Interessarsi del “disinteresse” – 1/3

§ 1.- Il punto di partenza
Sono ormai passati oltre 20 anni dall’entrata in vigore (2 marzo 2001) dell’art. 1, comma 7-bis D.L. 27 dicembre 2000, n. 392, convertito nella L. 26 febbraio 2001, n. 26, ma sembra che la sua portata non sia sempre divenuta patrimonio comune consolidato.
Si potrebbe dire che non sia stata ancora “assorbita” (“digerita”?)come aspetto ordinario, più o meno indiscusso, di senso comune, fattore ordinario. Del resto, non si ignora come, in ambito cimiteriale e di pratiche funerarie, i tempi di evoluzione delle “percezioni sociali” si sviluppino ed evolvano lungo percorsi temporali mai istantanei e sempre proiettati in orizzonti temporali particolarmente lunghi, forse valutabili in termini di generazioni, spesso più di una.
Con tale disposizione, come noto, è stata conservata l’equiparazione della cremazione all’inumazione quale servizio pubblico e sono state individuate le residue condizioni per un’eventuale loro gratuità (ricordando, per inciso, come, per la cremazione, l’art. 5, comma 1 L. 30 marzo 2001, n. 130, di non molto successivo (2 mesi circa), abbia adottato un criterio più contenuto).
La norma è stata introdotta, in sede di conversione, con una finalità: quella di definire l’onerosità del trasporto del feretro, nei casi in cui la cremazione debba avvenire presso impianto di cremazione sito in comune diverso, ma il testo adottato è stato tale da essere meno esplicito sul punto (Cfr.: il terzo periodo della norma qui di riferimento) ed avere effetti di maggiore ampiezza.
Indipendentemente dalla formulazione testuale la disposizione de qua ha comportato un effetto importante, che merita di essere evidenziato.
Forse, senza neppure rendersene conto, il legislatore ha formalizzato una situazione, comunque già per molti versi presente, attuando quello che può definirsi come un “affidamento” ai familiari delle pratiche funerarie.
Del resto, la questione dell’onerosità o meno del trasporto del feretro avrebbe, accademicamente, dovuta essere presente anche per l’inumazione, nei casi in cui questa dovesse avvenire (es.: in ragione dell’ultima residenza in vita della persona defunta) in comune diverso, rispetto a quello di decesso.
Perché la questione si è posta per la cremazione, ma non si era posta per l’inumazione? Probabilmente, per il fatto che l’inumazione, pratica funeraria standard, era (come è) stata assunta come “normale”, mentre la cremazione era, storicamente, sempre stata considerata come una pratica “ammissibile”, con specifiche modalità per l’accesso e, a titolo oneroso, almeno fino a che (1987) non ne è stata introdotta la gratuità, attraverso il processo di equiparazione all’inumazione attraverso la sua (allora innovativa) qualificazione quale “servizio pubblico”.
Nei fatti, nelle ipotesi, per così dire, consolidate del trasporto funebre ai fini dell’inumazione, anche se l’art. 16 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. (così come le norme corrispondenti ad esso antecedenti) prevede che il trasporto del feretro sia “a carico del comune” (si fa notare che non si parla di gratuità, ma che si considera il soggetto su cui grava l’onere, sulla considerazione che non vi sia mai gratuità, ma che questa implichi che vi sia un soggetto diverso su cui gravi un onere) come “regola”, mentre vi sia un onere (per i familiari o altre persone) – “eccezione” – allorquando vengano richiesti servizi o trattamenti speciali, lasciando all’ambito della regolamentazione locale l’individuazione di quali siano questi servizi o trattamenti speciali, individuazione che potrebbe anche aversi “in negativo”, cioè definendo il contenuto dei servizi e trattamenti “normali”, “ordinari” e affermando che, quanto non rientri tra questi ultimi, sia qualificabile quale “speciale”.
Per inciso, segnaliamo il fatto che la disposizione, qui di riferimento, ha di fatto inciso, con un processo di abrogazione implicita (art. 15 Disposizioni sulla legge in generale c.d. Preleggi) sull’art. 16, comma 1, lett. b) D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.
A prescindere da questo, si è, nel tempo, formato l’orientamento, quanto meno de facto per cui il trasporto del feretro era assunto generalmente dai familiari, quasi che la “regola” fosse socialmente percepita comune un minus: di qui la precedente affermazione per la quale l’art. 1, comma 7-bis D.-L. 27 dicembre 2000, n. 392, convertito nella L. 26 febbraio 2001, n. 26 ha, nella sostanza (ma altresì negli effetti giuridici), “affidato” (o, ri-affidato) alle famiglie le pratiche funerarie (leggi: l’onere di queste).

