Spesso sulle iscrizioni, specie in alcune tipologie di sepolcri, si possono leggere testi quali: “… ti avremo sempre nei nostri cuori …”, oppure: “… non ti dimenticheremo mai …” o simili, testi che vogliono rappresentare una continuità tra i familiari ed i propri defunti.
Ed in prossimità del decesso le persone hanno, in tutta sincerità, l’auto-percezione di una durata infinita del lutto, anche se ciò non tenga conto (e in tali momenti non può tenersene conto) di come il lutto si muova secondo una serie di onde, con picchi (più o meno) in date topiche, che tendono progressivamente allo smorzamento e le cui lunghezze d’onda e frequenze sono tutt’altro che regolari e diversificate da persona a persona.
Se queste espressioni siano generalmente sincere, non vengono a mancare situazioni in cui il comportamento, quello di fatto, vada in direzioni diverse.
In una certa data, oltre un biennio addietro, è deceduta nel comune A una persona, residente nel comune B, per cui è stata richiesta la cremazione, avvenuta nel comune C.
Nel provvedimento che ha autorizzato il trasporto del feretro dal comune A al comune C (dove si trovata l’impianto di cremazione scelto), nonché (art. 26 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.) il successivo trasporto al comune di destinazione finale dell’urna cineraria questo ultimo era indicato come D.
La cremazione è stata regolarmente eseguita nei termini temporali ordinari, così come la raccolta delle ceneri nell’urna cineraria debitamente sigillata e munita delle prescritte indicazioni identificative.
Fino a qui nulla al di fuori delle normali procedure, se non fosse che, decorso oltre un biennio (di ripete intenzionalmente questo dato temporale, dato che nelle normative in materia non è indicato, stabilito un particolare termine per il ritiro delle urne cinerarie e – va doverosamente aggiunto – che qui o là vi siano urne cinerarie in attesa di ritiro da tempi anche maggiori!), nessun soggetto si è mai attivato per il ritiro dell’urna cineraria e il suo trasporto al comune D.
Il soggetto gestore si è fatto parte diligente presso il comune di decesso, A, per ottenere informazioni circa la conoscenza di persone aventi titolo a disporre dell’urna cineraria, in sostanza di familiari, venendo ad emergere come la persona defunta avesse 2 figlie/i (F1 e F2), che risultavano, al momento del decesso essere residenti F1 nel comune E e F2 nel comune F.
Sempre il soggetto gestore dell’impianto che era stato scelto per la cremazione ha richiesto un intervento all’operatore che aveva a suo tempo eseguito il trasporto del feretro dal comune di decesso A al comune di cremazione C, il quale ha ritenuto di non avere obblighi, in quanto il trasporto era stato regolarmente effettuato e la relativa fattura saldata, per cui riteneva del tutto esaurita ogni propria competenza.
Si tratta di una situazione (tra l’altro non isolata, per quanto rara) che evidenzia come siano aperte, non definite alcune “fasi” di questi processi.
La prima di queste è la determinazione del tempo durante il quale l’impianto di cremazione debba conservare l’urna cineraria in attesa della sua consegna da parte delle persone legittimate al ritiro per la successiva destinazione (chiamiamola) finale o, solo, conseguente, nel rispetto della volontà della persona defunta.
Fase che presenta una seconda, in qualche modo subordinata, cioè quella di quali siano le persone legittimate al ritiro, aspetto che porta al rinvio ai principi generali in materia di titolarità a disporre delle spoglie mortali, legittimazione che può essere esercitata direttamente, personalmente oppure anche dandone mandato ad altre persone, che richiede pur sempre forma scritta.
Circa la prima difettando, come già osservato, ogni indicazione normativa, ed a qualsiasi livello, ogni determinazione in proposito porta a rinviare alla carta dei servizi (in alcuni casi, si dovrebbe parlare di carta della qualità dei servizi, dato che non si riesce mai ad esprimere indicazioni con termini costanti e/o uniformi) del soggetto gestore dell’impianto di cremazione, anche se ben potrebbe aversi un’espressa previsione nel Regolamento comunale di polizia mortuaria del comune nel cui cimitero è allocato l’impianto di cremazione, soluzione questa maggiormente coerente quando tale impianto sia gestito direttamente (in economia diretta) dal comune.
