Tra i numerosi “impianti” che devono essere presenti nei cimiteri non vi sono solo quelli elencati all’art. 56, comma 2 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., oltre ad eventuali altri, ma – dal 27 ottobre 1990 – anche il cinerario comune, che si è venuto ad affiancare, anche nella terminologia, all’ossario comune considerato dal precedente art. 67.
Nell’immediato, l’introduzione di quest’innovazione non ha sollevato molta attenzione, anche per il fatto che, all’epoca, la cremazione era del tutto contenuta, sostanzialmente inferiore, su media nazionale (per quanto possano valere le medie nazionali), al 2% dei decessi, arrivando a superare il 10% solo nel 2007, cioè 17 anni dopo che questo “impianto” era divenuto obbligatorio per ogni cimitero.
Tuttavia, qualche volonteroso aveva ricercato, e alcuni anche realizzato, cinerari comuni, con soluzioni anche appropriate, oltreché creative (in senso positivo).
Se, in quelle fasi, l’accesso alla cremazione era del tutto minimale, rispetto alle situazioni successivamente registratesi, con una certa comprensibile consequenzialità, ulteriore minore “domanda” di utilizzo del cinerario comune era presente, cosicché la “sensazione” generale era quella che non si trattasse di un impianto alla cui realizzazione provvedere con qualche urgenza.
Ne è conseguito che la realizzazione del cinerario comune in ogni cimitero si è avuta con notevole gradualità, tanto che non sono pochi i cimiteri che non ne sono ancora dotati.
Non è una doglianza critica, ma unicamente una constatazione, che tiene conto della “domanda”.
A che cosa serve il cinerario comune?
Dal tenore della norma che l’ha introdotto, cioè dall’art. 80, comma 6 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. [1], emerge che il cinerario comune è destinato alla raccolta e la conservazione in perpetuo e collettiva delle ceneri provenienti dalla cremazione delle salme, dove l’analogia con l’ossario comune è del tutto evidente.
(i) raccolta e (ii) conservazione, giungendo di seguito ai 3 con: (iii) in perpetuo, (iv) collettiva, (v) ceneri.
Il primo di questi ultimi 2 termini, si ha anche per l’ossario comune, tanto che opera anche in caso di soppressione del cimitero, come si ricava dal successivo art. 97, comma 2, mentre il secondo altro non comporta che la conservazione si abbia, come avviene per le ossa deposte nell’ossario comune, allo stato “sfuso” (si perdoni il termine), cioè senza un qualche contenitore, per quanto sia materialmente necessario, per il trasporto dall’impianto di cremazione al cinerario comune, condizione che trova ulteriore conferma nel terzo termine, dato che oggetto di raccolta e conservazione non sono le urne, quanto le ceneri.
Ma, si vedrà di seguito, vi è anche altra argomentazione che porta al medesimo risultato. In una data realtà era stato proposto un quesito ad uffici regionali in proposito, ottenendone la risposta che, in occasione di utilizzare il cinerario comune, le urne vi andavano deposte rimanendo sigillate, come se questo fosse un luogo di deposizione di urne, cioè un edificio cellario (stesso art. 80, comma 3), ma senza separazioni tra una nicchia ad altra.
A parte la sprovvedutezza di chi ha redatto una simile risposta, in questa non è stato minimamente tenuto conto di ben altro.
Quali ceneri sono destinate al cinerario comune?
Dopo avere precisato quale sia la funzione elettiva del cinerario comune, la norma prosegue con l’individuare i destinatari, precedendo due tipologie:
(1) “… salme, per le quali sia stata espressa la volontà del defunto di scegliere tale forma di dispersione dopo la cremazione, oppure
(2)”… (salme), per le quali i familiari del defunto non abbiano provveduto ad altra destinazione.
Nel caso (1) entra in gioco una manifestazione di volontà del defunto, parlando di forma di dispersione, termine che va considerato come di un certo coraggio, dal momento che una qualche legittimazione della dispersione delle ceneri è stata introdotta nell’ordinamento giuridico solo con l’entrata in vigore della L. 30 marzo 2001, n. 130, avvenuta il 4 maggio 2001, cioè 10 anni e 6 mesi, circa, dopo.
E questa è un’ulteriore argomentazione attorno al fatto che la conservazione delle ceneri (non delle urne cinerarie) ha luogo con modalità “sfusa”, cioè senza il relativo contenitore, una volta conclusasi la fase del trasporto.
Anche il caso (2) ha una sua importanza, nel senso che qui l’utilizzo del cinerario comune viene assunto come procedura standard, che trova applicazione per default in tutti i casi in cui le persone aventi titolo a disporre delle spoglie mortali non provvedano ad esercitare le proprie prerogative, dando una qualche destinazione alle ceneri (o, se proprio lo si voglia, alle urne contenenti le ceneri).
In altre parole, ferme restando le prerogative delle persone aventi titolo a disporre delle spoglie mortali (nella fattispecie: ceneri provenienti dalla cremazione), si appronta qui una sorta di norma di chiusura, individuando una “destinazione” che interviene in caso di mancato esercizio di tali prerogative.
In fondo, è un modo per assicurare, comunque, una “destinazione” alle ceneri, anche quando chi debba/possa farlo non vi provveda. Si tratta di una disposizione che, forse senza volerlo, potrebbe apparire aprire altra questione, cioè quale sia un eventuale termine entro il quale gli aventi titolo a disporre delle spoglie mortali possano, o debbano, “provvedere ad altra destinazione”.
La questione merita di essere affrontata in sede di Regolamento comunale di polizia mortuaria, indicativamente quello del comune nel cui cimitero sia allocato l’impianto di cremazione cui è stato fatto ricorso, dal momento che è da questo che si avviano o si possono avviare, se del caso, tutti (o, quasi) i provvedimenti successivi alla cremazione, come le autorizzazioni al trasporto dell’runa cineraria al luogo di destinazione (sempreché non abbia trovato applicazione l’art. 26 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., come sarebbe di norma), o gli altri atti di disposizione o, in difetto, la valutazione di quando possa durare una situazione di inerzia nel provvedere ad altra destinazione.
[1] D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. – Art. 80, comma 6
“6. Ogni cimitero deve avere un cinerario comune per la raccolta e la conservazione in perpetuo e collettiva delle ceneri provenienti dalla cremazione delle salme, per le quali sia stata espressa la volontà del defunto di scegliere tale forma di dispersione dopo la cremazione oppure per le quali i familiari del defunto non abbiano provveduto ad altra destinazione.”.