Il mito del ventennio

Premessa

Da alcuni comportamenti, in parte anche originate da alcune disposizioni, più o meno recenti, sembra si sta formando, o si sia formata, la convinzione che nelle tumulazioni vi sia una sorta di “durata minima”, individuata in 20 anni (anzi, con maggiore correttezza: “oltre 20 anni”), e che questa costituisca una sorta di confine tra modalità operative aventi certe caratteristiche rispetto ad altre.
Il primo cenno, cronologicamente, a questa misura temporale (oltre venti anni ) si rinviene nell’art. 86, comma 3 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., dato che le normative antecedenti a questo Regolamento (nazionale) nulla dicevano in proposito.
Come noto, questa disposizione regola le estumulazioni, prevedendo alcune ipotesi di destinazione delle spoglie mortali.
Si può costruire una sorta di scaletta, variamente graduata:
(i) le estumulazioni si effettuano alla scadenza della concessione (fanno eccezione le concessioni in sepolture private in concessione perpetua, difettando queste di una scadenza);
(ii) i feretri estumulati (in questo caso anche comprendendo quelli già tumulati in sepolcri privati in concessione perpetua) sono destinati all’inumazione (salva l’ipotesi che si vedrà di seguito), ai fini della (ritenuta) “ripresa del processo di mineralizzazione del cadavere” (che a volte non è poi così concretamente realizzabile).
Inumazione che, al pari di quelle interessanti i feretri per cui sia richiesta questa pratica funebre (che è quella ordinaria, normale, di default, ha la durata del turno ordinario di rotazione (di norma, decennale ai sensi dell’art. 82 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.) e che, altrettanto di norma, ha luogo nei campi individuati dall’art. 58 stesso Regolamento (nazionale).
Norma quest’ultima che, non casualmente, prevede che, ai fini della quantificazione del dimensionamento dell’area (c.d. “fabbisogno cimiteriale”), si debbano considerare tanto i feretri inumandi nell’immediato post mortem quanto i feretri estumulati (comma 2), disposizione che, per l’appunto, supporta l’indicazione appena fatta circa la durata dell’inumazione dei feretri estumulati;
(iii) questa durata, normale, dell’inumazione dei feretri post estumulazione può essere abbreviata al termine – minimo – di 5 anni;
(iv) per scelta, in quanto poco influente, si trascura l’ulteriore previsione del comma 4 del citato art. 86, semplicemente evidenziando come il rinvio al precedente art. 82, comma 3 altro non significhi se non la piena integrazione di queste inumazioni rispetto alle inumazioni in quanto tali;
(v) l’inumazione dei feretri estumulati può essere evitata, procedendo all’”immediata raccolta dei resti mortali in cassetta ossario”, quando i corpi estumulati “si trovino in condizione di completa mineralizzazione”, come accertato da specifico parere.

Altre fonti che, successivamente, hanno ripreso questo termine

Questo termine temporale è stato utilizzato anche in norme od in atti amministrativi (o, più spesso, istruzioni amministrative, nelle specifico “circolari”): infatti, al n. 1) della circolare del Ministero della sanità n. 10 del 31 luglio 1998, nel dare una definizione di “resti mortali”, oltretutto discostandosi da quella rinvenibile nella precedente circolare dello stesso Ministero della sanità n. 24 del 24 giugno 1993 (Punto 15), è stata utilizzata la formulazione:
“””(Si definisce “resto mortale” il risultato della completa scheletrizzazione di un cadavere ovvero, per salme inumate, l’esito della trasformazione delle stesse allo scadere del turno almeno decennale di rotazione per effetto di mummificazione o saponificazione e, per salme tumulate, l’esito della trasformazione allo scadere di concessioni della durata di oltre venti anni per effetto di corificazione. “””.
In questa definizione emerge la questione, non di poco conto, del fatto che gli esiti dei fenomeni trasformativi possano risultare non (pienamente) trasformativi, ma presentino la caratteristica della conservatività, ma, altresì si fa notare come questi effetti “conservativi” si incentrino sul solo fenomeno della corificazione.
Successivamente la questione definitoria è stata ri-affrontata con norma regolamentare, cioè con il D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254 (che, incidentalmente, si ricorda sia stato emanato su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro della salute, in attuazione della L. 31 luglio 2002, n. 179, cioè esercitando la potestà regolamentare dello Stato nella materia di cui all’art. 117, comma 2, lett. s) Cost.
Materia che, per questo in quanto di competenza esclusiva, non è esercitabile dalle regioni, difettando, nel caso, quella delega ammessa dall’art. 117, comma 6, primo periodo Cost. (ma, come noto, comunque è avvenuto).

