Non convince, almeno non tutto …

Il TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 24 agosto 2024, n. 2358 (reperibile, per gli Abbonati PREMIUM, nella Sezione SENTENZE) è stato chiamato a pronunciarsi sul ricorso di una persona che, resa una dichiarazione di volontà alla cremazione di un genitore, si è trovato di fronte ad un motivato rifiuto a rilasciare la prevista autorizzazione alla cremazione formato dall’Ufficiale dello stato civile del luogo di decesso.
Il rifiuto aveva quale argomento la constatazione che il genitore defunto era persona coniugata (anche se in condizione di separazione personale, fattore che non comporta mutamento di status), dal momento che l’art. 3, comma 1, lett. b), n. 3 L. 30 marzo 2001, n. 130 notoriamente prevede: “ in mancanza … la volontà del coniuge o, in difetto, del parente più prossimo individuato ai sensi …”.
Probabilmente il figlio dichiarante si riteneva legittimato a causa della separazione personale tra i coniugi, dato che non mancano “percezioni”, grossolane (a volte diffuse al di fuori delle conoscenze giuridiche), che questa posizione incida sulla costanza del rapporto di coniugio, il che non è.
Il prefato TAR giunge alla decisione di rigettare il ricorso propostogli dichiarando il ricorso inammissibile per difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo in favore del Giudice ordinario, dinanzi al quale la causa potrà essere riassunta nei termini di cui all’art. 11 cod. proc. amm..

Fino a qui nulla da eccepire, in particolare su alcune considerazioni cui il giudice amministrativo formula ritenendo che il provvedimento di diniego dell’autorizzazione alla cremazione costituisca atto proprio dell’Ufficiale dello Stato Civile con carattere strettamente vincolato, limitandosi quest’ultimo alla verifica dei presupposti che legittimano la domanda e, dunque, all’accertamento della manifestazione della volontà del de cuius nelle forme previste dalla legge.
Trattandosi di una valutazione di corrispondenza fra i requisiti richiesti dalle fonti normative che regolano la materia – segnatamente l’art. 3, comma 1, lett. b) della Legge n. 130/2001 – e quelli dichiarati dall’istante, l’amministrazione non opera alcuna ponderazione discrezionale ai fini dell’accoglimento o del diniego dell’istanza rispetto alla quale possa configurarsi una posizione di interesse legittimo, essendo il potere pubblico interamente predeterminato ex lege, aggiungendo che, nonostante la ratio sottesa alla Legge n. 130/2001 (“Disposizioni in materia di cremazione e di dispersione delle ceneri”) sia, in linea di principio, riconducibile primariamente alla tutela della salute pubblica e solo in via secondaria all’attuazione dell’interesse privato, tale affermazione non vale con riferimento alla situazione soggettiva che viene in considerazione laddove debba essere autorizzato l’an e non il quomodo della cremazione, trattandosi, in questo caso, di azionare in giudizio una situazione di diritto soggettivo del de cuius – cioè lo ius eligendi sepulchrum – garantendone la piena attuazione, anche quando, come nella fattispecie, essa presupponga l’esecuzione di una sorta di mandato post mortem affidato ai familiari.

Tale diritto, difatti, “inteso come potere di determinare la località, il punto e le modalità di sepoltura della salma di una determinata persona”, spetta “alla persona medesima cui il corpo appartiene trattandosi di diritto della personalità per sua natura assoluto ed intrasmissibile” (cfr. Tribunale di Ancona, Sez. I, 03.03.2021, n. 308), del quale il de cuius può disporre in vita e per il futuro. Ne consegue che “ogni persona fisica può (…) determinare la destinazione del proprio cadavere, ponendo in essere un negozio giuridico avente per oggetto una cosa futura e classificabile tra i negozi di ultima volontà, di tipo unilaterale e revocabile” (cfr. Tribunale di Ancora, cit.), la legge consentendo espressamente che tra le disposizioni testamentarie rientrino anche quelle a carattere non patrimoniale (art. 587 c.c., comma 2) (cfr. Cass. Civ., Sez. I, 23.05.2006, n.12143), per cui, trattandosi di esercizio di un diritto della personalità appare del tutto evidente come sussista la giurisdizione del giudice ordinario.
Se non ché il giudice amministrativo adito prosegue ricercando una qualche “conferma” delle conclusioni cui è pervenuto, richiamando l’art. 95 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 e s.m., richiamo che appare quanto meno fuori luogo dal momento che questo Regolamento ha a proprio oggetto il servizio dello stato civile (Cfr.: Art. 14 T.U.E.L., D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e s.m.) al quale è estranea, in quanto successiva, la attribuzione delle competenze individuate dalla L. 30 marzo 2001, n. 130 (principalmente artt. 2 e 3).
Si tratta di una “aggiunta” di competenze che non influisce su quelle propriamente pertinenti al servizio di stato civile.
Vi è qui una “curiosità”, poco considerata, cioè il fatto che la L. 30 marzo 2001, n. 130 è stata promulgata, accidentalmente e senza relazioni di sorta, lo stesso giorno in cui è entrato in vigore il citato D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 e s.m., cosa che non ha significato alcuno, se non l’accidentalità.
Tuttavia richiamare l’art. 95 di tale fonte per “confermare” l’assunto sulla sussistenza della giurisdizione originaria, cui si era già pervenuti con adeguate argomentazioni, appare inutile e rischia di introdurre valutazioni improprie.

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