Il diritto di sepolcro: pluralità di componenti e necessità di distinzioni – 1/4

Introduzione di premessa

In via generale, cioè tenendo conto delle disposizioni degli artt. 90 e ss. D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., quando si ha una cappella cimiteriale (trascurando le varie denominazioni che possano utilizzarsi), si ha una pluralità di rapporti e situazioni giuridiche, che meritano opportunamente di essere tenuti distinti:
(a) concessione di porzione del diritto d’uso su area cimiteriale, in coerenza, applicazione del P.R.C. (piano regolatore cimiteriale), coerenza che è pre-condizione di legittimità della concessione del diritto d’uso (art. 91 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.);
(a.2) la concessione del diritto d’uso sulla porzione di area cimiteriale è finalizzata alla costruzione, da parte del soggetto concessionario, di sepolture a sistema di tumulazione (art. 90, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.) (i) individuali, (ii) per famiglie, o (iii) collettività, oppure, ma meno frequentemente, in luogo della costruzione di manufatto sepolcrale a sistema di tumulazione, all’impianto di campi di inumazione (i) per famiglie o (ii) collettività, in tal caso subordinatamente alla realizzazione di adeguato ossario (art. 90, comma 2 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.) [1] ;
(b) in pratica, nella concessione di porzioni di area cimiteriale per la costruzione di sepolture a sistema di tumulazione si realizza un diritto di superficie, per la durata della concessione (diritto che, a partire dall’entrata in vigore del D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803, è a tempo determinato e, in ogni caso, non eccedente i 99 anni[2]), consistente nel titolo a provvedere alla costruzione, sull’area stessa, di un manufatto sepolcrale a sistema di tumulazione, costruzione che fa rinviare, per gli aspetti anche di procedimento, all’applicazione dell’art. 94 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., disposizione importante anche per la determinazione (art. 94, comma 2 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.) del numero delle salme che vi possono essere accolte (con ciò qualificando la c.d. capienza del sepolcro, che, per inciso, potrebbe essere opportunamente distinta, se la durata della concessione la renda pertinente, tra posti feretro e posti per cassette ossario od urne cinerarie, aumentando così il numero dei defunti accoglibili).
In realtà, la finalità del diritto d’uso, qualificabile come diritto di superficie costituito dallo lo ius aedificandi, non sarebbe il fine primario, quanto un fine, per così dire, strumentale ad altro, cioè allo ius sepulchri (qui inteso [3] nell’accezione del diritto ad esservi accolto (per il concessionario) e di accoglimento (per le persone appartenenti alla famiglia del defunto [4]). In altre parole, il fine ultimo è quello della sepoltura delle persone defunte aventi titolo nel manufatto sepolcrale conseguentemente costruito.
In questo caso, si ha un rapporto di concessione (diritto d’uso) dell’area (porzione di area cimiteriale) intercorrente tra comune e concessionario, rapporto che è integralmente di diritto pubblico e che, alla luce dell’art. 823, comma 1 C.C., conferisce al concessionario il già considerato “titolo” alla costruzione del manufatto sepolcrale a sistema di tumulazione, ponendolo in una condizione che può, in qualche modo, essere avvicinata a quella del proprietario nei confronti di eventuali terzi (mentre nei confronti del comune concedente del diritto d’uso del bene assoggettato a regime dei beni demaniali, il concessionario si trova in una posizione di interesse legittimo, subordinata alle norme specifiche (… se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano …, come recita il già ricordato art. 823, comma 1 C.C.). Poco sopra è stata usata l’espressione “… condizione che può, in qualche modo, essere avvicinata a quella del proprietario nei confronti di eventuali terzi …”, per introdurre la constatazione per cui il manufatto sepolcrale così costruito abbia natura di bene oggetto della proprietà del concessionario, rendendo coerente la terminologia presente anche all’art. 63 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., proprietà (del manufatto sepolcrale) che persiste per l’intera durata della concessione [5]. Tra l’altro, questa situazione non è la sola in cui il diritto di superficie abbia a proprio contenuto lo ius aedificandi, potendo quindi fare riferimento a disposizioni generali, sia per le condizioni di esercizio della proprietà del manufatto, sia per gli effetti che si determinano quando il diritto di superficie venga a cessare (sia per scadenza, sia per decadenza, sia per revoca, ecc.). Di qui, il frequente riconoscimento giurisprudenziale (maggiormente da parte della giustizia civile, ma anche da quella amministrativa) del diritto di sepolcro [6] quale diritto reale.
Accanto alle situazioni precedentemente considerate (a, a.2, b), ne va considerata altra, che porta a considerare un’ulteriore accezione dello ius sepulchri [7]:
(c) una volta realizzato, costruito il manufatto sepolcrale a sistema di tumulazione, occorre prendere in considerazione il diritto d’uso dello stesso (anche questo, qualificabile, quale ius sepulchri), diritto che porta a dover richiamare l’art. 93 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., consistente nella riserva di accoglimento, nei limiti della capienza del sepolcro, per il concessionario e le persone appartenenti alla famiglia di questi [8]. Ora, il concetto di “riserva” comporta che l’esercizio di un diritto o di una posizione giuridicamente rilevante sia riconosciuto a quanti si trovino in date condizioni soggettive e, contemporaneamente, ne siano esclusi quanti non si trovino in quelle date condizioni soggettive che ne siano presupposto o, altrimenti, che una “riserva” comporti una situazione di positività per alcuni, ma anche e contemporaneamente di esclusione per altri.
Ora l’appartenenza alla famiglia del concessionario costituisce fattore senza equivocità riconducibile alla sfera dei diritti personali [9], in ciò distinguendosi dai diritti reali (e, se si voglia usare l’espressione, diritti patrimoniali) come si ha per il manufatto sepolcrale a sistema di tumulazione eretto sull’area cimiteriale oggetto di concessione, a propria volta distinto, e non sovrapponibile, al diritto d’uso (diritto di superficie) acquisito, in termini di diritto pubblico con la stipula dell’atto di concessione.
In altre parole, si hanno (di qui la distinzione tra (a, b, c) tre (almeno) posizioni giuridiche, quella di diritto pubblico, quella di diritto privato e che coinvolge diritti reali e ha componente patrimoniale e, infine, quella in cui operano diritti personali (se non personalissimi). Il concorso (e la sovrapposizione) di questi tre aspetti, può indurre a fraintendimenti.


