Alcuni Regolamenti comunali di polizia mortuaria, in genere abbastanza recenti, prevedono, generalmente nella loro parte finale, l’istituto del c.d. “mutamento del rapporto concessorio”, posto in funzione di dare una qualche regolazione ex novo a concessioni cimiteriali spesso molto risalenti nel tempo, altrettanto spesso sorte a tempo indeterminato (cioè in perpetuità), a volte poco utilizzabili per avvenuta saturazione della capienza del sepolcro, la quale, concorrendo con altri fattori, può portare al fenomeno dell’abbandono dei sepolcri, dato che, anche quando vi siano – note e reperibili – persone appartenenti alla famiglia del concessionario/fondatore del sepolcro, vi è ben poca propensione a prendersi cura di sepolcri non utilizzabili per nuove sepolture (in genere, tumulazioni) per la saturazione della capienza del sepolcro nel quale sono stati accolti feretri di defunti di cui vi sia una memoria lontana, sempreché vi sia ancora una memoria in qualche modo affettivamente significativa.
Va subito precisato come un tale istituto non venga affrontato in termini di novazione dell’atto di concessione, ma sia impostato su tutt’altra logica, questo per il fatto che l’atto di concessione, una volta sorto, non è suscettibile di modificazioni, di novazione, ma comporta che la sua efficacia, anche su singoli aspetti, persista nel tempo, per l’intera durata della concessione – e, nelle concessioni perpetue, senza limiti temporali, almeno fino a che non intervenga la soppressione del cimitero (Cfr.: art. 92, comma 2, ultimo periodo ed art. 98 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.) – poiché ogni (eventuale) novazione inciderebbe sulla volontà del fondatore del sepolcro, anche se non esplicitata al momento del sorgere della concessione cimiteriale, in quanto è sufficiente l’adesione (con l’istanza di concessione e poi la stipula del regolare atto di concessione) al sistema regolatorio al tempo operante.
Non mancano casi in cui mutamenti regolamentari comunali siano stati oggetto di contenzioso proprio sull’assunto che comporterebbero alterazione rispetto all’assetto regolatorio originario, anche se, almeno abbastanza recentemente, l’orientamento della giurisprudenza amministrativa sta andando, ormai con una certa prevalenza, nella direzione che le concessioni cimiteriali anche risalenti sono comunque assoggettate ai regolamenti comunali successivamente intervenuti, osservandosi che se così non fosse vi avrebbe un improponibile vulnus alla potestà regolamentare dei comuni, per atti comunque pattizi, per quanto nei limiti dell’art. 823, comma 1 C.C., il quale, in ogni caso, subordina tali patti: “ … nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li regolano …”.
Si tratta di un impianto interpretativo che non incide, né può essere minimamente confuso con un qualche mutamento pattizio dell’atto di concessione, aspetto per cui si ribadisce l’insostenibilità di ogni ipotesi di novazione: in fatti i mutamenti regolamentari attengono all’esercizio della potestà regolamentare della Pubblica Amministrazione, mentre i regolari atti di concessione hanno una natura in qualche modo contrattuale, per cui una delle parti non può modificare quanto pattuito.
L’istituto del mutamento del rapporto concessorio parte dall’esigenza (che può comportare effetti positivi sia per il comune sia per le persone parti nel rapporto concessorio) di generare la possibilità di un ri-uso del sepolcro, in un contesto in cui oggi si usa il termine, di recente conio, di “economia circolare”, cioè in una logica di rotazione delle sepolture, anche quando a sistema di tumulazione.
L’istituto fa leva principalmente sulla previsione dell’art. 86, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, n. 285 e s.m. che si riporta:
“1.- Le estumulazioni, quando non si tratti di salme tumulate in sepolture private, a concessione perpetua, si eseguono allo scadere del periodo della concessione e sono regolate dal sindaco”), disposizione che:
(i) non trova applicazione alla concessioni perpetue e
(ii) fornisce un criterio di collegamento con la durata della concessione.
