Il nome delle norme

Nel libro della Genesi (II,20) si legge che l’uomo ha (avrebbe, in assenza di altre fonti di documentazione) dato il nome agli animali, previa “delega” (II,18).
Prendendo in considerazione l’art. 1 Disposizioni sulla legge in generale (abbreviabile anche come “Preleggi), sono individuate le fonti del diritto, tra le quali sussiste un gerarchia (Cfr.: succ. art. 4, nei suoi due commi).

Non sono mancate formulazioni …”strane”.

Le fonti del diritto
Costituiscono fonti del diritto: 1) le leggi, 2) i regolamenti, 3) le norme corporative (che trascureremo del tutto per effetto del D. Lgs. Lgt. 23 novembre 1944, n. 369), 4) gli usi.

Le leggi
In un sistema parlamentare o, almeno in quello disegnato dalla Costituzione della Repubblica italiana, la formazione delle leggi (alias esercizio della potestà legislativa) è prerogativa parlamentare (art. 70 Cost.), quanto meno in termini di norma, di regola generale e anche le sue eccezioni hanno, in specifiche situazioni, una loro riconduzione al Parlamento.
Queste eccezioni sono individuabili (art. 76 Cost.) nelle norme delegate, cioè nei casi in cui il Parlamento rimetta, per così dire, al Governo l’esercizio della potestà legislativa se non con determinazione di principi direttivi e soltanto per tempo determinato e per oggetti definiti, tanto che, in difetto od in alterazione di questa statuizione costituzionale, il giudice delle leggi (cioè la Corte Costituzionale) può essere chiamata a dichiarare l’illegittimità costituzionale (e.g. per difetto di delega, per eccesso di delega, ecc.
Il secondo caso è quello regolato dall’art. 77 Cost. in cui il Governo – senza delega – emana decreti che hanno valore di legge ordinaria, ma ciò è subordinato alla sussistenza di casi straordinari e d’urgenza e comporta che il Governo presenti, il giorno stesso, tali atti ad uno dei due rami del Parlamento ai fini del procedimento c.d. di conversione.
Già qui la norma usa l’espressione di “decreti che hanno valore (o, forza) di legge ordinaria” (Cfr.: art. 16 L. 23 agosto 1988, n. 400, infra), cosa che consente di parlare di “leggi o atti aventi forza di legge”.
Tra questi rientrano anche i Regolamenti emanati dall’Unione europea che sono obbligatori in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri (art. 288, alinea 2 TFUE (ex art. 249 TCE), a differenza delle Direttive che vincolano lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi, che, pertanto, richiedono il c.d. “recepimento” che può avvenire con legge o con decreto delegato ai sensi del già ricordato art. 76 Cost.

Per altro, la potestà legislativa non è sempre e solo esclusiva dello Stato, ma essa compete altresì alle regioni e province autonome (Cfr.: art. 117 Cost.)

I regolamenti
L’esercizio della potestà regolamentare rientra nella competenza del Governo (Cfr.: art.3, comma 1 Preleggi e quello nella competenza di altre autorità (Cfr.: art. 3, comma 2 Preleggi) e esercitato nei limiti delle rispettive competenze, in conformità delle leggi particolari/i>.
Il sopra ricordato art. 117 Cost., dopo avere individuato (comma 2) le materie per le quali sussiste competenza legislativa – esclusiva – dello Stato, le materie per le quali sussiste la competenza legislativa concorrente di Stato e regioni – e province autonome (ma su queste sarebbero opportuni maggiori approfondimenti!) – (comma 3), dove “concorrente” importa (importerebbe?) che entrambi questi livelli di governo (Cfr.: art. 114 Cost.) siano parte attiva, nonché avere affermato (comma 4) che spetta alle regioni – e province autonome (con le specificazioni/puntualizzazioni del caso) – la potestà legislativa in tutte le materie non espressamente riservate allo Stato, al comma 6 affronta il tema della potestà regolamentare, individuando una regola e due eccezioni.
La regola è quella per cui la potestà regolamentare spetti al medesimo livello di governo cui compete la potestà legislativa.
Le eccezioni sono quelle per cui (a) il Governo può delegare l’esercizio della potestà regolamentare alle regioni e (b) che sussiste potestà regolamentare in capo a soggetti privi di potestà legislativa, cioè in capo al comuni, province, città metropolitane, in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.

Gli usi
Circa gli usi, quali fonti del diritto, l’art. 8 Preleggi prevede che questi, nelle materie regolate dalle leggi e dai regolamenti, abbiano efficacia solo in quanto sono da essi richiamati.
Il succ. art. 9 considera una presunzione – fino a prova contraria – dell’esistenza degli usi se ed in quanto pubblicati in raccolte ufficiali.

Tornando al nome
Dopo quanto appena considerato, affrontiamo il tema del nome delle fonti del diritto.
In alcuni casi, non sorgono dubbi di sorta, come è quando si parli di “leggi”, di “Regolamenti dell’Unione europea” (poco rilevando se, in ragione della loro epoca, siano enunciati come “CEE”, “CE” o “UE”), oppure di “decreti-legge” (D.L.), oppure di “regolamenti comunali” (o, provinciali o, della città metropolitana).
Dubbi possono sorgere per altre fonti del diritto. Ad esempio, quelle aventi legittimazione (fonte) nell’art. 76 Cost., in una certa fase storica erano denominati col termine di “decreti delegati”.
A seguito della L. 23 agosto 1988, n. 400 (in vigore dal 27 settembre 1988) i “decreti delegati” hanno assunto la denominazione di “decreto legislativo” (art. 14, comma 1), abbreviabile in “D. Lgs.”, i “decreti-legge” hanno conservato (art. 15) la denominazione di “decreti-legge”, i “regolamenti” (dello Stato) (art. 17) hanno assunto (anzi, conservato!) la denominazione di “decreti del Presidente della Repubblica”, abbreviabile in D.P.R.
Per inciso, il testé citato art. 17 prevede due “percorsi”, rispettivamente enunciati al comma 1 ed al comma 2 (cui si rinvia), ma anche prevede (comma 3) i regolamenti adottati con “decreto ministeriale” (o, se ricorra il caso, interministeriale), nelle materie di competenza del ministro o di autorità sottordinate al ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere.

Ciò porta a dover considerare, ad esempio, che in presenza di un D.P.R. che sia antecedente all’entrata in vigore della sopra citata L. 23 agosto 1988, n. 400 dovrà sempre andarsi ad individuare se si tratti di un “decreto delegato” (oggi, si chiamerebbe D.Lgs.), cioè se abbia forza di legge e, quindi, sia norma di rango primario, oppure se si tratti di un “regolamento”, cioè se sia norma di rango secondario.
Ciò diventa rilevante non solo per la “forza” intrinseca della norma, ma – soprattutto – per le conseguenze che ne conseguono sotto il profilo di eventuali modificazioni, richiedendo nel primo caso norma di legge o avente forza (valore) di legge, nel secondo caso attenendo all’esercizio della potestà regolamentare.

Il quadro sopra delineato non considera altri atti, in particolare le direttive regionali, le direttive dirigenziali, i codici c.d. deontologici ed altri atti tutti accomunati dal fatto di non costituire fonti del diritto.
La distinzione tra norme di rango primario e norme di rango secondario parer sempre più rilevante, in particolare allorquando si leggono certi testi che fanno sobbalzare per la confusione che ostentano: non si pretende che siano redatti da raffinati giuristi, ma, almeno, da dignitosi sherpa che si avvalgano di attrezzi del tutto elementari.

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Sereno Scolaro

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