Non basta considerare la data di promulgazione

Talora capita di leggere affermazioni che si dolgono del fatto che questa o quella disposizione, sia essa di legge che di regolamento, “richieda” modificazione in quanto risalente ad una data epoca, magari solo alcuni anni o pochi decenni addietro.
Non si intende qui negare come vi siano disposizioni che meriterebbero interventi che tengano conto dei mutamenti intervenuti, ma unicamente argomentare come utilizzare il parametro temporale, specie quando assunto isolato da ogni contesto, non sia, di per sé stesso, uno strumento utile, men che meno efficiente e funzionale.
Ricorriamo ad un esempio, in cui l’età (epoca di promulgazione) potrebbe, a prima vista, apparire rilevante, citando la L. 20 marzo 1865, n. 2248 “Per l’unificazione amministrativa del Regno d’Italia” (della quale alcune parti, poche, sono tuttora vigenti ed espressamente richiamate, specie se riferite all’Allegato F), che presenta una caratteristica del tutto particolare.
Infatti, l’art. 1 prevedeva:
Sono approvate ed avranno vigore in tutto il Regno le seguenti leggi:
Legge sull’Amministrazione comunale e provinciale, che costituisce l’allegato A.
Legge sulla Sicurezza pubblica, che costituisce l’allegato B.
Legge sulla Sanità pubblica, che costituisce l’allegato C.
Legge sull’Istituzione del Consiglio di Stato, che costituisce l’allegato D.
Legge sul Contenzioso amministrativo, che costituisce l’allegato E.
Legge sulle Opere pubbliche, che costituisce l’allegato F.

Ora, un legislatore che, con un’unica legge adotta una serie di leggi (potremmo parlare di testi unici) interessanti ambiti normativi diversi e anche lontani tra loro non può che essere considerato che un legislatore che ha un proprio “progetto di società” (nel caso non si dimentichi che si trattava di corpora normativi mirati all’unificazione del Regno d’Italia, cosa resa esplicita anche dalla rubrica stessa della L. 20 marzo 1865, n. 2248.
Quello che dovrebbe rilevare non é tanto l’”età” delle norme, quanto la loro rispondenza a costituire “soluzioni” a date situazioni.

Con una certa frequenza, l’assunto della necessità di modifiche in ragione dell’”età” si rinviene con riferimenti al D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., asserendo costituire norma “vecchia” di 30 anni (in realtà, qualche cosa di più, ma ciò poco rileva).
Queste affermazioni non tengono del fatto che questo Regolamento costituisce un testo che si collega a testi precedenti che presentano linee comuni e (abbastanza) costanti, anche se vi sono stati alcuni “cambiamenti di rotta” (pochissimi!) su aspetti di un certo spessore.
In altre parole, si ha la sensazione che manchi una visione di quadro, complessiva: certo, non si pretende che una conoscenza delle diverse “versioni” succedutesi nel tempo sia (men che meno che lo debba) sia diffusa e tenta presente da tutti coloro che, a vario titolo, siano chiamati ad usare queste disposizioni come “strumenti” della propria operatività.
Ma un minimo di sforzo di contestualizzazione non guasterebbe e, soprattutto, non é certo l’”età” a costituire criterio di valutazione della qualità normativa.
Altro fattore che va tenuto conto é la – profonda – differenza tra il rango delle norme, cioè tra le norme primarie (leggi ed atti aventi forza di legge) e le norme secondarie (regolamenti), differenza che fin troppo spesso appare rimossa e del tutto ignorata.

A volte, viene da pensare a quanto siano mutate situazioni di contesto, anche tecnico e/o tecnologico, che potrebbero suggerire interventi modificativi, magari anche radicali (l’innovazione non deve spaventare), ma se non si abbiano presenti le “radici”, le motivazioni (ed il contesto di riferimento) per cui una determinata norma é stata congegnata, appare difficile proporre questa o quella modifica.
Proviamo a pensare all’art. 34, comma 2 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. che, in relazione al trasporto di feretri, prevede il caso del trasporto per ferrovia e chiediamoci in quanti casi si faccia, oggi, utilizzo di questo mezzo di trasporto.
Norme analoghe erano presenti nel D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803 e nel R.D. 21 dicembre 1942, n. 1880 (rimasto vigente fino al 9 febbraio 1976), il quale ultimo, oltre alla medesima disposizione (art. 31), prevedeva, in tali ipotesi, altresì (art. 33) una possibilità di “ri-uso” di casse metalliche (una sorta di “economia circolare” ante litteram), prospettiva improponibile, per non considerare la problematica derivante dal trattamento di rifiuti.
Oppure, si pensi alla diffusa previsione dell’impiego del legno (massiccio), le cui tavole del fondo devono essere di un solo pezzo nel senso della lunghezza (art. 75, comma 5 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.): é ben vero che il di poco precedente comma 3 del medesimo art. 75 l’impiego di materiale biodegradabile diverso dal legno deve essere autorizzato (un tempo dal Ministero, poi é intervenuto il D.P.C.M. 26 maggio 2000, quanto meno per le regioni a statuto ordinario; per le regioni a statuto speciale dovrebbero farsi considerazioni differenziate per ciascuna di esse): il richiamo al materiale (legno … e massiccio) porta a ricordare come in altri Stati siano ammissibili anche altro, es. vimini, che potrebbero offrire le medesime prestazioni per le sepolture a sistema di inumazione (o, forse, migliori consentendo un maggiori processi ossidativi?), ma che potrebbero far sorgere la domanda se i vimini siano legno (ovviamente, non massiccio).

Questo riferimento non vada frainteso come un quale favor verso questa ipotesi, ma – solamente – come la constatazione di quanto, talvolta, ci si faccia condizionare dalle consuetudini anzich&ecaute; porsi questione di innovazione e ricerca di soluzioni migliori (comunque da provare attraverso studi scientifici non superficiali).
Si tratta di due, stupidissimi, esempi in cui previsioni nate all’interno di dati contesti potrebbero suggerire altre soluzioni. Ma pensiamo anche all’introduzione di sistemi di tumulazione alternativi, in particolare quello della tumulazione aerata, già accolta da alcune regioni, rispetto a cui l’Avvocatura dello Stato, in sede di ricorsi per legittimità costituzionale, ha più volte sostenuto che non essendo prevista questa modalità di tumulazione nel D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., essa non poteva essere introdotta altrimenti (magari, qui, mettendo in un unico fascio norme di tango primario e norme di rango secondario).
Non si tratta di esempi che incidano più di tanto sul quadro normativo, ma unicamente che consentono, unitamente ad aspetti di maggiore rilievo, di suggerire che proposte modificative possano trovare fondamento su visioni meno parziali, meno miopi, meno condizionate da ottiche di breve durata (per riprendere il tema dell’”età” delle norme), possibilmente muovendosi secondo “visioni” che tengono conto dei parametri di funzionalità e garanzia nel tempo dei diversi servizi.
Vi é chi lamenta una crescente sofferenza del modello cimiteriale, cosa dovuta sia a trasformazioni nella società, ma anche alla rimozione di “visioni” di lungo respiro temporale.

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Sereno Scolaro

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