È noto come l’art. 5 L. 30 marzo 2001, n. 130, rubricato come: ”Tariffe per la cremazione”, disponga, al comma 1:
“1. Nei casi di indigenza accertata del defunto, gli oneri e le spese derivanti dalla cremazione e dagli adempimenti cimiteriali ad essa connessi possono essere sostenuti, nei limiti delle ordinarie disponibilità di bilancio, dal comune di ultima residenza del defunto, indipendentemente dal luogo nel quale avviene la cremazione, sulla base delle tariffe stabilite ai sensi del comma 2.”, disposizione che incide non poco sulla portata dell’art. 1, comma 7-bis D.-L. 27 dicembre 2000, n. 392, convertito in L. 26 febbraio 2001, n. 26, riducendo – per la cremazione – le tre condizioni di gratuità alla sola condizione d’indigenza (in pratica, non può farsi riferimento alla situazione dell’appartenenza a famiglia bisognosa, né all’ipotesi del disinteresse da parte dei familiari).
Di tutt’altro impianto il comma 2:
“ 2. Con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro della sanità, sentite l’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI), la Confederazione nazionale dei servizi (CONFSERVIZI), nonché le associazioni maggiormente rappresentative che abbiano fra i propri fini quello della cremazione dei propri soci, sono stabilite, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, le tariffe per la cremazione dei cadaveri e per la conservazione o la dispersione delle ceneri nelle apposite aree all’interno dei cimiteri.”.
Questa previsione si è concretizzata col D.M. 1° luglio 2002, che, oltre ad avere – opportunamente – delineato le “operazioni” che sono ricomprese nella tariffa … la tariffa per la cremazione comprende ed assicura … (art. 2), ha stabilito (art. 1 ) che le tariffe per la cremazione sono fissate dal comune sede dell’impianto di cremazione entro la misura massima (comma 1) stabilita e che le tariffe per la conservazione o la dispersione delle ceneri nelle apposite aree cimiteriali sono fissate da ciascun comune entro la misura massima (comma 2) stabilita …, precisando (comma 3) che esse sono da intendere riferite all’imponibile nei casi in cui sia applicabile l’imposta sul valore aggiunto.
Dopo questa premessa, all’art. 3 di indica la misura massima della tariffa per la cremazione di cadavere, quella per la cremazione di resti mortali, definiti esiti di fenomeni cadaverici trasformativi conservativi (tenendo conto che il D.M. 1° luglio 2002 è antecedente al D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254 che ha superato le interpretazioni precedenti date con circolari), come pari all’80 % della prima, quella per la cremazione di parti anatomiche riconoscibili come pari al 75 %, nonché quella per la cremazione nelle ipotesi di cui all’art. 7 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, come pari ad un terzo.
Infine, l’art. 4 definisce la tariffa una tantum per la dispersione o la conservazione delle ceneri all’interno dei cimiteri, sempre determinata dal comune nella misura massima e che può essere determinata in misura differente in relazione al luogo di dispersione delle ceneri.
Tale ultima tariffa, anche differenziata, per la conservazione di urna cineraria in cimitero, è determinata dal comune in base alle seguenti voci di calcolo:
(a) canone annuo per l’uso dello spazio assegnato per ogni anno di durata della cessione in uso, percepibile anche in un’unica soluzione, che compete a chi cede in uso la sepoltura;
(b) canone annuo per il recupero delle spese gestionali cimiteriali, per ogni anno di durata della cessione in uso, pari o inferiore alla metà di cui al punto a), percepibile anche in unica soluzione, che compete al gestore del cimitero.
Appare importante porre in evidenza alcune conseguenze:
(i) sono ammesse differenziazioni;
(ii) anche se corrisposte in unica soluzione queste tariffe hanno natura di “canone annuo”, cosa che incide sulle registrazioni di bilancio proprie dei comuni;
(iii) si esplicita la distinzione tra “canone d’uso” e componente di “recupero delle spese gestionali cimiteriali”;
(iv) è individuata la distinta titolarità dei relativi proventi quando vi sia distinzione tra comune (quale titolare della demanialità cimiteriale (ragioni di brevità suggeriscono di non affrontare le ipotesi in cui, in caso di affidamento del cimitero a terzi, l’atto di affidamento unitamente al contratto di servizio preveda la legittimazione a porre in essere sub-concessioni)) e soggetto gestore del cimitero, quando non coincidenti.
