Ceneri eccedenti in due urne?
In tali situazioni è ammissibile il collocamento delle ceneri in due urne? Oppure, possono essere individuate altre modalità per affrontare queste eccedenze volumetriche, rispetto alla capacità dell’urna cineraria?
Nell’ipotesi che possa essere ammissibile la prima situazione, dovrebbe conseguire che le due urne cinerarie riportino i medesimi dati identificativi della persona defunta, magari con l’aggiunta di indicazioni aggiuntive, quali “Parte I” e “Parte II”, anche abbreviabile in “-I” e “-II”, in funzione di rendere palese il fatto che si tratta, pur sempre, pur se in due “contenitori”, di un unico complesso di ceneri derivanti dalla cremazione di spoglie mortali dell’unico defunto.
Altri si sono posti la questione, se sia ammissibile (o quanto lo sia) la raccolta della quantità di ceneri, che sia accolta in un’urna cineraria, trascurando le quantità eccedenti.
Ciò porrebbe la questione del “collocamento” (preferiremmo parlare di: destinazione) delle parti eccedenti di ceneri, dovendosi escludere una qualche loro dispersione, in quanto l’art. 411, comma 1 C.P. considera non solo il “cadavere”, ma altresì anche la “parte di esso” (per quanto parlando di ceneri non si sia questa specificazione (che consideriamo implicita)).
Da tenere in debito conto anche l’art. 411, comma 2 C.P., per il quale la pena è aumentata se il fatto sia commesso in cimiteri od in altri luoghi di sepoltura, di deposito o di custodia.
Altrettanto, la formula “parte di esso” è presente negli artt. 412 e 413 C.P.
È stato affermato che l’assenza di quest’ultima formula, allorquando si parla di ceneri, debba valutarsi come implicita.
Le norme penali non sembrano proprio avere considerato l’ipotesi che, dalla cremazione, risultino quantità di ceneri superiori a quelle raccoglibili in un’(unica) urna cineraria.
Purtroppo, le cronache penali hanno già avuto modo di dare conto, come comportamenti di tal fatta siano già stati posti in essere.
Vi è stato chi ha cercato di affrontare la questione dell’eccedenza, quantitativa, di ceneri dell’unico processo di cremazione, ipotizzando la possibilità di conferire il quantitativo di ceneri eccedente la capacità volumetrica dell’urna cineraria al cinerario comune del cimitero, al cui interno è realizzato l’impianto di cremazione, soluzione che mantiene le criticità segnalate, dato che ciò determinerebbe comunque una “separazione”, con diverse destinazioni, tra parti delle ceneri, derivanti dall’unico processo di cremazione delle uniche spoglie mortali (la ripetizione di “unico” è voluta, intenzionale).
Come noto le modifiche all’art. 411 C.P., derivanti dal sopra citato art. 2 L. 30 marzo 2001, n. 130, non hanno (in assoluto) depenalizzato la dispersione delle ceneri, ma hanno impostato la questione che la dispersione delle ceneri non costituisca reato, quando ricorrano le condizioni sopra indicate.
Infine, ricordiamo brevemente l’art. 80, comma 2 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. che, al pari delle norme penali sopra ricordate, non sembra minimamente prendere in considerazione che dalla cremazione possano risultare quantità di ceneri, eccedenti la capacità volumetrica dell’urna cineraria.
Riteniamo che ciò sia dovuto al fatto che, al momento di formazione delle diverse norme qui rilevanti, il numero delle cremazioni fosse tale da non avere fatto ancora emergere queste fattispecie.
A sostegno di ciò, pensiamo solamente al fatto che le norme di riferimento considerano situazioni note, come nel caso dell’inumazione di feretri confezionati in duplice cassa (art. 75, comma 2, correlato con le prescrizioni dell’art. 30 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.), mentre non si hanno disposizioni che regolino le caratteristiche del feretro destinato alla cremazione (nel passato rarefatta), ignorando totalmente le distanze del trasporto funebre dal luogo di decesso (e “partenza”) all’impianto di cremazione.
Inoltre, anche la questione della cremazione di feretri confezionati in duplice cassa (legno, zinco) non trova regolazione ed è stata, de facto, rimessa alla pratica operativa e alle tecnologie caratterizzanti i singoli impianti di cremazione, magari sotto il profilo delle emissioni dei fumi in atmosfera, per non parlare degli stress cui viene sottoposto l’impianto di cremazione, in tal caso, che influiscono sui tempi di manutenzione dello stesso.
In altre parole, si tratta di aspetti affrontati prevalentemente, se non esclusivamente, sotto il profilo operativo e tecnico (o, tecnologico), non certo sotto quello normativo.
Il medesimo approccio si registra per le dimensioni limite delle urne, dato che il rinvio ai Regolamenti comunali sembra non porsi questioni sulla stima di quale sia o possa essere il volume delle ceneri derivanti dalla cremazione, nelle differenti situazioni.
Altrettanto, sotto il profilo operativo, si è semmai posta in discussione la valutazione di quella che potrebbe, o dovrebbe essere, la capienza volumetrica minima per consentire all’urna cineraria di accogliere l’intera quantità di ceneri derivanti da una singola cremazione; indicazioni che sarebbe quanto meno opportuno trovassero considerazione in sede di definizione delle dimensioni limite delle urne, in sede di formazione od aggiornamento dei Regolamenti comunali (non trascurando che, talvolta, il termine di “dimensioni limite” è valutato in questa sede come dimensioni “esterne”, come “ingombro”, e posto in relazione con la capienza volumetrica delle nicchie cinerarie, anziché come (ed … anche, o soprattutto, per quanto precede) capienza volumetrica interna).
Il tentativo di affrontare queste problematiche da una visuale e da una prospettiva di matrice normativa non può sottrarsi dal considerare principi, che non trovano fonte in norme, ma che sono, forse, anche prevalenti, rifacendosi ad aspetti anche culturali.
Un esempio: in alcune parti del mondo è praticata la c.d. “sepoltura a cielo aperto”, che comporta lo smembramento del cadavere e la sua messa a disposizione di volatili, cosa che, per la cultura che ci è propria, presenta elementi di vilipendio di cadavere e dintorni, che sono oggetto di sanzioni e non certo leggere.
Il principio che sussiste è quello della “pietas” verso i defunti (non a caso le norme penali sopra citate sono raccolte sotto una rubrica che vi fa riferimento), del rispetto delle persone defunte e della conservazione, per tempi più o meno lunghi, a seconda delle pratiche funerarie, delle spoglie mortali, conservandone l’unitarietà, l’individualità e l’individuabilità.
Non è un caso che lo standard UNI CEN EN 15017:2019, vigente per l’Italia dal 7 novembre 2019, abbia “accolto” e recepito (Appendice C) l’“Etica della cremazione della International Cremation Federation (ICF)”, che prevede (n. 5) “5) Cremazione separata – Ogni bara affidata alle cure del crematorio deve essere cremata separatamente , nonché (n. 7) che “7. c) Si deve avere la massima cura di assicurare che le ceneri, dopo la rimozione dal forno crematorio, siano mantenute separate e idoneamente identificate. Le ceneri devono essere collocate in un contenitore separato, idoneamente etichettato, in attesa della collocazione finale.”.