I consigli dei praticoni

Accade più o meno con una certa frequenza che vi siano indicazioni che non trovano fondamento.
Tempo addietro una rivista riportava un articolo, scritto da persone di altro Stato, in cui compariva il termine: “umarell” come parola italiana, diffusa in tutta Italia (… di qui il riferimento a giornalista estero) indicante le persone anziane che si aggirano in prossimità dei cantieri per osservare l’andamento dei lavori e dare consigli, non richiesti, ai muratori circa il modo di operare.
Anche nell’ambito delle attività funebri (intese in senso molto largo) si hanno molti umarell, come quelli che affermano quali siano le modalità corrette, quali quelle che non dovrebbero farsi e così via, spesso elevando unico comportamento corretto quanto lo sia in una data realtà, dal momento che molte “fasi” risentono di disposizioni dei singoli Regolamenti comunali di polizia mortuaria, per loro natura e ruolo singolari.

È accaduto di discorrere, accidentalmente, con il titolare di un’I.O.F. di media età (si conosceva il nonno) che, premesso di non conoscere l’esistenza del D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., né la legge regionale del luogo, ricordava che un tempo il medico dell’ASL (quando le funzioni di tale figura erano svolte nei termini del Punto 9.7) della circolare del Ministero della sanità n. 24 del 24 giugno 1993 erano assolte dall’ASL, prima che leggi regionali le avessero “conferite” al c.d. incaricato del trasporto) suggeriva di non praticare la saldatura della cassa in zinco, quando prescritta, a perfetta regola d’arte, argomentando che una adeguata saldatura non avrebbe consentito più di tanto lo svolgersi dei processi trasformativi cadaverici.
Il medico dell’ASL non era certo un umarell, anzi, ma era stato interessato direttamente ad una situazione specifica, quella di un comune che aveva la necessità di traslare da uno ad altro cimitero plurimi feretri già in tumulazione, occasione nella quale aveva dovuto constatare un’ampia diffusione di fenomeni trasformativi cadaverici, al punto di chiedere indicazioni, circa possibili rimedi, a persona ritenuta in grado di fornirli.
Se si abbia eventualmente avuta occasione di leggere, in questa stessa Categoria, l’articolo “Il mito del ventennio” (18/3/2024), oppure chi abbia una certa pratica in proposito sa bene come, nella tumulazione, i tempi per ottenere lo stato di cui all’art. 86, comma 5 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. (… completa mineralizzazione …) siano tutt’altro che prevedibili (e non certo prima di un certo numero di decenni).

Visitando un cimitero, assieme al suo custode, per ragioni estranee a quelle turistiche, vi è stata la possibilità di osservare lavori di costruzione di una edicola funeraria e, nella fase in cui erano i lavori, notando che nei loculi, su più livelli, venivano installati (in epoca in cui non si ipotizzavano ancora le tumulazioni aerate) tubetti in materiale plastico, probabilmente PVC, per cui, senza esternare conoscenze, se ne è chiesta la ragione, ottenendo la risposta che questo era necessario per “sfiatare” i loculi, per evitare che situazioni di caldo estivo provocassero sovra-riscaldamento interno che avrebbe potuto favorire anche lo scoppio del feretro (con giudizi negativi sull’efficacia delle valvole, sia in quanto tali sia perché spesso mal posizionate).
Risulta evidente come la prassi di dotare i loculi di “sfiati” risulti in contrasto con quanto disposto dall’art. 76, comma 6 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.(… 6. Le pareti dei loculi, sia verticali che orizzontali, devono avere caratteristiche di impermeabilità ai liquidi ed ai gas ed essere in grado di mantenere nel tempo tali proprietà. …) , mentre un qualche senso potrebbe averlo se si trattasse di realizzare, o ristruttura a tale funzione, loculi aerati, laddove ammessi dalla normativa regionale.

Si tratta di situazioni che, a parte i livelli di diffusione che possano aversi, segnalano quanto spesso le pratiche prevalgano sulle norme, il che potrebbe anche aversi, ma almeno quando si abbia piena conoscenza di queste ultime e vi sia una scelta cosciente (a prescindere se sia lecita o meno) in una certa direzione, quando vi sia una ragione sostenibile per intervenire in questo senso.
Non si vuole suggerire di considerare le norme come se inesistenti, tutt’altro.
Quello che piuttosto andrebbe evitato è la vanteria di non conoscerle, di non averle neppure sentito nominare che esse siano presenti, privilegiando l’assunto per cui “Ho sempre fatto così …”, che costituisce la negazione del concetto di professionalità un po’ per tutti, a qualsiasi livello operino.

Aggiungiamo un ulteriore episodio, giusto per curiosità, dato che è stato segnalato come in sede di estumulazione siano state rinvenute casse mortuaria in ferro, anziché in zinco, risalenti attorno, circa, agli anni ’80 del XIX sec. e, in un caso, anche una cassa mortuaria in ceramica.
L’uso del ferro potrebbe anche non stupire, almeno quando si risalga molto addietro nel tempo (e parlando di zinco, di tenuto presente come zinco non sia proprio lamiera zincata …), mentre per la cassa mortuaria in ceramica non si può non osservare come le tecnologie per realizzare una cassa in tale materiale siano (siano state) decisamente più complesse che non l’uso di metallo diverso dalla zinco.

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Sereno Scolaro

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