Miti autogenerantisi

In un intervento, pubblicato su di una Rivista specializzata di ampia diffusione, di un importante (potrebbe usarsi anche il superlativo, ma non è il caso di esagerare) Autore, che è considerato leader nel settore, anche da parte di quanti aderiscano a differenti visioni, si è avuto modo di leggere, tra altre considerazioni attorno ai numerosi effetti della crescita dell’accesso alla cremazione, anche l’affermazione secondo cui questa pratica funeraria comporti una riduzione nella qualità dei cofani, in quanto il cofano è visibile unicamente nel corso della fase esequiale o, in altri termini e con espressione più ampia, dei riti di commiato, quali essi siano.
L’affermazione ha fondamento, specie per questi effetti della scelta cremazionista.

Si tratta di un tema che ha sempre lasciato perplessi, poiché non si coglie (da sprovveduti) le motivazioni sottostanti.
Infatti, una medesima situazione, in termini di “visibilità esterna”, del cofano si ha anche quando vi sia la scelta dell’inumazione, oppure della tumulazione.
Nel primo caso, il cofano viene collocato nella fossa, dove rimane, salvi casi eccezionali di esumazioni straordinarie, per altro infrequenti, per tutta la durata del turno ordinario di rotazione, anzi molto di più, dal momento che la decorrenza del turno ordinario di rotazione non determina il momento dell’esumazione, ma il momento, decorso il quale, questa può avvenire e la sua effettuazione è rimessa alla regolazione del comune, il quale vi provvede, di norma, quando ve ne sia l’esigenza, cioè in previsione di procedere a nuove inumazioni.
E poiché altro degli effetti della cremazione è anche quello di una riduzione nel ricorso all’inumazione, i tempi di effettuazione delle esumazioni ordinarie tendono a collocarsi nettamente oltre la durata del turno ordinario di rotazione, a volte anche due, od oltre, la sua durata.
Ma il cofano rimane interrato dal momento della sepoltura fino al momento dell’esumazione ordinaria (fatti sempre salvi i pochi casi di esumazione straordinaria) e, quindi, sottratto alla “visibilità”.
Magari questa si ha solo nell’occasione dell’esumazione ordinaria, anche se questa “visibilità” è di norma sottratta ai familiari, trattandosi di operazioni cimiteriali, ordinariamente da eseguire in loro assenza (anche se non mancano in talune realtà prassi che vedono la presenza dei familiari, prassi su cui non si interviene).
Solo che in questa fase il cofano si presenta in condizioni del tutto differenti rispetto a quelle iniziali, cioè a quelle che aveva al momento della sepoltura.

Qualcuno che abbia avuto l’esperienza di operare in vigenza del D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803 potrebbe ricordare che il suo art. 86, comma 2 (corrispondente, più o meno, all’art. 85 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.) precedesse: “Gli avanzi degli indumenti, casse, ecc. devono essere inceneriti nell’interno del cimitero”, norma del tutto superata, non solo per non essere stata riproposta, ma principalmente per una diversa regolazione della materia della tutela dell’ambiente.
Considerazioni analoghe, sotto il profilo della “visibilità” del cofano possono farsi anche quando vi sia la scelta della tumulazione, in quanto il cofano viene collocato in un manufatto sepolcrale individuale, presentante tutte le caratteristiche previste dall’art. 76 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. e, in questi casi, per durate che sono ulteriormente maggiori, di plurimi decenni, rispetto alla situazione che si ha con l’inumazione.
Anche in tali casi, il fattore “visibilità” del cofano viene ad aversi solo in occasione delle estumulazioni (artt. 86 e ss. (in particolare, art. 88, ma, altresì, art. 87) D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.).