Per inciso, si potrebbe esplorare l’ipotesi se il Regolamento comunale di polizia mortuaria possa stabilire altro, come (e.g.) l’ammissibilità di estumulazioni decorso un certo tempo, anche se prima della scadenza della concessione, prospettiva per la quale si propende con una certa convinzione per la sua ammissibilità.
Ora i due fattori (i) e (ii), sia che concorrano tra loro sia che siano affrontati separatamente, sono tali da ostacolare, impedire ogni possibilità di ogni ri-uso del sepolcro.
È stato già in precedenza considerato come l’istituto del mutamento del rapporto concessorio non costituisca una novazione. Esso è “costruito” con tutt’altra logica, cioè prevedendo che le persone che vi abbiano titolo (ricorda come sia stata usata, non a caso, l’espressione: note e reperibili) procedano per steps, così enunciabili:
1. rinuncia alla concessione originaria;
2. richiesta di assegnazione ex novo del medesimo manufatto sepolcrale, sulla base delle previsioni regolamentari attualmente in atto (per alcuni aspetti si rinvia infra).
Sul versante del comune si ha, o dovrebbe avere:
A – accettazione della rinuncia,
B – non esecuzione (almeno non immediata) di operazioni di estumulazione,
C – assegnazione, eventualmente anche in deroga ad eventuali criteri generali, del medesimo sepolcro, con la stipula di regolare atto di concessione (cosicché la concessione sarà del tutto “nuova”, anche se abbia ad oggetto un manufatto fisicamente tutt’altro che nuovo),
D – tale “nuova” concessione dovrebbe essere soggetta alle comuni tariffe di assegnazione applicabili alla medesima tipologia sepolcrale, ma il comune, in sede di determinazione in via generale delle tariffe, potrebbe stabilire riduzioni, di varia entità, fino alla sola previsione che le parti private siano chiamate unicamente alla corresponsione delle spese contrattuali, in quanto incomprimibili.
Questi aspetti afferiscono all’autonomia dei comuni (art. 119 Cost.). Si esprime l’avviso che questi ipotesi siano coerenti anche con i principi inderogabili di cui all’art. 97, comma 1 Cost, in quanto la “famiglia” che ne è interessata non muta, ma si produce una condizione di maggiore efficienza, non solo rispetto a questa, ma anche nei confronti del comune (cioè, della comunità locale, per cui si può parlare di un pubblico interesse).
La situazione potrebbe essere, per così dire, rovesciata, ponendoci la questione delle motivazioni per le quali persone aventi titolo rispetto ad un sepolcro, magari in concessione perpetua o di durata particolarmente lunga (potrebbe essere il caso delle concessioni ultra99ennali (ve ne sono più di quanto a volte si percepisca)) ritengano di rinunciarvi.
In realtà forse non vi è una “oggettiva” rinuncia, se non alla perpetuità o alla lunga durata, dal momento che vi è collegata inscindibilmente la ri-assegnazione (o, più correttamente, l’assegnazione ex novo) del medesimo manufatto sepolcrale, ma acquisendo il “nuovo” vantaggio di poter eseguire l’estumulazione dei feretri in precedenza accoltivi, con ri-collocamento delle ossa nel medesimo sepolcro e l’ottenimento di spazi per l’accoglimento, in prospettiva, di altri feretri, cosa che comporta il (ricercato) ri-uso del sepolcro, il mantenimento della “memoria” della famiglia, l’interesse alla cura e conservazione in nuovo stato del sepolcro (fino a ridurre, per quanto poco, la “domanda” di posti a tumulazione, aspetto questo ultimo che gli aventi titolo possono non considerare punto).
Ma a ciò portebbero (molto dipende dalle singole situazioni locali) anche altri vantaggi, come quello di una ri-modulazione degli ambiti di appartenenza alla famiglia del concessionario (art. 93 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.), dato che con la ri-assegnazione del medesimo manufatto sepolcrale si ha comunque una concessione del tutto “nuova”.