§ 8.- La situazione apparentemente “insoddisfacente” del 3° periodo
Questo ultimo cenno permette di affrontare un aspetto, anche questo a volte poco considerato, che è quello che si ricava dal 3° periodo dell’art. 1, comma 7-bis D.-L. 27 dicembre 2000, n. 392, convertito nella L. 26 febbraio 2001, n. 26.
Come ricordato (Cfr.: § 1) la norma è stata introdotta per chiarire (…) la questione dell’onerosità del trasporto del feretro, quando la cremazione debba avvenire in impianto di cremazione sito in altro comune.
Per altro, non si può non osservare come, se la persona defunta sia in situazione di indigenza, difettino le risorse non solo per provvedere alla cremazione, ma, presuntivamente, anche quelle per far fronte agli oneri del trasporto del feretro (ricordando, ancora, come la norma abbia influito, con effetti di abrogazione implicita, sull’art. 16, comma 1, lett. b) D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. (Cfr.: § 1).
Cosa che vale, sia quando si faccia ricorso alla pratica funeraria dell’inumazione, oppure a quella della cremazione. Evidentemente, se non vi sono risorse economiche per far fronte alla pratica funeraria, altrettanto dovrebbe aversi per quelle necessarie per far fronte agli oneri per il trasporto del feretro.
Indubbiamente, si è in presenza di un fattore di criticità della norma, cui il legislatore, pressato (forse) dall’esigenza di chiarire che gli oneri per il trasporto del feretro, se necessari, sussistono anche in presenza delle condizioni per la gratuità della cremazione, non ha compiutamente considerato.
§ 9.- La questione delle estumulazioni
Ricordiamo quanto detto al § 2 circa l’ambito di applicazione della norma; non si dovrebbe neppure affrontare questa situazione, in quanto del tutto improponibile, proprio per il fatto di essere estranea all’ambito di applicazione.
Tuttavia, merita di essere affrontata avendo presente come, da un lato, l’art. 58, comma 2 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. disponga che nella determinazione della superficie cimiteriale dedicata all’inumazione (in campo comune), quella che è il (solo) fabbisogno cimiteriale che il comune deve assicurare – congiuntamente ad almeno un cimitero a sistema di inumazione (Cfr.: art. 337, comma 1, R. D. 27 luglio 1934, n. 1265 e s.m.) – si debbano tenere presenti anche le inumazioni effettuate a seguito delle estumulazioni di cui all’art. 86. , nonché – si aggiunge – anche … dell’eventualità di eventi straordinari che possono richiedere un gran numero di inumazioni.
Il rinvio, espresso, alle inumazioni, a seguito di estumulazioni, non consente però di considerare queste come quelle rientranti nell’ambito di applicazione della norma, sia per il fatto che queste hanno luogo molto tempo dopo la morte (spesso, decenni), ma – soprattutto – per il fatto che sono l’esito, la conseguenza di una pregressa pratica funeraria che non è, né mai è stata, “servizio pubblico” e che è stata sempre a titolo oneroso, anche in quanto sepoltura privata all’interno del cimitero.
Questi ultimi aspetti comportano che non possano esservi condizioni di gratuità, dato che la (precedente, all’estumulazione) natura di sepoltura privata, necessariamente, ne comporta l’esclusione.
Per altro, occorre parlane, se non altro per il fatto che, alla scadenza della concessione (art. 86, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.), quell’onda smorzata (Cfr.: § 7) può costituire un fatto rilevante.
Infatti, alla scadenza della concessione, le relazioni affettive e di lutto che avevano, all’origine, determinata una scelta per la tumulazione, possono essere ben attenuate se non del tutto esaurite.
Prendiamo (e.g.) il caso più estremo, quello di una concessione di sepolcro 99ennale (non consideriamo eventuali risalenti concessioni in perpetuo, per cui non vi è scadenza e, quindi, è (sarebbe) esclusa anche l’ipotesi di estumulazione), dove vi è la concreta possibilità che le persone oggi assumibili a riferimento (se note, reperibili, ecc.) si trovino di fronte alla situazione di intervenire, in termini anche di onerosità, rispetto a defunto di cui, in molti casi, non hanno neppure memoria (se non quella, e forse, dei nominativi risultanti dalle iscrizioni apposte sul sepolcro).
