Negli ambienti in cui si muovono quanti seguano, più o meno frequentemente, questo Portale è frequente parlare delle differenti pratiche funerarie, spesso ponendo l’attenzione su quella della tumulazione, oppure della cremazione, quest’ultima sempre maggiormente di attualità, anche in relazione alla crescita esponenziale che ha registrato negli ultimi decenni.
Vi sono meno occasioni per affrontare la terza, cioè quella dell’inumazione, anche se sia, e rimanga, normativamente quella “ordinaria”, “normale”, di “default”.
Anzi quella cui correttamente si dovrebbe fare riferimento nell’uso del termine “sepoltura”, ma in più contesti questo termine è spesso utilizzato per indicare, indifferentemente, sia l’inumazione che la tumulazione.
Un esempio di questo mix terminologico può rinvenirsi anche nel Codex Iuris Canonici, ma anche nello standard CEN EN UNI 15017:2019 (come anche nella sua versione precedente), dove al paragrafo 3 “Termini e definizioni”, la parola “seppellimento” (3.5) è definita come “interramento del defunto o dei resti umani” (anche le parole enunciate nella definizione hanno nello standard un proprio significato specifico, cui si rinvia).
Forse l’uso di “interramento” cela inconsciamente quale fosse la pratica di maggiore diffusione e per la generalità della popolazione.
Queste promiscuità nelle parole paiono non coerenti con le differenze che sussistono tra inumazione e tumulazione, a partire dalle modalità di confezionamento dei feretri, fino alla tipologia del “luogo” (fossa nel terreno in un caso o singolo manufatto rispondente a determinate prescrizioni tecnico-costruttive nell’altro) ed, infine, per le durate, le quali trovano la propria origine nel fatto che l’inumazione opera, di norma, secondo una logica di rotazione, mentre la tumulazione si colloca in una logica di conservazione (alcuni usano: accumulo).
Nella prima la funzione dell’inumazione è quella di favorire il compiersi dei fisiologici processi di trasformazione cadaverica, giungendo alle ossa da collocare nell’ossario comune, mentre nella seconda questo esito finale è tutt’altro che scontato, quasi un’eccezione imprevista, prevedendo piuttosto che, in occasione della estumulazione, il corpo sia collocato in inumazione, di norma per il medesimo periodo previsto ordinariamente, salva la possibilità di una sua riduzione quanto la permanenza in tumulazione sia stata superiore ad una data durata.
Alcuni Autori hanno cercato di individuare come nel passato, prima del sorgere del modello cimiteriale che conosciamo, venissero “trattati” i defunti, ricercando soluzioni di vario ordine, senza – a nostro avviso – riuscire a descrivere quali fossero le pratiche funerarie di maggiore diffusione, quelle utilizzate per la maggioranza della popolazione, carenza non imputabile loro, ma al fatto che in sostanza non vi sono grandi fonti di documentazione, in molti casi ristrette alle sepolture che abbiano fatto ricorso a strutture in qualche modo monumentali, piccole o grandi che fossero, ma queste probabilmente riguardavano solo fasce di popolazione ristrette, cioè quelle che disponevano delle risorse per ricorrere a “oggetti di/per memoria”.
Non si ritiene ora il caso di descrivere le caratteristiche delle fosse, né le prescrizioni per il confezionamento dei feretri destinati all’inumazione, né la durata di quello che oggi denominiamo quale “turno ordinario di rotazione”, quanto altro.
È già stata indicata la vocazione “a rotazione” della pratica funeraria dell’inumazione, così come la funzione cui essa risponde, cioè favorire (o, almeno: assicurare) i normali processi trasformativi cadaverici.
Quest’ultima è assolta attraverso il collocamento del cadavere, confezionato in feretro avente date caratteristiche, nel terreno.
Ma questo è anche il frutto di prassi la cui origine può trovarsi anche molto lontana nel tempo e le cui motivazioni sono state oggetto di una certa “perdita della memoria”, cosa abbastanza comprensibile.
Vanno considerati alcuni elementi, fattori che incidono, o possono incidere, sulla funzione:
(a) idoneità del terreno: si tratta di un fattore decisamente molto importante, anche se non dovunque è possibile farvi conto.
