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Premessa introduttiva
All’inizio è stata un’ordinanza del Capo del Dipartimento per la Protezione civile presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. {1}
Queste indicazioni (o, prescrizioni?) portano a richiamare le norme del D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 e s.m. (di seguito abbreviato con: “R.S.C.”), della L. 30 marzo 2001, n. 130, che ne vengono interessate.
In primis, il comma 1 del predetto art. 1 interviene su procedure in via normale regolate dal R.S.C. (osservandosi, incidentalmente, come non sia citato e, in suo luogo, sia citato il R.D. 7 luglio 1939, n. 1238, abrogato – salve le previsioni dell’art. 109 – dal R.S.C. fin dal 30 marzo 2001), cioè quelle del Titolo IX R.S.C.
In particolare, ricordiamo l’art. 72 R.S.C. che prevede (ipotesi A) che l’evento morte sia oggetto di dichiarazione da rendersi all’Ufficiale dello Stato Civile (commi 1 e 2), in funzione della formazione dell’atto di morte (trascuriamo intenzionalmente qui i termini temporali, i soggetti legittimati e altre minuzie), in qualche modo come “regola” (anche se quantitativamente spesso si registrano prevalenze di altri procedimenti per la formazione dell’atto di morte), la quale trova deroga (comma 3) nelle ipotesi di decessi che avvengano in specifici “siti” (ospedale, casa di cura o di riposo, collegio, istituto o qualsiasi altro stabilimento) in cui la “dichiarazione” è sostituita, surrogata da un “avviso”, cioè da una comunicazione in forma scritta.
Sia la “dichiarazione” che l’”avviso” hanno come oggetto contenutistico gli elementi previsti per il contenuto dell’atto di morte (art. 73 R.S.C.); la “dichiarazione” comporta la formazione di un “processo verbale”, come è, in genere, tipico per tutte le iscrizioni di atti di stato civile, ricevuto dall’Ufficiale dello stato civile in presenza della persona “dichiarante”.
Con l’anzidetta Ordinanza (per ragioni di brevità non l’indichiamo per esteso), viene previsto che, durante la fase emergenziale (aspetto che va sempre tenuto presente), la formazione dell’atto di morte possa avvenire non solo secondo le norme generali in materia, ma anche sulla base di un “avviso” o dell’accertamento del decesso, situazioni nelle quali la formazione dell’atto di morte non ha luogo in termini di iscrizione, quanto di trascrizione.
Sulla differenza tra iscrizione e trascrizione si rinvia all’art. 71 R.S.C., non senza ricordare che il richiamo all’utilizzo della Parte II Serie B (cfr., altresì l’art. 109, comma 2 R.S.C., nonché gli artt. 16, 17 e 18 D.M. (Interno) 27 febbraio 2001) dei registri per gli atti di morte è coerente con l’istituto della “trascrizione”.
Ora, fin tanto ché si parla di “avviso” non si può prendere atto del fatto che esso non faccia altro che consolidare la previsione dell’art. 72, comma 3 R.S.C.
Più interessante, se lo si voglia: innovativo, il richiamo all’”accertamento”, che, secondo noi, porta a surrogare la “dichiarazione”.
Oltretutto, l’accertamento del decesso è regolato dall’art. 4 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., disposizione che richiama (commi 1 e 4) il R.D. 9 luglio 1939, n. 1238, dal momento che all’epoca della sua emanazione il R.S.C. era ancora ben al di là dal venire [1]), con la conseguenza che il certificato della visita fatta ai fini dell’accertamento del decesso (denominato: certificato necroscopico) viene, con l’Ordinanza, a svolgere una funzione che non è più solo quella, in qualche modo tradizionale, di attività prodromica al rilascio delle autorizzazioni di cui all’art. 74 R.S.C. (cioè di autorizzazione all’inumazione o distintamente alla tumulazione, commi 1 e 2, oppure di autorizzazione alla cremazione, comma 3), ma altresì diviene anche un certo quale sostituto dell’”avviso”, anche per i decessi che avvengano in siti diversi da quelli considerati dall’art. 72, comma 3 R.S.C.
In tal modo, viene superata l’esigenza della “dichiarazione” resa in presenza, al fine della formazione del “processo verbale” per l’”iscrizione” dell’atto di morte.
Del tutto rilevante la previsione che tali “documenti” siano oggetto di trasmissione telematica, cosa che ha evidentemente, e senza che sia necessario esplicitarne la motivazione, la finalità di contenere, se non eliminare, ogni attività “in presenza”.
Se nella situazione pandemica (non trascuriamo che l’Ordinanza è stata adottata in un contesto di c.d. lock down) questa previsione era/è stata funzionale a ridurre ogni possibilità di contratto interpersonale, essa comunque ha consentito di rimuovere molte resistenze all’utilizzo di tecnologie informatiche nell’ambito delle attività e procedimenti amministrativi.
All’inizio è stata un’ordinanza del Capo del Dipartimento per la Protezione civile presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. {2}
L’art. 1, comma 2 dell’Ordinanza affronta una pluralità di autorizzazioni, partendo da quella avente ad oggetto il trasporto: per ciascuna di queste autorizzazioni indichiamo, per memoria e raccordo, la disposizione (o, le disposizioni) di riferimento in situazioni pre-pandemia.
Per l’autorizzazione al trasporto: articoli da 23 a 26 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.; l’affidamento ai familiari dell’urna cineraria: art. 3, comma 1, lett. e), in fine periodo, L. 30 marzo 2001, n. 130; l’inumazione o distintamente la tumulazione: art. 74, commi 1 e 2 R.S.C.; la cremazione (art. 3, comma 1, lett. a) e lett. b) L. 30 marzo 2001, n. 130; la dispersione delle ceneri: art. 2 (che ha introdotto all’art. 411 C.P. i commi 3 e 4) ed art. 3, comma 1, lett. c) L. 30 marzo 2001, n. 130), incidendo conseguentemente su di una pluralità di fonti del diritto.
Anche qui è prevista la trasmissione telematica, con la differenza, rispetto al comma 1, dove essa era indicata come standard, con una (sembrerebbe) attenuazione, nel senso che la presenza di un “anche” porterebbe ad indurre a pensare che la trasmissione telematica non assuma un ruolo di metodologia esclusiva.
In questa fase, vi è stato anche chi si era posto l’esigenza di approfondire altri aspetti, chiamiamoli “collaterali”, in primis (e.g.) come affrontare gli obblighi di assolvimento dell’imposta di bollo, laddove le anzidette “autorizzazioni” ne fossero soggette, poiché, tra le “autorizzazioni” così considerate, alcune vi sono soggette.
Ora, la questione trova soluzione nelle disposizioni degli artt. 3, comma 1, lett. b) (fermo restando quanto disposto dal successivo art. 11!) D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642 e s.m.
Anche qui l’Ordinanza porta a diffondere maggiormente, se non proprio a generalizzare, il ricorso a “strumenti”, previsti dall’ordinamento giuridico, non sempre o non dovunque utilizzati.