Geo-localizzazione delle sepolture e delle loro gestioni

Talora le cronache segnalano situazioni di criticità nelle gestioni delle sepolture, spesso portando alla conoscenza del pubblico la carenza di questa o quella tipologia di sepoltura, magari lamentando come, in una data localizzazione siano stati adottati nel passato “piani” per dare soluzione a questa o quella carenza, dando conto di come, alla fin fine, questi non abbiano ancora trovato attuazione, cosicché la situazione cui si voleva porre rimedio non solo non si è risolta, ma si è progressivamente aggravata, lasciando le famiglie coinvolte in difficoltà inenarrabili.
Si tratta di situazioni che non sono distribuite in modo omogeneo, ma presentano fortissime differenziazioni da zona a zona. Vi sono realtà in cui è particolarmente “appetita” (in senso buono) una data pratica funeraria, mentre in altre prevale altra, magari anche in misura talmente forte da essere considerata la sola ammissibile, con atteggiamenti, di larga diffusione, per cui altre pratiche funerarie sono, per così dire, “rimosse”, fatte oggetto di profondo stigma sociale o di altra natura.
Altrettanto potrebbe dirsi di alcune prassi, che sono assenti in alcune realtà o del tutto presenti in altre: si fa solo l’esempio dell’illuminazione elettrica votiva, in alcune aree assente (anche se talora vi si fa rimedio, da parte di quanti l’apprezzino, ricorrendo a illuminazioni votive di altra natura): vi sono stati studi di O.R.M.E. (Osservatorio per la Ricerca sulla Morte e le Esequie, dell’Istituto Cattaneo), una delle poche ricerche che affrontano il tema del “dopo” (“dopo” la sepoltura, le ritualità che si svolgono nei cimiteri), che hanno messo in evidenza le differenze tra macro-aree italiane sulle pratiche che si constatano nei cimiteri (visita ai cimiteri, visita alle sepolture, cura delle sepolture, portare fiori sulle sepolture, preghiera davanti alle sepolture, parlare con i defunti sepolcri, accendere un lumino, dove questa pratica vede differenze sia territoriali (per macro-aree), sia per dimensione demografica dei comuni.
La questione dell’illuminazione, elettrica o meno, presso le sepolture potrebbe essere “letta” come una memoria del rapporto morte/fuoco, di ascendenza iranica (ma in parte divenuta mediterranea, così come altri miti originariamente iranici sono, rivestiti di altro, divenuti prima mediterranei e poi eurocentrici) che si conserva in alcune aree.
Altrettanto, l’attenzione per un qualche culto delle ossa più che dei corpi, costituisce il portato di “percorsi” storici non uniformi. Ma non mancano culture sepolcrali che risalgono a differenti tradizioni: ad esempio, nelle aree già “austriache” prevalgono usi e consuetudini, anche sotto il profilo delle sepolture, che privilegiano alcune pratiche, mentre in aree più “mediterranee” prevalgono altre.

Una constatazione di una “geo-localizzazione” emerge anche compulsando la giurisprudenza in queste materie, in cui si riscontrano forti contenziosi, spesso decisi da determinati T.A.R. (e, quando vi sia appello, dal Consiglio di Stato), contenziosi che sono pressoché del tutto assenti in altre zone.
Non si ritiene che ciò sia dovuto a differenti “operatività”, ma che esse si rifacciano a usi, a comportamenti che altrove neppure si pensa siano possibili o ancora ammissibili (forse anche perché non le erano neppure nel passato).
Infatti, vi sono contenziosi che, altrove, non sono proponibili, in quanto fondate su disposizioni abrogate da, grossomodo, mezzo secolo, ma che – altrove – sono affrontate come se fossero tuttora vigenti, quasi a rimuovere il fatto che, indipendentemente dal momento originario, i rapporti concernenti le sepolture private nei cimiteri non possono che seguire, nella loro attuale gestione, se non le disposizioni normative attualmente vigenti. Per non parlare dei contenziosi endo-familiari o che, comunque, ruotano attorno all’appartenenza alla famiglia.
Quando si registrano, per tornare alle “cronache” indicate all’inizio, criticità di varia natura, molto spesso si trascurano fatti – oggettivi – intervenuti, maturati nel tempo, in primis il mutamento della “domanda” (ma si dovrebbe parlare al plurale) tra le diverse pratiche funerarie, principalmente dovute dalla crescita, sempre maggiormente veloce (in realtà, si dovrebbe parlare di accelerazione, cioè di una derivata della velocità), della cremazione che ha del tutto modificato i rapporti tra le diverse pratiche funerarie (inumazione, tumulazione, cremazione).
Non è un caso che le percentuali di accesso alla cremazione siano minori nelle realtà in cui vi sia ancora forte l’orientamento per la pratica della tumulazione, la quale, avendo un carattere “conservativo”, confligge sulla pratica della cremazione, che per sua natura e per le differenti possibili “destinazioni” delle ceneri (o delle urne cinerarie) si sottrae alle logiche “conservative”, così come a quelle “a rotazione” che caratterizzano l’inumazione.
Certo le minori percentuali di accesso alla cremazione hanno, o possono avere, anche altre motivazioni (tra cui la maggiore o minore presenza di impianti di cremazione, anche se il dato geografico di questa presenza è in parte condizionato alla domanda di cremazione, in un circuito in cui non è sempre nettamente distinguibile “causa” ed “effetto”).

La constatazione di come e quanto vi siano queste geo-localizzazioni, se adeguatamente valutata e soppesata, potrebbe consentire di individuare linee di operatività che inducano, senza subirle passivamente, anche ad un ri-orientamento delle culture e delle tradizioni che sottostanno, spesso con radici molto lontane, alle specifiche realtà locali, favorendo una riconquista delle libertà delle persone e un maggiore rispetto della pietas verso i defunti, “scrostando” i condizionamenti che, frequentemente, portano le famiglie verso scelte che altrimenti non farebbero.
Quante volte si evita, in date realtà, il ricorso all’inumazione, pratica altamente rispettosa dell’ambiente, per evitare i pettegolezzi maligni del vicinato che la qualificano come una sorta di abbandono o di scarso rispetto per il defunto e, magari, segno di una (ritenuta) qualche indigenza, da occultare, anche quando proprio essa neppure sussista.
Per non dimenticare, quante volte si abbiano, qui o là, il sorgere di ”comitati” di persone che insistono per proporre soluzioni di “conservazione” dei feretri, rispetto a cui gli organi a base elettiva trovano perfino difficoltà a farne fronte, tanto che, in alcuni casi, è stato fatto ricorso a strumenti anomali di alterazione dei bilanci dei comuni o percorsa la “via di fuga” del trasferimento a terzi per soluzioni che, dopo alcuni mandati amministrativi, portano a far emergere quello che in realtà sono, cioè dei modi per generare debiti fuori bilancio, che graveranno sugli organi elettivi che saranno in carica quando quanti hanno percorso all’inizio queste “vie di fuga” non potranno rispondere, né giustificare altrimenti.

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Sereno Scolaro

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