grossolana, di quante possano essere le richieste in tal senso che possano aversi nel corso dell’anno.
A questa ne andrebbe posta anche altra, cioè a quali finalità potrebbero supportare le richieste di questi estratti e/o certificati.
Anche se il Servizio dell’ISTAT preposto alle Statistiche Demografiche abbia una propria articolazione interessata agli ultracentenari, la norma qui in considerazione non si auto-limita agli ultracentenari ancora in vita, ma considera i registri formati da oltre un secolo.
Considerando come i soggetti chiamati alla gestione cimiteriale abbiano spesso esigenza di “ricostruire” le famiglie ai fini dell’esercizio dei diritti (e, doveri) connessi alle concessioni di sepolcri privati nei cimiteri, sembra che gli estratti e/o certificati di stato civile pochi elementi conoscitivi apportino.
Un maggiore interesse potrebbe ricavarsi dall’accesso agli atti dell’A.P.R. (e, oramai, dell’A.N.P.R.), contesto nel quale, inizialmente, non si ha assoggettamento all’imposta di bollo.

Verrebbe da ricordare l’art. 27, comma 3 D.-L. 28 febbraio 1983, n. 55 convertito in L. 26 aprile 1983, n. 131.
Questa disposizione (per inciso: tuttora vigente) partiva dall’oggettiva difficoltà di ricerca da atti che, a differenza di quelli dello stato civile, non erano tenuti in termini strutturati – per volumi rilegati e muniti di indici annuali e decennali (questi ultimi “dismessi” dal 2002) nominativi – ma con strumenti operativi meno “rigidi” e meno strutturati, quali i fogli di famiglia, le schede individuali e – prima – anche cartelle di casa, strumenti via via mutati con semplici istruzioni amministrative.


[1] – L. 30 dicembre 2024, n. 207 “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2025 e bilancio pluriennale per il triennio 2025-2027” – Art. 1, …
(comma) 637. I comuni possono assoggettare le richieste di certificati o di estratti di stato civile formati da oltre un secolo e relativi a persone diverse dal richiedente al pagamento di un contributo amministrativo in misura non superiore a euro 300 per ciascun atto.
Per le richieste corredate dell’identificazione esatta dell’anno di formazione dell’atto e del nominativo della persona cui l’atto si riferisce, il contributo può essere ridotto.
Non sono assoggettate al contributo di cui al presente comma le richieste presentate da pubbliche amministrazioni.

(comma) 638. Le domande di cui ai commi 636 e 637 presentate ai comuni sono improcedibili in caso di mancato o inesatto pagamento dei contributi ivi previsti nei termini stabiliti dal comune conformemente al proprio ordinamento.
I contributi riscossi ai sensi dei commi 636 e 637 sono integralmente acquisiti al bilancio del comune.
Restano ferme le disposizioni vigenti in materia di imposta di bollo.

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