Ma anche in quest’ultima situazione, lo strumento della carta dei servizi (comunque denominata) potrebbe essere sufficiente ed esaustivo, con la differenza che, rispetto all’opzione regolamentare, il ricorso a questa strumentazione, cui è destinatario il pubblico che si avvale del servizio, non potrà farsi applicazione dell’art. 7-bis T.U.E.L., D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e s.m.
Va osservato come questo aspetto possa risultare di scarsa rilevanza, dato che avrebbe maggiore efficacia (art. 1, comma 1 L. 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.) il fatto di prevedere che, una volta determinato un periodo di latenza nel corso del quale la temporanea custodia dell’urna cineraria in attesa della consegna/ritiro della stessa da parte di persona legittimata (o per legittimazione propria o per mandato conferito a tale fine da persona avente titolo) va considerata come se fosse inclusa nelle operazioni elencate dall’art. 2 D. M. (interno) 1° luglio 2002.
Decorso questo tempo, la custodia per il periodo successivo potrebbe essere oggetto di tariffazione, non senza escludere che una tale tariffazione sia articolata per fasce temporali, tendenzialmente incrementando quando maggiore possa essere il tempo.
Ovviamente, questo dovrebbe anche prevedere situazioni in cui una temporanea custodia venga ad avere durata superiore a quella standard fissata in via generale, quando vi siano motivate ragioni (da pre-individuare) che la giustifichino.
Fino a qui quando gli aventi titolo a disporre delle spoglie mortali assolvano, più o meno, diligentemente al loro ruolo.
Non va ignorato il fatto che può accadere, come nella situazione richiamata inizialmente, che vi sia, semplicemente, un’inerzia.
In tali casi il soggetto gestore dell’impianto di cremazione viene coinvolto in attività improprie (nel senso di “non proprie” della funzione dell’impianto di cremazione, accoglimento dei feretri, cremazione, polverizzazione, riempimento e chiusura dell’urna cineraria, sua temporanea custodia, fino alla consegna a chi ne abbia titolo), come (e.g.: attivazione di ricerca delle persone legittimate a disporre delle spoglie mortali, comunicazioni di sollecito (che si tratti di semplici comunicazioni orali (anche telefoniche), di comunicazioni scritte, di comunicazioni formali (raccomandata, PEC) è aspetto che va valutato caso per caso, a seconda delle singole specifiche situazioni) o, provveduto a queste, l’adozione di provvedimenti conseguenti.
Attività improprie che generano oneri, sia di procedimento che di altra natura che non possono non essere debitamente “coperte”. Ad esempio, se nel provvedimento di autorizzazione al trasporto dell’urna cineraria, sia che sia l’atto unico di cui all’art. 26 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., sia che sia atto distinto, sia indicato un comune di destinazione dell’urna cineraria, questa indicazione non legittima il soggetto gestore dell’impianto di cremazione a farsi carico dell’esecuzione di questo trasporto.
Quanto l’inerzia venga ad assumere un carattere di vero e proprio abbandono dell’urna cineraria, residua un’unica opzione, quella dell’applicazione della disposizione dell’art. 80, comma 6 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. che, come noto (o risultante dalla mera lettura del suo testo), prevede l’uso del cinerario comune sia per “scelta”, sia quando: “… i famigliari del defunto non abbiano provveduto ad altra destinazione”.
Ovviamente a questa operazione non si può non pervenire dopo avere esperito tutte le attività che caso per caso siano necessarie ai fini di un’adeguata tutela delle persone interessate, nel pieno e sostanziale rispetto delle disposizioni procedimentali (ancora una volta: L. 7 agosto 1990, n. 241 e s.m. ed eventuali altre).
Ma quando soggetto gestore dell’impianto di cremazioni sia soggetto terzo rispetto al comune in cui l’impianto ha la propria localizzazione, situazione largamente presente, prima di procedere in tal senso dovrà esservi adeguata corrispondenza tra impianto di cremazione e comune, dal momento che ne consegue l’accoglimento da parte di questi dell’urna ai fini della dispersione nel cinerario comune e le connesse registrazioni nei registri di cui all’art. 52 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.
Infatti, il fatto di dover utilizzare il cinerario comune presente nel cimitero in cui si trova allocato l’impianto di cremazione è la conseguenza del fatto che il soggetto gestore dell’impianto non abbia titolo a provvedere a trasporti dell’urna cineraria altrove, ma anche che il cinerario comune non possa essere che quello presente nel cimitero in cui la situazione di “abbandono”, anche se meramente di fatto, è venuta a determinarsi.