Premessa introduttiva
L’istituto dell’affiliazione è stato soppresso con l’art. 77 L. 4 maggio 1983, n. 184 e s.m. “Diritto del minore ad una famiglia”.
In via transitoria (art. 79) è stato possibile, a certe condizioni, richiedere al tribunale per i minorenni una sorta di “conversione” dell’affiliazione, e non solo di questo istituto, in adozione c.d. “legittimante” (art 27 legge citata; in altri ordinamenti giuridici è presente il termine: “adozione piena”.
L’istituto dell’affiliazione era stato introdotto agli inizi degli anni ’30 del XX sec., in un contesto di ritenuta (allora) tutela dei minori e aveva due soli effetti:
(a) l’assoggettamento alla “patria potestà” (come si denominava allora, poi divenuta potestà genitoriale, e ora responsabilità genitoriale) dell’affiliato rispetto all’affiliante;
(b) una certa quale assunzione da parte dell’affiliato del cognome dell’affiliante, assunzione che, in relazione ad alcune fattispecie, poteva essere quella di una assunzione comportante una vera e propria sostituzione del cognome precedentemente portato con quello dell’affiliante, oppure l’aggiunta del cognome dell’affiliante al cognome già portato (una delle origini di molti cognomi composti da due elementi cognominali).
Sulla questione del cognome potrebbe ricordarsi l’art. 186 R.D. 9 luglio 1939, n. 1238, modificato nel 1939, nel 1950, nel 1955 e nel 1963 e di cui va ancora tenuta memoria per le situazioni precedenti e per questo consolidatesi, anche se sia stato implicitamente abrogato dall’art. 109, comma 2 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 e s.m. “Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127”.
All’inizio, l’istituto non era molto “nobile”, nel senso che si prestava, in un contesto di società fortemente basata sul lavoro agricolo, nella messa a disposizione all’affiliante di manodopera non retribuita (e per cui, fino a una certa età dell’affiliato, neppure era dovuto il versamento di contributi) sul presupposto di una certa quale appartenenza alla “famiglia”, coltivatrice, dell’affiliante (comunque non incidendo sui diritti di altri in materia successoria), appartenenza evidenziata dal cognome (un po’ come nel medioevo gli schiavi/servi portavano un collare con iscritto il nome del proprietario).
Lentamente l’istituto è venuto ad adulterarsi nei fini, divenendo lo strumento per far fronte ai limiti (precedenti alla L. 19 maggio 1975, n. 151 “Riforma del diritto di famiglia”) del riconoscimento di filiazione, precedentemente chiamata adulterina, poi naturale e, ora, filiazione fuori dal matrimonio. Anche per questo, il sopra ricordato art. 79 L. 4 maggio 1983, n. 184 trovava una propria motivazione.
Ma se l’affiliazione è stata abrogata, nel 1983, perché parlarne?
Il fatto che l’istituto sia stato abrogato, e fatte salve le situazioni in cui ha potuto trovare applicazione la possibilità transitoria di cui all’art. 79 L. 4 maggio 1983, n. 184, esso conserva i propri effetti per le affiliazioni pronunciate prima della sua abrogazione e poiché l’art. 93, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. prevede che lo ius sepulchri spetti al concessionario e alle persone appartenenti alla famiglia di questi, diventa importante (o, forse, solo utile, quando ricorra il caso) approfondire se la persona affiliata appartenga alla famiglia del concessionario, come sempre a questi fini.
Considerando che la famiglia, a questi fini (ripetizione intenzionale), del concessionario sia tendenzialmente definibile sulla base dei rapporto di coniugio (e istituto assimilabile – Cfr.: art. 1, comma 20 L. 20 maggio 2016, n. 76 “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”.), nonché dei rapporti di parentela e/o affinità (artt. 74 – 78 C.C.), la risposta dovrebbe essere negativa.
Ovviamente, torna del tutto importante, quanto essenziale, richiamare l’attenzione sul fatto che la “definizione”, se si voglia “individuazione”, dei criteri di appartenenza alla famiglia del concessionario trova fonte normativa nel Regolamento comunale di polizia mortuaria, aspetto che non va mai trascurato e che, opportunamente, dovrebbe tenere conto anche di queste situazioni.
Per altro, al di là delle norme “nude e crude”, non può sottovalutarsi il fatto che le relazioni tra le persone a vario titolo interessate non solo si siano sviluppate per tempi non certamente brevi, ma si sono consolidate e, con notevole frequenza, queste hanno proiettato i propri effetti su altre persone, su altre comunità al punto che si può parlare di percezione sociale, comune e largamente (se non del tutto) esclusiva che porta a considerare le persone come della medesima famiglia, quale significato si voglia dare al termine.
Tutto ciò non va sottovalutato, dato che quello che è in gioco è una (o più) vita, anzi al plurale: vite, in cui hanno operato, del tutto inopposti, legami, sia affettivi sia di comunanze di senso, di “vissuto” non ignorabili.
Alternative?
La conclusione precedente appare insoddisfacente (sempre ché, ovviamente, il Regolamento comunale di polizia mortuaria, nell’individuare le persone appartenenti alla famiglia del concessionario, non consideri, accanto ai parenti ed affini, altresì gli affiliati, ipotesi che può valutarsi abbastanza poco probabile, quanto meno in relazione all’epoca da cui l’istituto è stato superato), per plurimi motivi.
Tuttavia, non va – mai – dimenticato di considerare anche l’art. 93, comma 2 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., che, con una formulazione del tutto innovativa rispetto a tutta la normativa nazionale in materia, ha ammesso che possa: “… altresì essere consentita, su richiesta di concessionari, la tumulazione di salme di persone che risultino essere state con loro conviventi, nonché …”, disposizione che consente (sul presupposto che l’affiliato sia stato per convivente con l’affiliante, nonché, spesso, con altri componenti della famiglia di questi) comunque di assicurare all’affiliato l’accoglimento nel sepolcro di famiglia (o, gentilizio, che nel contesto ne è sinonimo) in concessione all’affiliante, seppure con modalità e procedure diverse rispetto all’ordinaria situazione di appartenenza alla famiglia del concessionario di cui all’art. 93, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.
Ora, se in relazione alla data di abrogazione (1983) dell’istituto dell’affiliazione (ed, eventualmente, anche del venire meno di precedenti limitazioni in materia di riconoscimento di filiazione (1975)), può anche essere abbastanza possibile (gli orizzonti temporali che riguardano le concessioni cimiteriali sono notoriamente estesi) che siano ancora viventi persone a suo tempo affiliate, minore potrebbe essere la possibilità che siano ancora viventi l’affiliante (ma non è detto), cosa che porta a dover valutare quale sia la regolazione dell’istituto del subentro nella titolarità delle concessioni cimiteriali, cioè se eventuali discendenti (o coniuge e/o persona assimilatavi, caso questo probabilmente meno probabile in ragione dell’entrata in vigore delle norme, sopra ricordate, che portano oggi a parlare di “assimilazione” al rapporto di coniugio) abbiano, col subentro, assunto la qualità di concessionari o meno, questo sia per la legittimazione a provvedere alla “richiesta”, sia, soprattutto, per la valutazione della pregressa condizione di convivenza.