I “morti” non stanno fermi, ma sono in frequente movimento

L’art. 109 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 e s.m. prevede, al comma 1, la decorrenza della sua entrata in vigore (30 marzo 2001, data coincidente, accidentalmente, con quella di promulgazione di una legge pertinente alla materia), mentre al comma 2 prevede che le norme sulla registrazione informatica degli atti (di stato civile) e la tenuta degli archivi (informatici) abbiano efficacia da data da stabilirsi con D.P.C.M., ai sensi del precedente art. 10, atto che avrebbe dovuto essere emanato entro 12 mesi dalla pubblicazione del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, avvenuta il 30 dicembre 2000, per cui i 12 mesi avrebbero dovuto essere completati al 30 dicembre 2001, cosa non avvenuta (ma la mancata attuazione di norme che derivino da rinvii a provvedimenti “a valle” è presente, purtroppo, in numerosi ambiti).
È ben vero che vi è stato Il D.M. (Interno) 18 ottobre 2022 “Aggiornamento della piattaforma di funzionamento dell’Anagrafe nazionale della popolazione residente per l’erogazione dei servizi resi disponibili ai comuni per l’utilizzo dell’Archivio nazionale informatizzato dei registri dello stato civile” (in G.U. 17 novembre 2022, n. 269), ma questo “percorso” non supplisce la mancata attuazione dell’art. 10, comma 2 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (si potrebbe, forse, dire che dirotti l’esigenza di attuazione in direzioni alternative).
L’attuazione di tale disposizione è tutt’altro che secondaria, dal momento che, al 2° periodo, vi si prevede che “… Fino a tale data continuano ad applicarsi le disposizioni di cui agli articoli ….. del regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238, nonché del decreto del Ministro di grazia e giustizia del 18 novembre 1967 …”, con ciò introducendo una c.d. “fase transitoria” per cui, abrogato (dal 30 marzo 2001) il citato R. D. 9 luglio 1939, n. 1238 (che si ricorda avere natura di norma di rango primario; Cfr.: anche art. 449 C.C.), alcune disposizioni di questo continuano a trovare applicazione.
Tra le disposizioni che continuano ad essere applicabili vi sono gli artt. 136 e 137 [1].
In via del tutto incidentale va debitamente ricordato come il primo (art. 136) sia stato interessato, in fase di pandemia da CoVid-19, di una temporanea deroga, motivata con comprensibili esistenze di evitare la diffusione del virus, disposta dall’art. 1 dell’Ordinanza del Capo Dipartimento per la Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministeri n. 664 del 18 aprile 2020 e, esaurita l’efficacia di questa, dopo un intervallo, riproposta nei medesimi termini, dall’art. 2 dell’Ordinanza (della medesima autorità) n. 892 del 16 maggio 2022, rimasto efficace fino al 31 dicembre 2022.

Ricordando l’art. 136 congiuntamente alle disposizioni dell’art. 137, in particolare il suo comma 3 (riferentesi all’utilizzo della Parte II Serie B dei registri per gli atti di morte), è possibile una considerazione: se si consultino questi registri (anche solo utilizzando i loro indici annuali e decennali), emerge con una certa chiarezza come nel passato il maggior numero di atti venisse registrato nella Parte I e solo in una fase, approssimativamente individuabile a partire dalla metà degli anni ’50 del secolo scorso (magari nella città maggiori anche prima), in cui l’utilizzo della Parte II Serie B ha iniziato a registrare una crescita progressiva, segno di una “ospedalizzazione” dell’evento “morte”, ormai cresciuto fino a divenire prevalente (ovviamente, non mancavano situazioni di decessi che avvenivano in luoghi diversi).
Questa crescita dell’impiego della Parte II Serie B segnala anche che i decessi sono sempre meno rispetto a quelli del passato, quando la morte avveniva, pressoché sempre, pur con eccezioni, nell’abitazione di dimora abituale della persona.
Il fatto che la morte intervenisse nel luogo (abitazione) di residenza portava, nella maggioranza dei casi, ad un trasporto funebre nel tratto abitazione/cimitero, con eventuale (ma estremamente diffusa) sosta in luogo di culto per la celebrazione delle esequie. Con il decesso in ospedale (o simili), si rendeva necessario un trasporto funebre più articolato nelle sue tratte: dall’ospedale al comune di residenza (in moltissimi casi sito in comune diverso, a volte anche lontano), cui seguivano le “tratte” all’interno di questo.

Queste articolazioni per tratte sono cresciute, in particolare nei casi di accesso alla pratica della cremazione, dato che gli impianti di cremazione sono variamente allocati e, generalmente, in numero inferiore a quello delle strutture ospedaliere.
Altro fattore di mobilità è quello dovuto alla realizzazione, qui e là, delle case funerarie e sale del commiato.
Ma non vanno dimenticate neppure le strutture residenziali socio sanitarie, specie per l’accoglimento di persone anziane o in particolari condizioni, variamente distribuite sul territorio, che, essendo “convivenze ai fini anagrafici” (art. 5 D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223 e s.m.) comportano anche la registrazione anagrafica, con la conseguenza che la residenza (registrata) è sempre più spesso diversa dalla residenza degli ultimi periodi della vita, cioè dal luogo in cui operavano le relazioni familiari, amicali, di buon vicinato, ecc.
Per non parlare delle persone che, per le proprie vicende personali, dispongono di un diritto ad essere accolti in qualche sepoltura privata nei cimiteri, magari ben lontani da quelli di vita.

