Il sepolcro e la sua rinuncia
Dalla questione dell’ereditarietà del sepolcro è abbastanza facile spostare l’attenzione sull’istituto della rinuncia al sepolcro, anche qui avendosi sempre presenti i fattori (a, b, c), precedenti.
Per questo meritano di essere affrontate, distintamente (sempre), le tre situazioni che connotano i rapporti riguardanti il sepolcro, potendosi parlare di: [i] rinuncia alla concessione della porzione di area cimiteriale; [ii] rinuncia alla titolarità del manufatto sepolcrale a sistema di tumulazione eretto sull’anzidetta porzione di area cimiteriale; [iii] rinuncia al diritto di essere accolto nel sepolcro, fattispecie quest’ultima che potrebbe (almeno, in astratto) differenziarsi tra [iii.a] rinuncia ad essere accolto nel sepolcro da parte del concessionario e [iii.b] rinuncia ad essere accolto nel sepolcro da parte di persona appartenente alla famiglia del concessionario.
Nel primo caso [i], la rinuncia alla concessione dell’area (o, meglio, del diritto d’uso dell’area, al fine della costruzione di manufatto sepolcrale a sistema di tumulazione), collocandosi nel contesto del rapporto, tutti di diritto pubblico intercorrente, con la stipula dell’atto di concessione tra concedente (comune) e concessionario, fa venire meno il diritto d’uso (diritto di superficie), con la conseguenza che il manufatto (se questo sia stato, in tutto od in parte, già costruito) viene di diritto acquisito al demanio cimiteriale, in applicazione delle norme civilistiche sull’accessione, al pari di quando accade con la scadenza della concessione (o la sua decadenza o, laddove, ammissibile, revoca).
Inoltre, cessando la concessione, vengono del tutto meno le condizioni di accoglibilità nel sepolcro non solo nei riguardi del concessionario, ma altresì delle persone appartenenti alla famiglia di questi.
Nell’ipotesi [ii] l’eventuale rinuncia alla titolarità del manufatto determinerebbe, al pari, la sua acquisizione al demanio cimiteriale, per la medesima applicabilità dell’istituto dell’accessione, lasciando impregiudicato il titolo all’accoglimento nel sepolcro per i concessionario e per le persone appartenenti alla famiglia di questi.
Nel caso, il concessionario non si troverebbe ulteriormente soggetto agli obblighi manutentivi, cui è gravato ai sensi dell’art. 63 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., ora gravanti sul demanio cimiteriale (ricordando, anche per questo, come il comune non abbia, di norma, obbligo di accettazione degli atti di rinuncia, quale ne sia la natura ed il contenuto, ma possa accoglierli, o non accoglierli, eventualmente prevedendo, ed esclusivamente in sede di Regolamento comunale di polizia mortuaria, condizioni o limitazioni).
Nell’ultima ipotesi formulata [iii], la rinuncia ad essere accolti nel sepolcro, afferendo a diritti personali (o, personalissimi, secondo alcuni), non soffre di limitazioni di sorta e, come nell’ipotesi [i], può essere attivata utilizzando gli ordinari strumenti del diritto amministrativo e le forme proprie della documentazione amministrativa. Spesso, nel caso di persone appartenenti alla famiglia del concessionario [iii.b], risultano in uso formule di rinuncia che prevedono (o, prevederebbero) “.. per sé e per i propri aventi causa ..”, formule esposte a criticità, quanto meno per l’estensione ai propri aventi causa, trattandosi di atti personali aventi ad oggetto diritti personali (per cui sono esclusi istituti di rappresentanza), ma, soprattutto, per il fatto che, pressoché sempre gli aventi causa di un appartenente alla famiglia del concessionario sono, a titolo loro personale, anch’essi appartenenti alla famiglia del concessionario.
Dal momento che possono essere frequenti i casi in cui la rinuncia al diritto personale di accoglimento nel sepolcro trovino motivo nell’aspirazione a non dover ulteriormente supportare l’assoggettamento agli obblighi manutentivi, di cui all’art. 63 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. [12], merita di precisarsi che, quando la persona rinunciante ne sia assoggettato, la (eventuale) rinuncia al titolo di accoglimento nel sepolcro non si stende, né può estendersi a questo assoggettamento, che permane, fin tanto che sussista la qualità di concessionario, in capo allo stesso.
Rimanendo in tema di rinuncia, specie quando si abbia un approccio patrimonialistico dei diritti sul sepolcro, come, se esso rientri nell’asse ereditario, la rinuncia all’eredità, oltre che dover osservare le forme stabilite dall’art. 519 C. C., non può che essere se non universale, riguardando l’intero asse ereditario (e non solo il sepolcro o, più specificatamente, il manufatto sepolcrale a sistema di tumulazione), non potendo la rinuncia all’eredità essere sottoposta a condizioni, a termini, né essere parziale (art. 520 C.C.).
[12] Situazione che può aversi con maggiore frequenza quando il concessionario sia deceduto e non vi sia stato, o non vi sia stato ancora, il subentro di taluni appartenenti alla famiglia nella qualità, a loro volta, di concessionari, determinando una situazione di comunione indivisa con obbligazioni solidali tra le diverse persone interessate. Cosa ancora maggiormente frequente, quando il sepolcro sia saturo o pressoché saturo, per cui la probabilità di “utilizzo” (accoglimento del feretro) appaia o remota o perfino da escludere.
Se subentro non vi sia stato, facendo assumere a quelle che, prima erano persone appartenenti alla famiglia del concessionario la qualità (a propria volta) di concessionari o il Regolamento comunale di polizia mortuaria neppure regoli l’istituto del subentro o, quando le regoli, conservando la qualità di concessionario nel c.d. fondatore del sepolcro (ipotesi non da escludere, dato che l’una o l’altra previsione regolamentare può avere effetti sull’ambito, ed estensione, delle persone qualificabili quali appartenenti alla famiglia del concessionario), va ricordato come l’art. 63 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. operi nei confronti dei concessionari (e non delle persone appartenenti alla famiglia di questi).
[13] Auto-imposizione dei vincoli, che necessariamente deve precedere l’istanza di concessione, poiché la prova dell’avvenuta trascrizione (art. 2643 C. C.) è essenziale corredo dell’istanza stessa, dato che la sua assenza non consentirebbe di procedere all’istruttoria preliminare, alla luce di quanto stabilito dal comma 3 del citato art. 104 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.