Luogo di morte…fittizio

L’art. 138 R. D. 9 luglio 1939, n. 1238 recitava:
“[I] La dichiarazione di morte è fatta entro ventiquattro ore dal decesso all’ufficiale dello stato civile del luogo da uno dei congiunti o da persona convivente col defunto o da un loro delegato o, in mancanza, da persona informata del decesso. Se la morte avviene fuori dell’abitazione del defunto, la dichiarazione può anche essere fatta da due persone che ne sono informate.
[II] In caso di morte in un ospedale, collegio, istituto o stabilimento qualsiasi, il direttore o chi ne è delegato dall’amministrazione deve trasmettere avviso della morte, nel termine fissato nel comma precedente, all’ufficiale dello stato civile con le indicazioni stabilite nell’art. 140”.
Si tratta di una disposizione che, come (quasi …) tutto il R.D. 9 luglio 1939, n. 1238 è stata abrogata dall’entrata in vigore (30 marzo 2001) del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 e s.m. (il “quasi” si motiva tenendo presente l’art. 109, in particolare il comma 2, di questo ultimo).
All’anzidetta disposizione corrisponde oggi (anche se con differenziazioni) l’art. 72 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 e s.m.
“Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127“, che recita:
Art. 72 (Dichiarazione di morte)
1. La dichiarazione di morte è fatta non oltre le ventiquattro ore dal decesso all’ufficiale dello stato civile del luogo dove questa è avvenuta o, nel caso in cui tale luogo si ignori, del luogo dove il cadavere è stato deposto.
2. La dichiarazione è fatta da uno dei congiunti o da una persona convivente con il defunto o da un loro delegato o, in mancanza da persona informata del decesso.
3. In caso di morte in un ospedale, casa di cura o di riposo, collegio, istituto o qualsiasi altro stabilimento, il direttore o chi ne è stato delegato dall’amministrazione deve trasmettere avviso della morte, nel termine fissato dal comma 1, all’ufficiale dello stato civile, con le indicazioni stabilite nell’articolo 73.

Si può notare come non sia più presente l’ipotesi dell’art. 138, comma 1, secondo periodo della disposizione ante-vigente, così come sono state, per così dire, ampliate le fattispecie in cui la “dichiarazione di morte” è sostituita dalla trasmissione di un “avviso della” morte (prima: art. 138, comma 2, oggi art. 72, comma 3).

Tuttavia nel riportare la norma si è provveduto a sottolineare una previsione, in precedenza mai considerata (fin dal R.D. 15 novembre 1865, n. 2602 o, con una visione – sostanzialmente – estensiva dall’Unità d’Italia), che considera la fattispecie in cui si ignori il luogo della morte.
Un osservatore un po’ superficiale potrebbe chiedersi come, o quando, sia possibile non conoscere il luogo della morte. La realtà quotidiana, al contrario, vede numerose situazioni in cui ciò possa, fisiologicamente, aversi, tanto che, nel passato, si sono avuti anche contenziosi nella determinazione del luogo della morte.
Il caso più frequente è individuabile nella situazione di un qualche sinistro, o altro evento, in cui vi sia l’intervento di autoambulanza per trasferire la persona più o meno gravemente ferita alla struttura di pronto soccorso del caso e il decesso intervenga nel corso di questo trasferimento, situazione nella quale forse può aversi certo, o accertato, specie quando a bordo dell’ambulanza vi sia personale medico, il momento del decesso, ma il luogo può rimanere indefinito, non accertato, dato che ciò richiedere di avere elementi che facciano corrispondere, con una certa esattezza, il momento della morte con il luogo (intendendosi: territorio comunale) in cui si è verificato il decesso.
Nel passato, si erano formate prassi in cui si indicava questa situazione usando la formula “giunto cadavere”, che, come anticipato, dava, qui o là, origine a contenziosi di vario ordine e natura, a volte coinvolgendo anche gli uffici delle Procure della Repubblica (al plurale, in quanto talora il “percorso” dell’ambulanza si poteva sviluppare coinvolgendo circondari differenti), che alla fine ha portato ad indirizzi, in questo senso, cioè dell’ammissibilità dell’impiego della formula “giunto cadavere”, con un intervento del Ministero di Grazia e Giustizia (che indichiamo con l’allora denominazione, ricordando che la vigilanza sul servizio dello stato civile competeva, prima dell’entrata in vigore del citato D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 e s.m., a questo Ministero), neppure “coperto” con circolare, ma semplicemente sostanziatosi in risposta a quesiti posti da Ufficiali dello stato civile caso per caso interessati a vicende di questa natura, soluzione che risale, da ultimo, attorno al 1973, cioè a quasi mezzo secolo addietro.

Con l’attuale formulazione dell’art. 72 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 e s.m. si è, nei fatti, “formalizzato” e consolidato l’indirizzo operativo, applicativo appena visto, con la conseguenza che si è avuta, ricorrendone le condizioni, una sorta di assimilazione del luogo (comune) di “deposizione” (leggansi: avvenuto, legittimo, trasporto del corpo ora risultante privo di vita) come se fosse il comune di decesso, avendosi così – in queste situazioni – l’individuazione di un luogo (comune) fittizio di morte.
Ciò, per altro, risponde ad esigenze concrete di operatività, dato che al logo di morte si collegano ulteriori procedure: la formazione dell’atto di morte in primis, oppure la competenza, territoriale, al rilascio dell’autorizzazione alla cremazione di cadavere, nonché la competenza al rilascio di un’(eventuale) autorizzazione al trasporto, ecc.
La collocazione della previsione nel contesto dell’art. 72, comma 1 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 e s.m. potrebbe far sollevare una questione con riguardo al suo comma 3, dal momento che questo ultimo, per come redatto, considera “certo” il luogo (ora neppure più riferito al comune, ma a specifici altri luoghi) di morte.
L’antica formula di “giunto cadavere” non consentiva equivocità, mentre la formulazione attuale “sembrerebbe” non considerare questo aspetto.
Per altro, in via interpretativa, ricorrendo ad un impianto ermeneutico di carattere sostanziale ed anche funzionale, porta a suggerire che la questione del luogo (comune) di “deposizione” del cadavere, nei termini visti in precedenza, possa del tutto ragionevolmente essere estesa anche quando vi sia la “deposizione” presso “un ospedale, casa di cura o di riposo, collegio, istituto o qualsiasi altro stabilimento”, caso nel quale anche in queste ipotesi si avrà che l’”avviso della morte” venga sostituito dalla “dichiarazione di morte”.
Si conclude considerando come, in alcune situazioni, vi siano soggetti che non sembrano sempre cogliere le differenze, anche di procedimento, tra le disposizioni dell’art. 72, commi 1 e 2 (da un lato) e comma 3 (dall’altro lato) D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 e s.m., “sensazioni” che intenzionalmente si evita di approfondire oltre.

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Sereno Scolaro

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