In questa sede, cioè con norma regolamentare, il contenuto definitorio si è avuto con l’art. 3, comma 1 D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254, che recita (se ne riporta altresì la rubrica):
“”“Art. 3. Parti anatomiche riconoscibili e resti mortali derivanti da attività di esumazione ed estumulazione
1. Si definiscono:
a) parti anatomiche riconoscibili: gli arti inferiori, superiori, le parti di essi, di persona o di cadavere a cui sono stati amputati;
b) resti mortali: gli esiti dei fenomeni cadaverici trasformativi conservativi risultanti dalla incompleta scheletrizzazione di un cadavere per effetto di mummificazione, saponificazione, corificazione, decorso il periodo di ordinaria inumazione o tumulazione, pari, rispettivamente, a 10 e 20 anni.
.”””
E, considerato questo testo, si evidenzia come, con questa norma regolamentare, i fenomeni trasformativi conservativi considerino anche altri “effetti” di conservazione.
Alcune norme regionali, in alcuni casi successivamente (fortunatamente) superate da altri interventi normativi, non si parlava di ”oltre 20 anni” quanto di “almeno 20 anni”, ed anche si prevedeva; “””Quando si estumula per far posto a un nuovo feretro, la residua durata del diritto d’uso del loculo è pari ad almeno vent’anni per i loculi stagni e dieci anni per quelli aerati, con eventuale prolungamento dell’originaria concessione in uso per il tempo occorrente.“””, previsione in patente contrasto con l’art. 86, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. (ma che, se sussista potestà regolamentare regionale, ben potrebbe essere altrimenti regolata), ma – cosa di maggiore rilevanza – non considerando come in questo ambito sussista unicamente la potestà regolamentare dei comuni!
Trascuriamo, intenzionalmente, l’assunto del “far posto ad un nuovo feretro”, ipotesi che espone a plurime criticità, assunto cui hanno fatto ricorso anche altre regioni (rispetto a quella interessata dalla citazione fatta), fermandoci a considerare la questione dell’“eventuale prolungamento dell’originaria concessione in uso per il tempo occorrente”.

Quale è la “domanda” correttamente da porre?

Nel periodo immediatamente precedente vi è l’espressione: “tempo occorrente”, per cui si ritiene che questo porti a porre la domanda di quale questo sia, o possa essere.
O, in altre parole, qual è il tempo, ragionevolmente stimabile, affinché un feretro tumulato possa oggettivamente rinvenirsi come in condizioni di completa mineralizzazione? Oppure, che significa “tempo occorrente” per procedere alle estumulazioni e, quindi applicare le diverse disposizioni di cui all’art. 86, commi 2 e ss. D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., sopra enunciate nella “scaletta” ricordata nella Premessa?
Ma quest’ultima domanda non ha molto significato … Lo stato del corpo in tumulazione possono risentire di più fattori, da quelli riguardanti il corpo in sé (es.: trattamenti cui possa essere stato assoggettato), ma anche dalle condizioni della tumulazione (es.: grado di osservanza delle prescrizioni di cui all’art. 76, commi 6, 7 e 8 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.), così come dalle (concrete) modalità di applicazione, in sede di confezionamento del feretro, delle prescrizioni di cui all’art. 30 stesso D.P.R., per non considerare come, talora, vengano a rilevare anche altre condizioni, quali (es.) la posizione del posto feretro a sistema di tumulazione, come (es.) la posizione rispetto al soleggiamento, alla ventilazione, all’umidità ed altri fattori, aspetti che potrebbero valutarsi solo sulla base dell’esperienze locali, protratte nel tempo.

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Sereno Scolaro

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