Quando il terreno non sia idoneo (alla funzione) si dovrebbe provvedere a porre in essere interventi correttivi, i quali potrebbero essere particolarmente consistenti ed onerosi da renderne poco probabile il ricorso;
(b) uso del feretro: questa prassi, divenuta ormai norma, ha una propria origine, semplicemente ricordando come (più o meno fino XVIII sec.) le casse venissero utilizzate pressoché solo come “mezzo per il trasporto”, re-impiegabile, anche se, risalendo ancora nel tempo (o presso le fasce di popolazione maggiormente carenti di risorse) avessero un utilizzo abbastanza elitario.
Anche se non si può escludere che il suo impiego abbia risposta alle medesime tematiche che hanno portato a determinare una data altezza delle recinzioni cimiteriali.
Ma l’uso del feretro potrebbe (non vi sono prove documentali, ma questa costituisce un’illazione originata da altre valutazioni) avere la propria origine nelle stesse motivazioni che portano ad altro fattore:
(c) profondità della fossa: il collocamento del corpo (confezionato nel feretro) alla profondità prescritta consente un livello di ossigenazione probabilmente inferiore a quello che potrebbe aversi se la profondità fosse inferiore e il feretro collocato con maggiore approssimazione alla superficie del piano di campagna, cosa che, probabilmente, favorirebbe l’azione degli agenti dei processi trasformativi cadaverici: in medicina legame vi sono abbastanza studi che hanno riguardo all’entomologia della morte, cioè delle specie di animali (insetti di vara natura) che intervengono positivamente in questi processi, al punto da costituire anche elementi indicatori del momento della morte.
Se ne ricava che i processi trasformativi cadaverici sono processi principalmente aerobici, per cui il favorire l’ossigenazione (e un certo grado di umidità, debitamente contenuto) potrebbero essere fattori positivi.
Infine, (d) distanza tra le fosse, che risponde alle esigenze di non sopra caricare eccessivamente il terreno cimiteriale, ancorché idoneo, di componenti organiche che potrebbero avere effetti di rallentamento dei processi trasformativi cadaverici.
Dal momento che questi fattori (e ve ne potrebbero essere altri) influiscono sulla funzione, sarebbe altamente positivo che si ipotizzasse di effettuare studi scientifici opportuni, come in alcune (poche, se ne conoscono 2) è stato fatto a proposito della pratica della tumulazione aerata, in cui, promosse da autorità nazionali aventi competenza in materia e con l’imprescindibile concorso di università (meglio coinvolgendo plurime facoltà, ciascuna per la propria specializzazione), di esperti, di laboratori fisici, chimici, biologici, ecc., e adottando una programmata metodologia pluridisciplinare, si potesse giungere ad un qualche approfondimento circa quali siano i fattori che possano risultare maggiormente efficienti nel favorire i processi trasformativi cadaverici, eventualmente anche in vista di successive modificazioni regolamentari, in modo da superare prescrizioni di cui si è persa la memoria che ne era la motivazione.
Si tratta di una proposta non facile, in quanto una ricerca scientifica comporta una progettazione ed esecuzione che richiede un arco temporale abbastanza lungo (verrebbe da pensare attorno alla durata del turno ordinario di rotazione, se non un po’ superiore), che non è coerente con logiche di programmazione in cui, spesso, la parola “pluriennale” è prossima, quando non coincidente, con “triennale”.
Ma l’esigenza di una pluriennalità (a maggiore ragione se assunta col termine cui è stato appena fatto cenno) trova ostacolo anche con la logica dei “decisori”, specie se elettivi; senza considerare le maggioranze di governo, si pensi solo ai “mandati amministrativi” nelle Amministrazioni Locali, contesto in cui una (eventuale) programmazione di uno studio di questa portata potrebbe produrre esiti (limitiamoci alla “relazione finale”, senza andare a considerare la messa in atto dei risultati, previe le modifiche regolamentari conseguenti) dopo 3 o 4 “mandati amministrativi”.
Spes ultima dea.