La “sepoltura” delle persone defunte per malattia infettiva-diffusiva – 1/2

Premessa
La pandemia CoVid-19, cui si è fatto fronte a partire dal 2020 (anche se il suo inizio potrebbe essere riferibile al 2019, aspetto che qui non rileva punto) ha riportato all’attenzione la questione delle “sepolture” delle persone decedute per malattie infettive-diffusive.
Usiamo il termine “sepoltura” indicandolo con la virgolettatura, per comprendere sia la normale pratica funeraria dell’inumazione che la pratica funeraria, ammessa, della tumulazione e, contemporaneamente, per escludere la pratica funeraria della cremazione, dal momento che le temperature che questa comporta sono tali da consentire di considerarla come “risolutrice” di possibili ulteriori effetti d’infettività in momenti successivi alla cremazione.
La questione delle “sepolture” va affrontata con due diverse prospettive temporali, quella iniziale, a partire dal decesso (e, spesso, prima), comprendendo eventuali trattamenti sul corpo, la sua collocazione nel feretro e, se del caso, le ritualità, il trasporto, fino al cimitero dove il feretro è destinato ad essere conservato per un tempo, tempo che può essere variabile in relazione alla pratica funeraria e/o ad eventi che possano avvenire in seguito.
Volutamente, si evita di affrontare le fasi “iniziali”, puntando ad approfondire solamente quelle che si collocano nella fase cimiteriale, questo per il fatto che queste potrebbero suggerire misure, di norma commesse alle professionalità sanitarie, che potrebbero essere anche differenziate in relazione alle specificità delle differenti malattie infettive-diffusive, come ben si può cogliere dal fatto che il loro “apposito elenco” è articolato in quattro classi [1].
Ci si limita a rinviare agli artt. 18 e 25 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., osservando, in relazione a questo ultimo, come il rilascio dell’autorizzazione al trasporto sia subordinata all’accertamento che il cadavere è stato composto in duplice cassa, dove tale accertamento deve necessariamente precedere il rilascio dell’atto amministrativo avente ad oggetto l’autorizzazione al trasporto (indipendentemente se questo si esaurisca interamente nel comune di decesso, abbia destinazione in altro comune, oppure all’estero).

Pratica dell’inumazione
Nel caso di ricorso alla pratica dell’inumazione, sia che avvenga per default, che per scelta, emerge come la morte per malattia infettivo-diffusiva, determinando l’applicazione necessaria dell’art. 25 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., venga a collidere con le disposizioni dell’art. 75, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. , anche se si potrebbe argomentare che le esigenze di salute pubblica (cioè della generalità della popolazione) prevalgano, rispetto a prescrizioni stabilite in via generale per questa tipologia di pratica funeraria.
Questa prevalenza suggerirebbe, in via interpretativa, di far ritenere che, anche se la doppia cassa costituisca un obbligo per il trasporto, quale ne sia il suo percorso, una volta che il feretro giunga al cimitero, non possa applicarsi quanto disposto dall’art. 75, comma 2 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.
Opinando diversamente, cioè per la applicabilità di questa disposizione, conseguirebbe che il personale addetto verrebbe, almeno potenzialmente, esposto ai rischi dell’infettività.
Aspetto da non sottovalutare, per quanto (a rigore) dovrebbe essere già stato in via preventiva espressamente considerato all’interno del DUVRI e delle misure del caso, in applicazione del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 e s.m.
Ma, forse, qui si tratta di considerare anche il principio di proporzionalità ed adeguatezza.
Non dimentichiamo, in questo contesto, neppure quanto preveda l’art. 84, comma 1 (nello specifico, lett.b)) D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., che – fatti salvi i casi ordinati dall’Autorità Giudiziaria (eccezione che ripropone la questione delle misure di sicurezza da considerare preventivamente ed attuare) – ammette che possano effettuarsi, salvo che nei periodi considerati all’immediatamente precedente lett. a), esumazioni straordinarie (per il trasporto/trasferimento in altra sepoltura o per una successiva cremazione) alle condizioni che:
(i) che siano decorsi 2 anni dalla morte [2] [3],
(ii) che la struttura competente dell’ASL dichiari che possa avvenire senza alcun pregiudizio per la salute pubblica.
Per inciso, nell’ipotesi di esumazione straordinaria ai fini della successiva cremazione, diventerebbe vincolante il ricorso ad impianto di cremazione che si disponga della tecnologia per poter provvedere alla cremazione di feretri confezionati in duplice cassa.
Anche quando non ricorrano le motivazioni per effettuare esumazione straordinaria, merita di doversi considerare la situazione nel caso di esumazione ordinaria che avvenga decorso il turno ordinario di rotazione.
In tal caso, è presumibile che l’esumazione ordinaria avvenga nell’11° anno dalla morte (anche se, nella realtà, ciò avviene ben dopo, a seconda della regolazione che venga data a queste operazioni, spesso rispondente ad esigenze locali, organizzative, ecc.), occasione nella quale viene ad applicarsi l’art. 85 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., il ché comporta che vi sia l’apertura del feretro, che, in quanto composto da duplice cassa, comporta interventi non solo sul cofano in legno, ma altresì anche la rimozione di quello in zinco [4].


[1] – www.salute.gov.it/imgs/C_17_normativa_1357_allegato.pdf
[2] – Termine temporale che per molti (ma non per tutti!) agenti infettivi può essere considerato sufficiente a renderli inattivi o non riattivabili.
[3] – Non si ignora che alcune norme regionali siano intervenute in proposito, ma non se ne fa qui riferimento (se non che con la presente nota) per motivi di brevità espositiva.
[4] – Anche se il D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. indichi ancora (art. 30, comma 4) anche il piombo, questo metallo non è impiegato da più decenni.

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Sereno Scolaro

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