Generalmente, allorquando di parla di “Commemorazione dei defunti” si tende a considerare la data del 2 novembre, anche se i comportamenti, ritualità e prassi, collegativi si svolgano il giorno precedente, cioè il giorno di Ognissanti.
Questa prossimità porta a non considerare come, in moltissime (forse, tutte) culture le celebrazioni dei defunti sino, in realtà, duplici, cosa molto evidente nel lontano Oriente, dove esse sono celebrate distintamente, anche temporalmente (all’incirca attorno al 4 – a volte il 5, ma raramente – aprile, e alla metà di agosto), separazione temporale che rende più evidente la duplicità.
Se si considera come Ognissanti (“Halloween” [1] costituisce una storpiatura linguistica, richiamando il “credere nei Santi”, cioè nella loro sussistenza anche a distanza di tempi) consideri tutte le persone defunte di cui si sia persa la memoria individuale, mentre la Commemorazione dei defunti ha riguardo alle persone defunte di cui vi sia una “memoria” (che può essere data da un sepolcro, da elementi di ricordo come un’iscrizione individuale, spesso congiunta ad una qualche rappresentazione (fotografia, simboli religiosi o cultuali, ecc.), si può cogliere la differenza.
Ma la perdita di una memoria individuale non l’elimina del tutto, tanto che la visita ai cimiteri, le cerimonie, i riti, in alcuni contesti anche le prassi (es.: portare del cibo sul sepolcro e consumare qualche pasto, talora solo dolci tipici d’occasione, sulla sepoltura, ecc.) significano la persistenza di un legame tra le persone e i defunti, anche se tali da notevole tempo.
Del resto, la stessa struttura del cimitero è improntata a questi due “momenti” del ricordo, da un lato (persistenza della memoria individuale del defunto) con il sepolcro, con i suoi “segni”, nonché con la cura che a questo viene (o, dovrebbe venire) garantita, dall’altro con quell’”impianto” cimiteriale dato dall’ossario comune, cui più recentemente si è affiancato il cinerario comune, che, entrambi assolvono alla medesima funzione, consistente nell’accoglimento delle spoglie mortali dei defunti, una volta completatisi i processi trasformativi cadaverici (o, avvenuta la cremazione, quando concorrano alcune condizioni).
Questi due “momenti” portano a mettere in discussione l’approccio che sta sempre più diffondendosi (non è una critica, ma solo una presa d’atto) che tendono a ridurre il lutto a periodi molto ristretti: si pensi (uno dei tanti esempi che si possono fare) alle durate che diversi C.C.N.L. individuano per i c.d. “permessi per lutto”, come se gli “effetti” di un lutto si esaurissero in un arco temporale di pochi giorni.
Spesso, per altro, questi “effetti” si generano a distanza di tempo rispetto al momento del decesso, per non dire dei fattori più intimi del lutto, che le persone che avevano significativi rapporti con la persona defunta vivono”, e soffrono, spesso a livello strettamente personale (per questo è stato detto: “intimo”), attraverso un processo di elaborazione, le cui fasi e la cui durata è del tutto personalissima.
È già stato anticipato come il cimitero (ma sarebbe meglio parlare di “servizio cimiteriale”) abbia al proprio interno il tenere presente di questi “due momenti”, quello della memoria individuale dei singoli defunti e quello della memoria complessiva dei defunti, anche quando non si trovino più nelle condizioni di contare su di una memoria individuale.
Si pensi, giusto per ricorrere ad altro esempio, al fenomeno dei c.d. sepolcri abbandonati, che non sono tali per una qualche forma di empietà da parte di chi dovrebbe curarli e mantenerli, ma come effetto di una lontananza, anche temporale, tra il momento della morte di un dato defunto e il momento attuale, a causa, spesso di durate delle sepolture che vanno ben al di là dei processi di elaborazione del lutto, spesso anche della memoria, magari conservata (in alcuni casi) nel contesto familiare, dei defunti.
Qual è il rapporto, in termini di memoria individuale, tra le persone della famiglia ed un defunto il cui decesso è avvenuto in epoca rispetto a cui non vi è più memoria (se non per qualche iscrizione fatta, a suo tempo, sul sepolcro).
La cura del sepolcro è spesso condizionata proprio da questi fattori, cioè sulla “vivacità” (si passi il temine) tra le persone che abbiano il dovere di provvedere alla cura e al mantenimento in buono stato di conservazione del sepolcro e i “nominativi” (si fa notare che non si parla ora più di “persone defunte”, con cui sussista un qualche legame, magari affettivo o di memoria familiare, ma di “nominativi” dei defunti, ormai senza alcun’altra connotazione.
Il servizio cimiteriale, per sua stessa natura (e funzione) si sottrae alle logiche di breve periodo, ma si proietta su orizzonti temporali che trascendono il contingente, cosa che costituisce un elemento di intrinseca debolezza, dal momento che ciò impone, a chi abbia un qualche ruolo decisorio, di sottrarsi da logiche di adempimento nel breve o anche medio periodo, ma richiede che sia tenuto conto proprio delle proiezioni temporali che caratterizzano il servizio cimiteriale, ormai maturo per ipotizzare una qualche visione integrata, collocandosi su bacini di servizio quanto più possibili idonei a dare risposte concrete alle popolazioni di riferimento.
Ormai, la logica del servizio cimiteriale come “affare” del singolo comune, a volte della frazione o della borgata, non trova più riscontro con una realtà i cui orizzonti, anche spaziali, non è più auto-esaurentesi in un qualche micro-cosmo, dovendosi piuttosto privilegiare impostazioni che assicurino, accanto ad un’imprescindibile qualità, anche i tre principi dell’Efficienza, Efficacia ed Economicità.
[1] – Anche se vi sia chi ritenga che la celebrazione di Halloween sia “d’importazione”, e in alcuni aspetti esteriori lo è anche (es: determinati abbigliamenti, un uso smodato di oggettistica richiamante ossa, ecc.), non può ignorarsi come in alcune aree del Paese, specie collinari o montane, fossero tradizionalmente praticati comportamenti che si ritrovano, oggi, come pertinenti ad Halloween, e il momento si celebrazione (31 ottobre) altro non è se non Ognissanti, iniziando a contare il giorno dal tramonto precedente e non dall’alba successiva (del resto, quando ha inizio il sabato ebraico?).
Ma importante appare anche il riferimento ai dolci (in quante realtà italiane la tradizione locale considera dei dolci preparati proprio in occasione delle celebrazioni dei defunti?), in quanto evocative di un pasto comunitario (e non mancano, anche se queste tradizioni si siano nel tempo rarefatte, spesso rimanendo solo un ricordo delle persone più anziane) realtà in cui si teneva un pranzo aperto a plurime persone in occasione e a “chiusura” delle cerimonie funebri e di sepoltura), dove “comunitario” altro non significa se non fatto assieme, e non solo tra parenti, ma altresì tra vicini, conoscenti, persone che avevano in qualche modo avute relazioni di vita, più o meno pervasive, con il defunto.