Accade abbastanza spesso che si leggano, ed applichino, le norme, siano essere di grado primario (legge ed altri atti aventi forza di legge) o di rango secondario (regolamenti), per quello che dicono senza fermarsi a considerare quale ne sia la ratio a cui rispondono, cioè la motivazione che ha portato ad una determinata formulazione.
Trascuriamo – intenzionalmente – i casi in cui il testo non sia particolarmente chiaro, così come i casi chi abbia redatto un testo volesse raggiungere uno scopo diverso da quello che, alla fine, risulta emergere dal testo che venga emanato, in quanto ciò appartiene alla possibilità di “infortuni” che possono intervenire, limitandoci a prendere in considerazione le situazioni in cui questi ultimi non si abbiano.
L’art. 26 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. (conservando l’impianto in precedenza già previsto dall’art. 24 D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803 e dell’ancora precedente art. 23 R.D. 21 dicembre 1942, n. 1880) prevede, come noto, che quando sia richiesta la cremazione di cadavere l’autorizzazione al suo trasporto dapprima dal luogo di decesso al luogo (comune) nel cui cimitero si trova l’impianto di cremazione scelto (scelta che spetta ai familiari, anche se con una certa frequenza questa avviene da parte di soggetti diversi da costoro), nonché al successivo trasporto dell’urna cineraria da questo comune a quello del “definitivo deposito” dell’urna avvenga con un unico decreto da parte dell’autorità comunale a ciò competente nel comune di decesso.
Si fa notare come la norma usi la formula “sono autorizzati” e non formule possibiliste quali potrebbero essere: “possono essere autorizzati”.
Si tratta di una deroga rispetto ad un principio generale, quello per cui ogni trasporto di cadavere (in alcune realtà vi è la differenziazione, sia procedurale sia in termini di competenze, tra “salma” e “cadavere”, differenziazione su chi non ci si addentra, tanto più che, qui o là, non si prende neppure in considerazione la prima, ma una fase temporale …), di urne cinerarie (stessa norma qui in considerazione, oltre ché art. 3, comma 1, lett. f) L. 30 marzo 2001, n. 130), di resti mortali (definiti dall’art. 3, comma 1, lett. b) D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254), di ossa umane (art. 36 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., che, poco comprensibilmente, in alcune realtà sono indicate quali: “resti ossei”), è soggetto dall’autorizzazione dell’autorità comunale a ciò competente nel comune di … “partenza” (art. 13 T.U.E.L., D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e s.m., principio che viene ri-affermato al comma 2 dello stesso art. 26 per il trasporto delle ceneri (rectius: urne contenenti le ceneri).
Pare importante porre in evidenza, per cogliere la portata di questa deroga, tenere presente come si tratti di “oggetti” diversi, diversità da cui conseguono anche procedure e, soprattutto, prescrizioni, anche operative, ben diverse. Ad esempio, per il trasporto di cadavere viene a trovare applicazione anche l’art. 20 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. (relativo al “mezzo” da impiegare per il trasporto … su strada), mentre per i trasporti di “ossa umane” e/o “urne cinerarie” non operano (di norma) “misure precauzionali igieniche stabilite/previste per il trasporto delle salme”, esenzione che altro non è se non la presa d’atto della natura stessa dell’”oggetto” del trasporto, natura che anche per questo influisce su più aspetti, “mezzi” inclusi.
Tuttavia, il fatto che si tratti di autorizzazioni diverse in relazione all’”oggetto” del trasporto non comporta deroga alle norme, di procedimento o di operatività, per l’effettuazione di tali trasporti, ma incide anche sulla competenza, in questo caso sul versante della competenza territoriale (tema che non sempre è correttamente percepito, così come anche con una certa frequenza non vi è adeguata chiarezza sulla competenza funzionale, in cui tal volta si notano promiscuità tra funzioni amministrative dei comuni e titolarità di servizi statali gestiti dai comuni).