Il quadro che ne esce è che i valori stabiliti dal decreto ministeriale pongono limiti (misura massima) ai comuni, ma non fissano, “dall’alto” la misura della tariffa.
Particolarmente importante è l’art. 5 “Adeguamento dei valori tariffari, per il quale i limiti tariffari hanno validità:
(i) da una certa data, quasi (mancano 3 giorni) 6 mesi dopo il termine indicato nella legge e che
(ii) a decorrere dall’anno 2003 siano rivalutati annualmente, con decorrenza dal 1 gennaio, in base al tasso di inflazione programmato definito dal documento di programmazione economico-finanziaria approvato dal Governo relativo all’anno di riferimento e che a cadenza triennale si proceda al riallineamento dei valori rivalutati in base al tasso di inflazione programmato rettificandoli in base ai coefficienti di aggiornamento del potere di acquisto dell’euro predisposti annualmente dall’ISTAT.
Di seguito, quest’ultima impostazione ha visto l’emanazione del D.M. 16 maggio 2006. E .. poi ?
Prima di proseguire, si fa rilevare come l’art. 4 di questo ultimo decreto ministeriale abbia disposto l’abrogazione dell’art. 2, comma 4 del D. M. 1° luglio 2002 (che, per memoria, prevedeva: “4. Al decreto del Ministro dell’interno del 31 dicembre 1983, avente ad oggetto “Individuazione delle categorie dei servizi pubblici locali a domanda individuale”, il numero 18 dell’articolo unico è così sostituito: “18) trasporti e onoranze funebri, servizi cimiteriali ed illuminazione votiva”.) e di conseguenza ripristinando l’originaria dicitura del numero 18 dell’articolo unico del decreto del Ministro dell’interno del 31 dicembre 1983, che risulta, pertanto, così formulato «trasporti funebri, pompe funebri e illuminazioni votive».
Che è avvenuto dopo il D. M. 16 maggio 2006? Probabilmente, prima di rispondere a questa domanda, merita di ricordarsi come la “rivalutazione annuale” abbia trovato supporto, dal punto di viste delle operazioni di computo, in soggetto non istituzionale (particolarmente meritevole per lo spirito di servizio), mentre il triennale riallineamento dei valori rivalutati in base al tasso di inflazione programmato rettificandoli in base ai coefficienti di aggiornamento del potere di acquisto dell’euro ha visto unicamente il già ricordato D.M. 16 maggio 2006 (senza puntualizzare troppo sul rispetto dei termini temporali).
Ovviamente, in prossimità della decorrenza del triennio, vi era chi aveva interessato il Ministero dell’interno, ma, essendovi stata una disposizione che sospendeva le variazioni tariffarie in molti ambiti, la situazione non ha potuto trovare soluzione, fino a che questa limitazione non è stata rimossa, giungendo ad una “traccia” per un “nuovo” D.M., la quale, inviata da altro Ministero per consulto e correttezza, non ha trovato altra risposta se non il silenzio (solo una presa d’atto, non una polemica perché queste non portano lontano).
Ora, il “triennio” poteva considerarsi concluso nel 2009, e pur con i ritardi che questi atti hanno ormai abbastanza frequentemente registrato, non si può evitare di constatare come siano decorsi, circa, solo … 13 anni, cioè un periodo di circa (oltre) 4 volte il triennio.
Non è il caso di aggiungere altro. Anzi alcune considerazioni possono anche farsi:
1) dal 2002 i coefficienti ISTAT circa il potere d’acquisto dell’euro hanno subito modifiche metodologiche,
2) il tasso di inflazione programmata sta divenendo sempre meno esplicitato nei DEF (già: documento di programmazione economica);
3) l’inflazione (reale, non quella programmata) è risultato nei fatti inferiore al tasso d’inflazione programmata (almeno fino a prima della pandemia, dato che questa…).