In numerose situazioni afferenti alla gestione cimiteriale può rendersi necessario fare riferimento all’atto di concessione, spesso anche alla deliberazione e all’autorizzazione prefettizia che ne stanno “a monte”, atti e documenti che possono, in particolare quelli maggiormente risalenti nel tempo, essere stati redatti manualmente, senza il ricorso alla dattilografia, magari per il fatto che questa non era ancora impiegata.
La redazione manuale degli atti e documenti può comportare anche difficoltà di “lettura”, dato che non sempre sono agevolmente di piana lettura, in particolare per l’uso di date formulazioni, e tecniche calligrafiche, di cui si è persa in larga parte la memoria, per la ormai del tutto generalizzata scritturazione a macchina (includendo in questa non solo la dattiloscrittura, ma anche le tecnologie di scrittura ad essa susseguenti), che presenta caratteristiche di uniformità e, oggi, non equivocità.
Ma vi potrebbero anche essere altri aspetti, così come l’uso di abbreviazioni che, all’epoca, erano utilizzate come standard, mentre oggi rischiano di essere esposte a fraintendimenti: se ne fornisce un esempio, tra i tanti: nell’atto di nascita di una persona risulta l’indicazione che al nato “… è stato il posto il nome di Gio. Batt(?)a …”, persona che per il resto della vita è sempre stata indicata quale “Giovanni Battista”, anche ottenendo un titolo di studio di livello universitario, svolgendo incarichi manageriali in un’importante industria e, per qualche mandato, assumendo la carica di sindaco in un comune di una qualche importanza.
Dato che le registrazioni di stato civile dovrebbero prevalere su altre registrazioni amministrative, una tale indicazione apparirebbe incongrua con il fatto che la persona è stata anagraficamente sempre indicata come “Giovanni Battista”, e altrettanto nei curricula scolastici e documenti militari (leva, concedo, ruoli matricolari).
È evidente che, al momento della formazione dell’atto di nascita, il ricorso alle abbreviazioni indicate era avvenuto dandole come non equivoche.
Ma non è solo questo, dato che anche l’uso della grafia, se si vuole calligrafia, strumento per rendere uniformi e leggibili i testi scritti, poteva esporre a situazioni che, oggi, sembrano neppure proponibili.
Altro esempio, una famiglia avente il cognome di “Chioggia”, trasferendosi da un comune ad altro, è stata indicata come: “Chiozza”, questo per il fatto che un tempo la lettera “z” era scritta in modo elegante con un ghirigoro posto al di sotto, per cui, nel caso, la lettera “g” è stata colta come se fosse la lettera “z”.
Non parliamo dei tempi ancora più lontani quando anche nei caratteri a stampa si usava il medesimo segno per le lettere “u” e “v”, oppure “f” ed “s”.
Altro aspetto da considerare sono quelli che erano i sistemi di datazione o, più in generale, delle indicazioni numeriche.
Si pensi all’uso di indicare i mesi con una forma, in parte abbreviata, come “7mbre” in luogo di “settembre”, “8bre” in luogo di “ottobre”, “9mbre” in luogo di “novembre” (meno equivoco, quando scritto “IXmbre”), “10mbre” (o, “Xmbre”), in luogo di “dicembre, alcuni dei quali rischiano oggi di essere letti come “luglio” (“7mbre”) o “agosto” (“8mbre”, oppure i “5” scritti con un ricciolino in alto esposti ad essere letti come “9”: vi sono state persone che hanno subito danni non secondari proprio a causa di una lettura, e conseguenti successive indicazioni in documenti, impropria delle date.
Non è a caso che l’art. 24, comma 4 R.D. 9 luglio 1939, n. 1238 disponesse: “Le date, ed ogni altra indicazione numerica, sono scritte in lettere per esteso”, previsione superata dal D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 e s.m., fonte questa che, all’art. 109, comma 2, fa salve – transitoriamente (rinviando all’adozione di atti da emanarsi entro il 30 dicembre 2001, inattuati e che, forse, potrebbero essere neppure attuati, in ragione di quanto disposto dall’art. 62, comma 2-bis D. Lgs. 7 marzo 2005, n. 82 e s.m.) – alcune disposizioni del R.D. 9 luglio 1939, n. 1238, tra le quali l’art. 25, il cui comma 1 prevede: “ Nei registri ogni scritturazione è fatta a mano con carattere chiaro senza abbreviature, raschiature o parole sovrascritte ad altre, sia nella linea sia nello spazio intermedio alle linee.
Queste due indicazioni consentono di ricordare le prassi di usare abbreviazioni anche per le datazioni, come nel caso di “7mbre” per “settembre”, “8bre” per “ottobre”, “9mbre” per “novembre” o “10mbre” e/o “Xmbre” per “dicembre”, originandosi di seguito imprecisioni ed errori, come indicare “9” (mese di settembre) in luogo di “novembre”, “agosto” in luogo di “8bre” e così via.
Per non parlare delle modalità grafiche sulle cifre, come nel caso del “5” scritto in modo allungato in senso verticale concludendosi con un ricciolino in alto, che oggi si tenderebbe a leggere come “9” (se si vuole, sembrerebbe tale, essendo ormai desueta questa forma).
Si tratta di evoluzioni grafiche nel tempo che hanno generati non solo errori, ma anche effetti, talora fortemente negativi, non consentendo verifiche o altro sui dati delle persone.
Poco, invece incidono altre evoluzioni linguistiche (le lingue sono entità viventi e, come tutte queste, in costante cambiamento), ad esempio quella dell’uso della “j” in luogo di una “doppia i”, presente in alcuni plurali: es.: “vario” al plurale farebbe “varii”, scritto spesso (almeno fino ai primi ventenni del XX sec) nella forma “varj”.
Attualmente, si usa “vari” come plurale di “vario” e le “doppie i” sono state del tutto abbandonate.
Si tratta di alcuni esempi (o, per rimanere in tema: “esempii” e, anche, “esempj” …), per altro incompleti, del fatto che una lettura di testi redatti a mano prima dell’utilizzo della dattilografia (e successive modalità di scrittura a macchina) può richiedere attenzioni, cura e cautele, non senza tentativi di “decrittazione” (per così dire) circa usi e prassi oggi ormai ignote e, forse, persino estinte.