Non è finita. Una volta giunto a destinazione (sepoltura, quale ne sia la pratica) il “morto” non è proprio giunto ad una “sistemazione definitiva”, nel senso che, dopo un certo tempo, le relative spoglie sono oggetto di esumazione od estumulazione, con collocamenti i più diversi, fino alla destinazione all’ossario, o cinerario, comune.
Tutti questi “movimenti” (non manca chi preferisce usare la parola: “traslazioni”) che interessano le persone defunte dal momento della morte a quello di una “sistemazione definitiva” (e, quindi, finale) devono fare i conti con normative (di legge, di regolamento e, troppo spesso, anche di prassi) che appaiono non più coerenti, e risultano frequentemente in contrasto, specie quanto si debbano fare applicazione di norme regionali che non solo provano l’approssimazione e una flebile (quando vi sia) conoscenza, ma anche si scontrano le une con le altre, risultando inconcludenti ed inconferenti, spesso debordando, in particolare nelle materie della tutela della concorrenza, dell’ordinamento civile e tutela dell’ambiente.
Si tratta di un modello che ha dimostrato tutti i propri limiti, cui qualcuno cerca di rimediare ricorrendo al feticcio di una qualche reciprocità, spesso trascurando che questa richieda accordi convergenti, bilaterali (o plurilaterali) da parte dei soggetti interessati e non può aversi per mera opzione di quanti siano interessati a rilevarla, cioè in via interpretativa in sede di applicazione.
Occorre ormai cercare di impostare progetti normativi, a livello di legislazione nazionale, che portino ad istituti coerenti ed omogenei, rispettosi della dignità dei defunti e, soprattutto, dei loro familiari, cui non si può chiedere di disporre di informazioni che sono difficili anche per i c.d. “addetti ai lavori” (ciascuno per la propria parte), ai quali ultimi va chiesta professionalità adeguata.


[1] – R. D. 9 luglio 1939, n. 1238.
Art. 136 – Nella prima parte dei registri di morte l’ufficiale dello stato civile iscrive le dichiarazioni di morte fattegli direttamente nei casi indicati nell’art. 138, comma primo.
Art. 137 – La parte seconda dei registri di morte è suddivisa in tre serie, distinte rispettivamente con le lettere A, B e C.
Nella serie A, composta di fogli con moduli stampati, si trascrivono gli atti di morte avvenuta fuori del luogo ove il defunto aveva la sua residenza.
Nella serie B, composta di fogli con moduli stampati, si iscrivono gli atti di morte che l’ufficiale dello stato civile redige in seguito ad avviso, notizie o denunzie avuti da ospedali, da collegi, da istituti o da qualsiasi altro stabilimento, a norma dell’art. 138, comma secondo, da magistrati o da ufficiali di polizia giudiziaria nei casi di cui all’art. 144, dai capi stazione nel caso di cui all’art. 147, dai comandanti di aeromobili o di aeroporto nei casi indicati nell’art. 148, commi primo e quarto, dai segretari o dai cancellieri dell’autorità giudiziaria nel caso di cui all’art. 139.
Nella serie C, composta di fogli in bianco, si trascrivono:
1) gli atti di morte ricevuti all’estero;
2) gli atti di morte ricevuti durante un viaggio di mare e quelli formati nel Regno dalle autorità marittime a termini dell’art. 146, commi primo e terzo;
3) gli atti di morte compilati dagli ufficiali designati ai sensi della legge di guerra approvata con R. decreto 8 luglio 1938, n. 1415;
4) i processi verbali formati dal podestà o da altro pubblico ufficiale nel caso preveduto nell’art. 145; i processi verbali formati dall’autorità marittima portuale nel caso preveduto nell’art. 146, comma quarto, e, ottenuta l’autorizzazione del tribunale, gli atti di scomparizione in mare contemplati nell’art. 597 del regolamento per la esecuzione del codice per la marina mercantile;
5) le dichiarazioni autentiche delle autorità marittime e dei comandanti di aeroporto nei casi preveduti rispettivamente nell’art. 146, comma secondo, e nell’art. 148, comma terzo;
6) le sentenze di rettificazione passate in giudicato;
7) le sentenze di morte presunta divenute eseguibili;
8) le sentenze che, a termini dell’art. 65 del libro primo del codice civile, dichiarano la esistenza delle persone di cui era stata dichiarata la morte presunta o ne accertano la morte.
Nella stessa serie C si iscrivono o si trascrivono gli atti di morte ai quali, per la particolarità del caso, non si adattano i moduli stampati.
La trascrizione degli atti indicati nei numeri 1, 2, 3, 4 e 5 e nel precedente comma è fatta per intero.

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Sereno Scolaro

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