[1] Si fa notare come nell’ipotesi del comma 2, a differenza del comma 1, non siano presenti le ipotesi di sepolture ad inumazione individuali, presuntivamente per il fatto che ciò contrasterebbe con il concetto di “campi”, ma anche che per le inumazioni individuali risulterebbe impropria la condizione della dotazione di adeguato ossario (che avrebbe senso solo nel caso di pluralità di inumazioni effettuabili nel tempo. Si rappresenta, peraltro, come in alcune zone, prevalentemente nel Nord Italia, e con maggiore frequenza nel Nord Est, qui probabilmente per effetto della successiva (1866 e ss.) annessione al Regno d’Italia, siano presenti pratiche di concessioni cimiteriali aventi ad oggetto fosse individuali ad inumazione, caratterizzate da una durata maggiore rispetto al turno ordinario di rotazione, oppure da un maggiore, per quanto lieve, dimensionamento dell’area interessata alla fossa, o da entrambi i caratteri distintivi rispetto alle fosse d’inumazione nei campi c.d. comuni (artt. 58 e 72 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.).
[2] Spetta al Regolamento comunale di polizia mortuaria (oppure da altre fonti di regolazione in ambito comunale, quali il P.R.C. – piano regolatore cimiteriale – o lo stesso atto di concessione, purché a ciò legittimato dalla norma regolamentare) definire la durata delle concessioni, definizione che, volendo (accademicamente parlando), potrebbe anche essere differenziata, ad esempio prevedendo una data durata delle concessione in talune aree del cimitero, altra per altre aree del cimitero (o, nel caso di comuni dotati di più cimiteri, distinguendo tra gli uni rispetto ad altri). Va osservato come prevalga la tendenza a stabilire durate uniformi per uniformi tipologie di concessioni cimiteriali.
[3] Lo ius sepulchri presenta, come noto, diverse accezioni, la cui pluralità (e portata) potrebbe, talora, indurre ad equivoci, in particolare quando i diversi significati siano utilizzati promiscuamente o superficialmente.
[4] Per comprensibili ragioni di semplicità espositiva, intenzionalmente si trascura qui il caso delle concessioni de quo fatte ad “enti”.
[5] Per inciso, ricordando come dalla posizione proprietaria discendano, oltre agli obblighi manutentivi testé richiamati, anche altre posizioni, come quella (e. g.) che regola la responsabilità oggettiva per eventuali danni a persone o cose.
[6] Riportando l’attenzione sulla necessità di pre-definire, nei singoli casi, quale sia il significato e il contenuto dello ius sepulchri, stante la pluralità dei significati che esso può rivestire.
[7] Sulla pluralità, e non sempre uniformità, dell’accezione, può (esemplificativamente) riportarsi la citazione presente nella pronuncia del Tribunale di Bologna, sez. 3^, 17 aprile 2017, n. 20388, in cui si legge: “Appare dunque opportuna, in via preliminare, una ricostruzione dell’istituto dello ius sepulchri. Il diritto al sepolcro costituisce materia di particolare interesse in ragione della carenza di disposizioni normative scritte che ne contengano la disciplina. Si tratta, infatti, sotto il profilo strettamente privatistico, di un istituto regolamentato integralmente dalla consuetudine, che, in questo caso, acquisisce valore suppletivo (cosiddetta consuetudine praeter legem). Sembra tuttavia corretto riportare anche la disciplina del diritto di sepolcro ai principi generali del diritto privato ed ai valori costituzionali, all’interno ed alla luce dei quali ogni disposizione del vigente ordinamento giuridico (e, quindi, anche le norme consuetudinarie) deve essere rispettivamente collocata e letta.”
[8] Spetta al Regolamento comunale di polizia mortuaria definire l’ambito delle persone qualificabili – a questi fini – quali appartenenti alla famiglia del concessionario.
[9] Se non personalissimi. Si pensi, in termini di “caso limite”, all’ipotesi per cui un erede sia escluso dall’eredità per indegnità (artt. 463 – 466 C.C.), che non viene a perdere per questo la qualità di appartenente alla famiglia del concessionario: l'”erede indegno” (a succedere) non cessa, per questo, la qualità di appartenente alla famiglia in quanto, a seconda dei casi, coniuge (o, oggi, posizione assimilabile), parente od affine.

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Sereno Scolaro

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