Il fatto che quello che si può chiamare “modello cimiteriale italiano” si trovi ad un punto di svolta (e sempreché la svolta non sia già stata oltrepassata) è abbastanza evidente, constatandosi le numerose difficoltà presenti nella gestione, causate da una pluralità di fattori (se ne indicheranno solamente alcuni) e, da ultimo, accentuate da un forte mutamento nelle “domande” tra le diverse pratiche funerarie che hanno accelerato processi gestionali già avviati.
Uno di questi fattori è stato quello che, fino al 10 febbraio 1976 (fattore ormai quindi appartenente al passato, ma che continua a produrre effetti perversi, in particolare sotto il profilo della gestione), consentiva non solo concessioni cimiteriali a tempo determinato particolarmente lunghe, ma anche in perpetuo, modalità particolarmente diffusa tanto da apparire pressoché consuetudinaria, specie per alcune tipologie sepolcrali, sottovalutando la sterilizzazione, dal punto di vista dell’utilizzo, che conseguiva al raggiungimento della saturazione della capienza del sepolcro.
Un secondo fattore, ancora maggiormente diffuso, è stato quello di non tenere conto di quella che avrebbe dovuto essere la distinzione tra ricavi da concessioni cimiteriali e ricavi volti al sostentamento delle spese ordinarie di gestione cimiteriale, finanziando queste secondo con le prime, cosa che è divenuta evidente quando, progressivamente ma con velocità sempre più accelerate, le prime si sono ridotte per effetto delle variazioni nella tipologia delle “domande” tra le differenti pratiche funerarie.
Ciò è stato anche dovuto, o almeno collegato, con la tendenza dei servizi finanziari di non valutare orizzonti temporali che andassero oltre una certa periodicità, sulla base delle impostazioni orientate non oltre alle triennalità (e, aggiungeremmo, anche delle durate dei mandati amministrativi).
In altre parole, frequentemente (forse, sempre) non è stata impostata alcuna logica di recupero delle spese gestionali cimiteriali, ma neppure è stato tenuto conto di come le concessioni cimiteriali, prese singolarmente (ed isolandole le une dalle altre), in realtà fruissero di servizi comuni del servizio cimiteriale (es.: servizio di custodia, attività amministrative, cura e mantenimento della viabilità interna, verde e pulizie, c.d. arredo urbano, forniture idriche e/o elettriche, ecc.).
Altrettando può dirsi per la riscossione delle entrate pressoché (se non sempre) in termini di unica soluzione, anche quando avessero natura di entrate periodiche, indicativamente annuali.
Non senza considerare la netta prevalenza che ha assunto lo logica del cimitero “ad accumulo” contrapposta a quella della “rotazione”, quest’ultima spesso relegata alla marginalità, anche con una sua compressione al di sotto dei limiti dimensionali prescritti normativamente, in funzione di ottenere ricavi maggiormente accessibili nel breve periodo.
A ciò vanno aggiunte le progressive riduzioni di entrate, congiuntamente a sempre maggiori limitazioni nelle possibilità assunzionali, che hanno portato a carenze pesanti nelle oggettive disponibilità del personale necessario (strettamente necessario), cui è stata data risposta spesso ricorrendo ad esternalizzazione a soggetti diversi, frequentemente secondo logiche di miglior prezzo e non di prezzo maggiormente economico sotto il profilo della gestione e della sua qualità, fino a giungere a ricorrere ad interventi di finanza di progetto, che spesso altro non sono stati se non strumenti per creare debiti fuori bilancio destinati ad emergere a distanza di plurimi mandati amministrativi, cioè in fasi temporali in cui chi abbia, all’origine, assunto decisioni in questa direzione, era divenuto ormai del tutto estraneo.
Ma si tratta di soluzioni non risolutive, in quanto de facto non fanno altro che differire nel tempo le criticità, abbassano la qualità del servizio e favoriscono una perdita di professionalità adeguate (a volte, anche per formulare successivi atti di affidamento), oltre che distogliere la conoscenza dei costi oggettivi di un servizio minimamente operativo.
Sono criticità che vanno altresì collegate alla pluralità di cimiteri presenti nei comuni, in quanto in non poche realtà questi non dispongono di un unico cimitero, ma di un certo numero, spesso a servizio (in origine) a aree (frazioni, località, ecc.) che ormai hanno subito, a propria volta, trasformazioni, spesso anche di spopolamento, ma che rimangono rilevanti, quanto meno sotto il profilo identitario (quanto meno per un certo numero di generazioni) ed affettivo della popolazione, cosicché risulta poco proponibile un’eventuale loro soppressione (che non è esente da oneri, anzi).
È ben noto come vi siano, qui o là, micro-cimiteri che, per diverse motivazioni, hanno un utilizzo rarefatto, spesso con dimensioni complessive decisamente mignon e la cui presenza (e gestione) hanno incidenze pesanti, proprio per la riduzione della domanda, da risultare del tutto sproporzionate.
Si tratta di situazioni che vanno affrontate attraverso un, profondo, mutamento delle impostazioni logiche da assumere a fondamento.
Appare non proponibile la prospettiva di individuare quale soluzione quella di attribuire tutti gli oneri gestionali alle risorse della c.d. fiscalità generale dei comuni, dato che uno dei fattori sopra considerati è proprio quello della loro limitatezza, della progressiva riduzione e delle gestioni impostate senza visioni temporali coerenti.
Il cambiamento richiede l’approccio a ottiche ben diverse. In primis quella del superamento degli oneri sin qui occultati e non esplicitati, in secundis quello di avere ben chiaro che un servizio generale non può continuare ad essere scisso dalle componenti di servizio ad uso particolare, meglio se questi usi particolari siano chiamati a concorrere con quelli del servizio generale.
Ma occorre, altresì, anche superare la visione del cimitero come servizio puntuale, ma come elemento di un servizio cimiteriale integrato, includente l’ambito cimiteriale in senso stretto e, ovviamente, l’ambito della cremazione costituendo questa una delle pratiche funerarie presenti la quale, in quanto tale, non può che effettuarsi in questo contesto, assolto su di un ambito territoriale più esteso sia rispetto al cimitero come impianto singolo, sia rispetto al cimitero come servizio comunale, di singoli comuni.
Vi sono già componenti di questo che non ha più senso la collocazione, storicamente determinata, in un ambito meramente comunale.
Si pensi agli impianti considerati dagli artt. 12 e 13 (ed altresì, ed a maggiore ragione, 14 e 15) D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.
Oppure si pensi agli impianti di cui al successivo art. 78, che assolvono alla propria funzione su di un ambito di bacino spesso (o, pressoché sempre) sovracomunale, anche se non potrebbe escludersi, a rigore, che nelle realtà metropolitane vi possa essere una loro pluralità anche all’interno di un singolo comune.
In altre parole, i confini amministrativi non sempre sono adeguati al servizio.
Di qui, la ragionevolezza di iniziare a parlare di servizio cimiteriale integrato agente su di un ambito territoriale ottimale, ottimale rispetto al servizio da svolgere.