Interessarsi del “disinteresse” – 2/3

§ 5.- Quale è il significato del “disinteresse”?
Una volta assodato che la condizione di “disinteresse” deve necessariamente sussistere al momento della morte, una delle conseguenze consiste nel fatto che il “disinteresse” non è, né può essere, rimesso ai soggetti tenuti (familiari).
Non si entra, intenzionalmente, nella tematica che comporterebbe l’individuazione di quali siano le persone così onerate, trattandosi di aspetti che trovano regolazione nel Regolamento comunale di polizia mortuaria, ma si cerca, magari anche ricorrendo a qualche esemplificazione, di individuare il significato ed il contenuto che sostanziano un “disinteresse”.
Il primo esempio, cui si può fare riferimento, è quello della persona c.d. “sola”, intendendosi per tale sia quella che non abbia familiari, come quella di cui non si conosca se vi siano o meno familiari. In tal caso (ma potremmo usare il plurale, dato che sono state unificate due situazioni diverse) si è in presenza di posizioni soggettive aventi carattere oggettivo.
Per altro, questa unificazione presenta un limite, nel senso che la seconda potrebbe, in tempi successivi, trovare altro esito, quello per cui la conoscenza di eventuali familiari intervenga successivamente alla “sepoltura” (ricordiamo il motivo dell’uso della virgolettatura), riproponendo ex post la questione della ripetizione delle somme costituenti l’onere.
Un secondo esempio è quello per cui i familiari siano presenti e/o noti, ma questi non assumano comportamenti attivi di sorta.
Ciò consente di considerare come in molti Regolamenti comunali di polizia mortuaria siano opportunamente definiti tempi per provvedere, decorsi i quali il “disinteresse” viene assunto come esistente.
Ovviamente, ciò non esclude che possano aversi eccezioni, deroghe (o condizione di legittima derogabilità), come potrebbe essere nel caso in cui i familiari, noti o approssimativamente noti, siano in condizioni, oggettive, di non poter agire entro i termini di presunzione del “disinteresse”, come nel caso (es.) di familiari che si trovino lontani, magari all’estero e per i quali i tempi di raggiungimento del luogo possano essere superiori a quelli predeterminati; situazioni soggettive che meritano di essere affrontate caso per caso, anche valutando, ove occorra, quali siano o possano essere le tolleranze sui termini.
Nei fatti, la natura dell’istituto del “disinteresse”, per quanto sin qui considerato, è un dato oggettivo, il cui contenuto è, generalmente e, soprattutto, essenzialmente, di natura comportamentale.
In altre parole, il “disinteresse” è un comportamento, il quale deve sussistere, e persistere anche nel tempo.

§ 6.- Quid iuris se il comportamento emerga essere o risultare smentito?
Partendo da quanto precede, circa la natura essenzialmente comportamentale del “disinteresse”, potrebbe accadere che i familiari possano, strumentalmente, adottare comportamenti volti a sottrarsi ai loro obblighi derivanti dalla norma, magari utilizzando l’inerzia temporale stabilita dalla regolamentazione locale, per presumere (presunzione semplice) il suo concretizzarsi.
Ma, appunto perché si è in presenza di un istituto a carattere comportamentale, potrebbe anche aversi che i familiari tenuti a sopportare l’onere, adottino, contemporaneamente o di seguito nel tempo, comportamenti contradditori con un oggettivo “disinteresse”, es.: con la pubblicazione di necrologi (avvisi funebri), oppure con la richiesta di installazione di lapidi e/o monumenti funebri (se ed in quanto ammessi dal Regolamento comunale di polizia mortuaria, anche oltre l’ambito di applicazione dell’art. 62 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.), oppure, se vi sia stata cremazione, con la richiesta di concessione di nicchia cineraria o altra collocazione cimiteriale (oppure non cimiteriale, nei casi di richiesta di dispersione delle ceneri o di affidamento ai familiari dell’urna cineraria) diversa da quella considerata all’art. 80, comma 6 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.
Oppure, ancora, se localmente presente l’ammissibilità, nei casi in cui si richieda non l’inumazione in campo comune (cit. art. 58 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.), oppure sia richiesta – salvi i casi di eventuali disposizioni dell’Autorità Giudiziaria per fini di giustizia (da cui, probabilmente, andrebbero non considerate le disposizioni motivate da contenziosi di natura privatistica o, semplicemente, di diritto civile – e non penale – come nei casi di esecuzione di contratti assicurativi, tanto per dirne una) una qualche esumazione nei casi di cui all’art. 83 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. (esumazione straordinaria).
Si potrebbero, forse, formulare anche altre esemplificazioni, ma ce ne si astiene per evitare prolissità.
Trattandosi di ipotesi non coerenti col “disinteresse”, quale comportamento passivo inerziale, in tutte queste situazioni non possono che sorgere i presupposti per l’azione di ripetizione delle somme relative.

§ 7.- Che accade alla “fine” della “sepoltura”?
E’ già stato considerato (Cfr.: § 3) come l’ambito di applicazione della norma, qui a riferimento, sia l’inumazione come “processo” (per un momento tralasciamo il caso in cui vi sia stata cremazione, di persona indigente); processo che ha una durata e “finisce” con la perenzione dell’ordinario turno di rotazione (art. 82 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.
Sempre in precedenza (Cfr. § 4) è stato rilevato come le condizioni soggettive delle persone possano, nel tempo, essere suscettibili di variazione. Ora, come largamente noto, il lutto non è un “qualche cosa” di rigido, né immutabile, ma si svolge come una sorta di onda che, con oscillazioni, tende, con velocità variabili, anche soggettivamente, a smorzarsi, al pari delle c.d onde smorzate od, in fisica, alle oscillazioni smorzate; come alcuni punti sono alti (es.: nelle ricorrenze di anniversario), altri bassi.
Un tempo, circa fino agli anni ’50 – ‘60 del secolo scorso, e con variabilità areolari notevoli, era abbastanza prassi (anche questa comportamentale) di portare il lutto vestendo integralmente di nero (magari utilizzando la bollitura con specifici prodotti a base di nero-fumo idonei a rendere nei abiti di altro colore); per gli uomini per un anno, per le donne, specie se coniugi della persona defunta, ciò avveniva a tempo indeterminato. Si passava, poi, a portare una fascia nera al braccio per un ulteriore periodo, sostituita in seguito da un bottone nero all’occhiello della giacca per altri periodi e, solo successivamente, si dismetteva progressivamente questi “segni”.
Si trattava di usi e consuetudini socialmente regolati e che ormai sono stati abbastanza abbandonati, anche se, qui o là, persistono, forse con minore “cogenza sociale”, ma che erano la spia proprio di questa natura di onda progressivamente smorzantesi.
Ora, questo smorzamento può anche coniugarsi con il mutamento delle condizioni oggettive dei familiari. Per altro, il fatto che la norma di riferimento indichi, del tutto esplicitamente, di applicarsi anche all’esumazione, l’eventuale mutamento delle condizioni soggettive delle persone tenute all’onere dovrebbe non poter essere considerata.
Il condizionale è comprensibilmente d’obbligo, dal momento che se le condizioni soggettive siano talmente variate in pejus, probabilmente l’affermazione appena fatta rischia di rimanere del tutto astratta.

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Sereno Scolaro

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