Queste insicurezze, o imprecisioni anche operative, possono essere dilatate dal fatto che, per quanto questi aspetti attengano inequivocabilmente alla materia dell’”ordinamento civile”, materia di competenza legislativa (e regolamentare) – esclusiva – dello Stato, ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. l) Cost., non mancano interventi di altri livelli di governo (art. 114 Cost.) per cui sembra non essersi tenuto presente come ogni trasporto di ciascuno dei predetti “oggetti”, quale esso sia nello specifico, richiede preventiva autorizzazione e la sua esecuzione sia accompagnata dal relativo “titolo”, che va “consegnato” al soggetto di “definitivo deposito” (dove questo ultimo va individuato non in termini assoluti, ma rispetto al singolo specifico trasporto, cioè come destinatario finale di quel trasporto).
Si pensi a quelle formulazioni di indicazioni regionali che, in caso di trasferimento di urne cinerarie, prevedono che questo sia “comunicato” all’autorità comunale, lasciando intendere anche ex post, obliterandosi come l’autorizzazione al trasporto non possa che essere se non preventiva, e che vi sia quell’accompagnamento col “titolo” (autorizzazione) cui è stato fatto cenno.
Il fatto che il comma 2 dell’art. 26 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. faccia un rinvio al precedente art. 24 (che costituisce la regola generale “derogata” dal suo comma 1), porta ad un qualche approfondimento di questo ultimo, non tanto per i suoi commi 2 o 3, tutto sommato sufficientemente lineari, quanto attorno al comma 1.
In questo ultimo, si può notare come il trasporto possa riguardare sia un percorso “endo-comunale”, che un percorso “extra-comunale”.
Possibili equivocità si sono colte, a volte, sulla prima fattispecie dato che alcuni (pochi) sembra abbiano ipotizzato che il “luogo diverso dal cimitero” debba qualificarsi come sussistente quando vi sia quel “definitivo deposito”, cui è stato già fatto cenno, mentre le ipotesi in cui questo possa esservi sono ben più frequenti.
Si pensi al trasporto che, partendo dal luogo di decesso, abbia come destinazione l’abitazione ai fini di un temporaneo accoglimento in camera ardente, allestita presso l’abitazione della persona defunta (quando localmente siano presenti queste tradizioni), oppure, con maggiore frequenza, quando il trasporto abbia come prima destinazione un luogo di culto per la prestazione delle esequie e riti funebri, sosta che spesso ha solo la durata propria di questi riti di commiato, frequentemente temporalmente limitata, per proseguire con una seconda destinazione, a volte finale altre volte ulteriormente intermedia (tipicamente, per fasi: a) dal luogo di decesso al luogo delle esequie, b) sosta per le esequie, c) dal luogo delle esequie al cimitero, oppure: a.2) dal luogo di decesso al luogo delle esequie, b.2) sosta per le esequie, c.2) dal luogo delle esequie all’impianto di cremazione scelto, d) accoglimento nell’impianto di cremazione in attesa di queste e, quindi, cremazione, e) dall’impianto di cremazione al luogo di “definitivo deposito”, f) (eventualmente) “definitivo deposito” costituito presso l’abitazione del familiare affidatario, quando ricorra l’ipotesi dell’affidamento dell’urna ai familiari.
Ma queste fasi, possono ulteriormente ampliarsi nei casi in cui i familiari optino di avvalersi delle prestazioni di servizio offerte dalle casa funerarie, variamente presenti nelle diverse realtà.
Ora, quel “luogo diverso dal cimitero” non è, di norma, un luogo di “definitivo deposito”, ma è, almeno prevalentemente, un “luogo” in cui il trasporto funebre effettui una qualche “sosta”, avente specifiche finalità, come si ricava anche, ed in termini rafforzativi, dalla previsione del comma 3 dello stesso art. 24 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., con la sua formulazione: “… intermedi per il tributo di speciali onoranze…”: e i riti esequiali che altro sono se non onoranze alla persona defunta?
Certo, vi sono visioni che attribuiscono significati ben più profondi alle esequie, senza con questo dall’escluderne, né contraddirne la natura di onoranza.