È evidente che la stessa propensione/disponibilità a far fronte ad oneri tende a ridursi, spesso tenendo a zero, con quella che potremmo chiamare “distanza affettiva”.
Per non dire come, al momento della scadenza della concessione, le persone oggi assumibili a riferimento potrebbero essere plurime, magari con gradi di parentela (a colte, anche di affinità) tali da ingenerare criticità, per non dire quando vi siano contrasti tra le persone o semplicemente quando non vi siano molte relazioni tra le diverse persone che, a rigore, sono co-interessate.
Questo comporta che il cimitero (o il gestore del servizio, se ed in quanto il contratto di servizio l’attribuisca a questi) si trovi, alla scadenza della concessione in situazioni non semplici, sia per l’individuazione delle persone cui riferirsi, sia per il loro reperimento, sia per il fatto che le persone possono non riconoscere (si permetta questo termine) il fatto di essere soggetti obbligati a sostenere gli obblighi conseguenti.
È ben vero che, in certe situazioni, queste fasi procedimentali sono lunghe ed elaborate, comportando “costi” di attività, talvolta superiori ad una mera, passiva assunzione di un onere, per quanto indebito, ma ciò non può essere assunto come alibi per non affrontare la situazione, possibilmente al meglio.
Per questo, non ci “piacciono” (valutazione chiaramente personale e che vale per quel che valga) le prassi, in alcuni casi presenti, per cui alla scadenza della concessione si propone, con leggerezza, alle persone interpellate di “dichiarare”, unilateralmente, un proprio “disinteresse”.
Tuttavia, il problema esiste e non può essere ignorato. In molte situazioni l’approccio “accademico” contrasta, “fa a pugni”, con le problematiche gestionali, concrete ed attuali, pur non potendo essere rimosso con mera superficialità.
§ 10.- Ulteriori effetti “a valle”
A questo punto può essere affrontata la questione, che generalmente rimane ignota ai “non addetti ai lavori”, consistente nel fatto che, alla scadenza della concessione (ma si vedrà infra che si dovrebbe dire “prima della scadenza della concessione” …), chi abbia titolo sulla concessione, eventualmente co-interessando chi abbia titolo a disporre delle spoglie mortali (termine che si usa per indicare quanto vi è, o rimane, del corpo della persona defunta, senza considerare lo “stato” in cui si trovi), dato che le due posizioni non sempre si sovrappongono, dovrebbe provvedere a dare diversa destinazione alle spoglie mortali (incluso l’eventuale collocamento delle ossa nell’ossario comune, se o quando ciò sia possibile), provvedere alle opere ed interventi (es.: pulizia, sanificazione, messa in pristino, ecc.) che, caso per caso, siano necessari acciocché il sepolcro possa essere, dal giorno successivo alla scadenza, fatto oggetto di assegnazione, e fruizione, a terzi, dal momento che dal giorno successivo alla scadenza non sussiste più alcun titolo a fruire del sepolcro.
In realtà, cioè, non avviene o avviene con tale rarefazione da non poter essere considerata ordinaria, per cui il comune (o il soggetto gestore, in caso di affidamento a terzi del servizio) viene a dover svolgere attività di gestione anche per sepolcri che, a rigore, avrebbe potuto assegnare ad altri.
Del resto, la situazione è simile alla locazione degli immobili, dove il locatario deve riconsegnare l’immobile locato nelle condizioni quo ante al proprietario alla scadenza, con la conseguenza che il trasloco degli arredi, le opere ed interventi di ripristino, tinteggiature, ecc. non possono che materialmente essere eseguiti/avvenire prima della riconsegna dei locali, alla scadenza della locazione. Per i sepolcri si registra de facto una gestione ben oltre i termini.