§ 2.- L’ambito di applicazione
La norma qui di riferimento, nonostante il tempo passato dalla sua introduzione, richiede di definire quale ne sia la portata.
Proprio attraverso quel processo di equiparazione tra le pratiche funerarie dell’inumazione e della cremazione, non si può ignorare come la prima (inumazione) sia null’altro che la pratica, a volte denominata quale “inumazione comune”, “inumazione in capo comune”, considerata dall’art. 58 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. da cui, come noto, vanno escluse le situazioni enunciate dall’immediatamente successivo art. 59.
Ne consegue che le indicazioni della norma di riferimento non possono trovare, in alcun caso, applicazione in tutti i casi in cui non vi sia inumazione in campo comune.
Tra questi consideriamo eventuali inumazioni, in aree oggetto di concessione cimiteriale, ma – soprattutto e sempre – quando vi sia tumulazione.

§ 3.- Aspetti collaterali
Prima di affrontare altri aspetti, e in particolare la questione del disinteresse, affrontiamo un aspetto che pare poco tenuto presente, cioè il fatto che le condizioni di gratuità non riguardano solamente l’inumazione, ma altresì l’esumazione (ordinaria), dato che tale pratica funeraria è considerata, come del resto deve essere, come un “processo” che ha un inizio, una sua durata, una fine.
Ma l’onerosità dell’esumazione (ordinaria) ha (dovrebbe avere …) operato fin dall’entrata in vigore della norma, cioè interessando anche le inumazioni avvenute fino al 1° marzo 2001. Certo, si dovrebbe/potrebbe considerare che si tratti di situazioni esaurite (la norma è ormai ultra 20ennale), ma se ne fa cenno in relazione a quello che, in precedenza, p stato chiamato come non pieno “assorbimento” della norma.

§ 4.- Ulteriori approfondimenti
Altro approfondimento va fatto attorno alla considerazione della sussistenza delle condizioni di gratuità dell’inumazione, sempre intesa come “processo”, relativo al “momento” della loro sussistenza. Infatti, le condizioni di indigenza (del defunto) oppure di appartenenza a famiglia bisognosa (dove non si considera il defunto come singolo individuo quanto come appartenente, appunto, ad una famiglia) devono sussistere (ed essere verificate, documentate (Cfr.: artt. 2, 3 e 4 D.P.C.M. 5 dicembre 2013, n. 159), ecc.) al momento del decesso.
Si tratta di un aspetto non secondario, per il fatto che le condizioni soggettive possono variare nel tempo, cosicché situazioni sussistenti in un dato momento (es.: morte) possono non essere più presenti in altro (es.: esumazione), oppure al contrario che condizioni non sussistenti al momento della morte possono aversi al momento dell’esumazione.
Questo assunto trova fondamento nel fatto che è al momento del decesso che le condizioni vanno apprezzate, dato che, intervenuto (ormai oltre 20 anni addietro) quell'”affidamento” ai familiari delle pratiche funerarie (i.e.: della relativa e conseguente onerosità), esso produce lo specifico onere a carico di costoro (per quanto sia sempre possibile che l’onere venga assunto, eventualmente, anche in termini di liberalità da persone/soggetti terzi e giuridicamente non obbligati) con la conseguenza che un (eventuale) “inadempimento” dei soggetti giuridicamente obbligati, potrebbe comportare, il recupero di oneri eventualmente sostenuti da altri (es.: comune), anche ricorrendo all’istituto considerato dagli artt. 2128-2132 C.C..
Ma perché ciò possa aversi, deve sussistere un obbligo giuridico, il che discende dalla norma qui a riferimento.
Infatti come, a quale titolo potrebbe procedersi al recupero di spese sostenute, gravanti su terzi (dal momento che i morti vanno comunque “sepolti” – al nostro solito, virgolettiamo il termine per considerare indistintamente le diverse pratiche funerarie – non essendovi altre possibilità), se non vi fosse un obbligo giuridicamente fondato, indipendentemente da quali strumenti si usino per tale ripetizione, cioè sia che si ricorra al R.D. 14 aprile 1910, n. 639 o all’ingiunzione di pagamento di diritto privato, strumenti parimenti fungibili (art. 823, comma 2, 2° periodo C.C.).
Si tratta di principi che vanno considerati anche per l’istituto del “disinteresse”.

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Sereno Scolaro

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