In numerosi Regolamenti comunali di polizia mortuaria possono essere presenti norme che affrontano il caso del decesso del concessionario, quale fondatore del sepolcro dando a questo evento effetti che possono avere un dato contenuto, oppure uno differente, oppure non regolando gli effetti oltre a quello di un indefinito “aggiornamento”, lasciando indeterminata la chiarezza degli effetti di un tale decesso, a volte regolando, altre no, se ed a quali condizioni le persone in qualche modo “a valle” assumano o meno la qualità di concessionarie e se quest’obbligo comunicativo si estenda anche in gradi successivi.
Quali siano le scelte operate a questi fini (e indipendentemente se si tratti di scelte o di formulazioni frequentemente immeditate negli effetti), queste norme presentano un elemento abbastanza comunemente presente, consistente nel fatto di prevedere che “… entro …. mesi dalla morte del concessionario, chi ne abbia titolo (qui i termini possono essere anche molto diversi) deve provvedere a darne comunicazione al comune (o, soggetto gestore del cimitero) ai fini dell’aggiornamento dell’intestazione …”.
La abbastanza estesa presenza di disposizioni di tale portata si scontra per altro con una amplissima disapplicazione. Sia da parte delle persone che potrebbero venire riconosciute come titolari (anche se, a certe condizioni, la titolarità potrebbe generare obblighi, magari solo patrimoniali), sia da parte degli uffici cui compete la gestione dei cimitero e, al suo interno, di quelli che sono i sepolcri privati nei cimiteri (Capo XVIII D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.), cioè tutte le sistemazioni cimiteriali differenti dall’inumazione nei campi considerati all’art. 58 stesso D.P.R. appena citato).
Se l’inerzia potrebbe anche comprendersi da parte delle persone chiamate all’obbligo della comunicazione (con quanto consegua) o per scarsa conoscenza o per dilazione per altri motivi (e.g.: … devo sentire gli altri, ecc.), quali essi siano, meno si comprende l’inerzia da parte degli uffici de quo.
In primis, non si può ignorare come, decorso infruttuosamente il termine posto dal Regolamento comunale, si è in presenza di una violazione di questo, per cui – a rigore – dovrebbe trovare applicazione l’art. 7-bis T.U.E.L., D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e s.m., cosa che potrebbe far aprire altre questioni, come quella se questa applicazione operi ex se, oppure possa costituire l’input per un (eventuale) procedimento che potremmo chiamare di “ravvedimento operoso”, aspetti che meriterebbero una precisazione in sede di Regolamento comunale (l’istituto del “ravvedimento operoso” richiede, di norma, una legittimazione ex lege, ma su ciò non si vuole approfondire oltre).
Richiamare la non derogabilità dell’applicazione del sopra ricordato art. 7-bis T.U.E.L., D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e s.m. potrebbe lasciare pensare ad un qualche atteggiamento “poliziesco”, volto più alla sanzione che non alla prevenzione, all’ordinato rispetto delle regole. Un po’ come nella circolazione stradale in cui non mancano casi in cui all’attenzione per la sicurezza della circolazione si sostituisce l’esigenza di “fare cassa” (almeno secondo le versioni cui possono aderire le persone sanzionate).
In realtà, questo richiamo all’aspetto sanzionatorio consente di fare luce su altro. Il fatto di intervenire, con una certa attualità, non appena decorso il termine per provvedere, costituisce un intervento – relativamente – “a caldo”, cioè in una fase in cui le persone chiamate a provvedere sono generalmente abbastanza bene individuabili, anche quando l’obbligo comunicativo riguardi una pluralità di persone aventi il medesimo obbligo, consente a costoro anche l’apertura di un dialogo (ovviamente, possono non mancare casi di conflittualità pregressa o sorta in conseguenza del decesso del concessionario che ostacolano opzioni condivise), l’individuazione di “percorsi” eventualmente stabilità dal Regolamento comunale, ecc.
Se al contrario vi sia l’inerzia, anche da parte degli uffici preposti alla gestione cimiteriale, oltre che delle persone chiamatevi, la questione dell’”aggiornamento” dell’intestazione della concessione cimiteriale, quale essa sia, è esposta all’evenienza che la criticità del mancato “aggiornamento” emerga in tempi successivi, in particolare quando vi sia il decesso di altra persona avente diritto di accoglimento nel sepolcro de quo, cosa che può avvenire non sono a distanza di anni (oltre il termine prefato), ma anche di decenni.
E quanto maggiore sarà il termine temporale in cui non si è avuto “aggiornamento” di sorta, tanto maggiore sarà la criticità da affrontare e, spesso, con maggiore complessità, dato che potrebbero essere coinvolte persone che, nel tempo, hanno modificato, anche più volte, i propri indirizzi e luoghi di relazione, producendo l’esigenza di ricerche, spesso lunghe e laboriose.
In altre parole, intervenire con tempestività (cioè in tempestiva relazione alla scadenza del termine de quo) comporta un efficientamento del sistema gestionale, a favore tanto delle persone, quanto degli uffici stessi.
Vi è stato anche chi avrebbe ipotizzato che all’inerzia circa l’obbligo di comunicazione anzidetto valuterebbe la prospettiva di prevedere, sempre in sede di Regolamento comunale di polizia mortuaria, un effetto estintivo della concessione cimiteriale interessata, eventualmente integrando l’obbligo di comunicazione con un qualche ulteriore temporale, indicativamente di maggiore consistenza, rispetto alla morte del concessionario fondatore del sepolcro, tale che, perdurando l’inerzia, si determini un effetto estintivo (decadenza? O, preferibilmente, estinzione?) della concessione cimiteriale.
Si tratta di una prospettazione che potrebbe essere approfondita, ma che cela una sorta di implicita disapplicazione dell’art. 7-bis T.U.E.L., D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e s.m.
A ciò, si potrebbe aggiungere che una tale impostazione, costituendo norma ex novo, produrrebbe effetti unicamente per le concessioni cimiteriali che venissero a sorgere successivamente all’entrata in vigore di questa.
Questo potrebbe indurre a trovare il modo per rendere una siffatta previsione applicabile in via generale (alias anche alla concessioni già sorte), il ché espone a potenziali contenziosi di non agevole approccio. E sarebbe buona prassi prevenire situazioni che generino contenziosi.
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