Come procedere?
Il precedente cenno dell’inoltro dell’atto di diffida a provvedere ai componenti delle famiglia del concessionario (aggiungiamo, anche al concessionario, se tuttora in vita) consente di affrontare un aspetto che a volte non viene sufficientemente approfondito, cioè il fatto che la posizione del concessionario e quella degli appartenenti alla famiglia di questi non sono sovrapponibili, così come non sono sovrapponibili le posizioni di chi abbia titolo sulla concessione cimiteriale con quelle di chi abbia titolo a disporre delle spoglie mortali accolte nel sepolcro.
Se per l’art. 63, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. gli obblighi manutentivi gravano sui concessionari in ragione della proprietà dei manufatti, si potrebbe avere il caso che persone che, appartenendo alla famiglia del concessionario, abbiano titolo all’accoglimento nel sepolcro non siano soggetti (difettando la qualità di concessionari) agli adempimenti degli obblighi manutentivi.
Oltretutto, in caso di decesso del concessionario/fondatore del sepolcro, occorrerebbe valutare, sulla base del Regolamento comunale di polizia mortuaria, quali siano le persone che possano assumere a loro volta la qualificazione di concessionario, qualificazione che potrebbe interessare solo alcune delle persone appartenenti alla famiglia.
Ma si potrebbe anche avere una situazione del tutto diversa, quella di chi divenga proprietario del manufatto, senza acquisire, o avere acquisito, il titolo per poter esservi accolti, situazione che ben poteva aversi prima dell’entrata in vigore del D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803.
Non si affronta ora la questione della distinzione tra i soggetti obbligati alla conservazione del sepolcro e le persone aventi titolo a disporre delle spoglie mortali accoltevi.
Il primo elemento da focalizzare è l’individuazione del concessionario/fondatore del sepolcro, la constatazione del suo eventuale attuale recapito o, in caso di decesso, l’esame se vi siano state persone che abbiano acquisito la qualificazione di concessionario e, in tutti i casi, l’individuazione per quanto possibile puntuale delle persone appartenenti alla famiglia del concessionario, quali titolari dello ius sepulchri.
Si tratta di elementi conoscitivi, che non sempre possono essere immediatamente presenti negli atti riferibili alla concessione del sepolcro abbandonato, con la conseguenza che diviene necessario porre in essere un’attività di ricerca, anche ricorrendo a fonti amministrative esterne al servizio cimiteriale (inizialmente si potrebbe partire da approfondite e diligenti ricerche anagrafiche mirate, anche se in certe situazioni queste potrebbero essere integrate e/o approfondite con ricerche in altre fonti documentali), spesso dovendo rivolgersi anche a comuni terzi od ad una loro pluralità.
Si tratta di ricerche che, purtroppo, possono essere complesse, sia per il fatto che nel passato spesso le famiglie erano un po’ più numerose di oggi, così che può richiedere una maggiore attività, ma anche per il fatto che non sempre tali ricerche vengono svolte con la celerità, che potrebbe essere gradita a chi debba procedere, non senza considerare come in presenza di un sempre più frequente utilizzo di registrazioni informatiche possa non esservi più molta propensione, talora anche carenza di strumentazioni professionali, che permettano una consultazione di atti e documenti a carattere archivistico, non sempre conservati in termini di ordine e diligenza, il ché comporta un certo quale allungamento dei tempi per ottenere qualche risultato.
Una volta che si dispongano degli elementi di conoscenza occorrerà sottoporli ad un esame, per così dire, di congruità e pertinenza rispetto alla singola specifica situazione, privilegiando, sotto il profilo delle priorità, le situazioni in cui sia presente una situazione di pericolosità o prossima ad essa, rispetto alle situazioni in cui lo stato di abbandono non presenti queste connotazioni.
Le situazioni di pericolosità, attuale o potenziale
Se vi sia pericolo, attuale o potenziale, dovrà procedersi ad individuare i soggetti destinatari, comunicando loro sia l’avvio del procedimento, sia l'”invito” a procedere agli interventi, caso per caso, necessari od opportuni (a seconda del grado di attualità del pericolo), atti che possono essere adottati anche, o preferibilmente, contestualmente.
In tali atti dovrà essere indicato il termine entro cui le persone tenutevi debbano provvedere, termine che va valutato caso per caso con un minimo di ragionevolezza, tenendo conto non solo della stimabile attualità del pericolo, ma altresì di altri fattori, dato che se le persone tenute si trovino nel comune costituisce fattore diversificante dal caso in cui se ne trovino lontane, magari in comuni tra loro non prossimi, e non all’estero, situazioni che potrebbero consigliare fissazioni più lunghe dei termini.
Si rappresenta, oltretutto, che la diffida a provvedere (e il termine che venga fissato) è in funzione di consentire, di legittimare, nel caso di inadempimento, l’intervento surrogatorio di rimozione del manufatto pericolante (o della parti pericolanti), rimozione che si colloca nel quadro dell’istituto della gestione di affari altrui (artt. 2028 – 2032 C.C.), rimanendo impregiudicati altri effetti dell’inadempienza (inadempienza sia alla diffida, sia all’assolvimento degli obblighi di cui all’art. 63, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. Per le forme delle comunicazioni di tali procedimenti si rinvia infra.