Ma l’effetto sopra segnalato di un calo nella qualità dei cofani deve avere qualche motivazione, che, probabilmente, è collegata ad una particolare “percezione”, nel senso che, con la scelta cremazionista, vi è la “sensazione” che il cofano sia destinato ad una distruzione “immediata”, nel corso della cremazione.
Se vogliamo, si tratta di un mito, auto-percepito in conseguenza dell’immediatezza della cremazione.
Al contrario, quando vi sia la scelta dell’inumazione e/o della tumulazione (in questo caso con tempi decisamente maggiori) non si genera la percezione della “distruzione” del cofano, presupponendo che questo continui la propria funzione per tempi, più o meno lunghi, e non si genera la percezione di “distruzione”, cosa che sostanzialmente rinvia il problema, che, al contrario, è ben presente nel caso di scelta verso la cremazione.

In conclusione, anche questo mito, che si autogenera, andrebbe collocato tra l’ampia congerie dei miti che coinvolgono il sistema cimiteriale e la materia della polizia mortuaria, miti (la cui numerosità è ben maggiore di quanto non si immagini) che talora hanno presenza solo locale, altre volte più estesa, e su cui non mancano di aversi fraintendimenti fondato su questi aspetti, anziché sulle norme oggettive, specie da parte delle persone che ne vengano interessate accidentalmente, come nel caso di persone della famiglia o prossime, a vario titolo (amici, vicini, ecc.).
È pacifico che non si può pretendere che la generalità delle persone abbia conoscenze specifiche, specializzate, ma non guasta porre in evidenza come spesso, anche in queste materie, si riscontrino quelle che oggi cadono sotto la denominazione di fake news.
A volte, queste sono tanto più percepite come fondate, da originare a contenziosi, la cui soluzione è tanto maggiormente difficile, quanto maggiore sia la convinzione che queste fake news siano fondate, dato che quanto più infondate siano, tanto più sono difese.

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Sereno Scolaro

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2 thoughts on “Miti autogenerantisi

  1. Non aggiungo nulla, se non poco. L’impostazione, molto italiana, della tumulazione come modo di conservazione del feretro (e del corpo contenutovi) non è presente in altri contesti culturali. Cosa che contraddice quello che dovrebbe essere il senso (cioè: la funzione) delle pratiche funerarie, cioè consentire, in tempi più o meno lunghi, lo svolgersi dei normali processi trasformativi cadaverici.

  2. All’epoca della tumulazione imperante, come pratica funebre di massa, l’accorto impresario funebre avrebbe potuto consigliare casse di qualità, a ragion veduta, in special modo quando quando si fosse trattato, poi, di tumulare, appunto il defunto. Già la doppia cassa da tumulazione, percettivamente è un cofano di “lusso”, perchè vuoi per materiali e componentistica vuoi per consistenza del legno massello, trasmette di più l’idea di una solida robustezza, che ben si addice al comune senso di pompa funebre e preziosità stessa della bara. Per chi pratichi abitualmente la polizia mortuaria, l’arcano, però è presto svelato: spessori delle tavole lignee in primis e costruzione stessa sono così non certo per trasmettere un’idea di imponenza del feretro fine a sè, ma per precipue ragioni di performance tecnica: ossia la funzione di contenitore stagno che la cassa da tumulazione impermeabile deve garantire ed assicurare per tutto il tempo di sepoltura in cella muraria. Ecco allora perchè suggerire con saggezza casse buone, per non aver problemi in seguito: ammettiamo un’ipotetica traslazione del feretro verso altra destinazione o l’ancora del tutto irrisolto fenomeno di scoppio bara nei tumuli, trattasi, forse, dei due casi concreti un cui un cofano possente (ovvero ben realizzato e confezionato perfettamente con tutti i dispositivi prescritti dalla Legge) sia da preferirsi ad altra cassa in qualche misura un po’più economica (e…meno sicura???) e di minor valore. La tumulazione, per come è concepita in Italia, mira alla conservazione della spoglia mortale, non alla sua inesorabile distruzione. Il paradosso di tutte queste previsioni normative volte ad isolare ermeticamente (con doppio livello) il cadavere entro un cofano e quest’ultimo, a sua volta in un (genericamente) loculo ambedue chiusi ermeticamente produce – ed è inevitabile – resti mortali, ovvero corpi ancora o parzialmente intatti.

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