Una persona muore nell’ospedale del comune A e, avendo la persona espressa la propria volontà alla cremazione, viene autorizzato il trasporto del feretro presso l’impianto di cremazione B, trasporto eseguito sulla base di autorizzazione, tenendo conto altresì del disposto dell’art. 26 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.
Come ciò sia avvenuto rimane mistero (per quanto si vedrà). Fino a qui, apparentemente, la situazione sembra normale se non fosse che all’impianto di cremazione perviene solo quest’autorizzazione al trasporto del cadavere, ma non l’autorizzazione alla cremazione prevista dall’art. 3 L. 30 marzo 2001, n. 130 e, conseguentemente, il feretro viene accolto in attesa che venga fatta pervenire anche l’autorizzazione alla cremazione, nell’ipotesi di un qualche disguido nella trasmissione.
Decorso abbondantemente oltre un anno dall’arrivo del feretro presso l’impianto di cremazione, senza che sia pervenuta l’autorizzazione alla cremazione, il direttore dell’impianto di cremazione cerca di capire le cause allo scopo di individuare la soluzione del caso, tanto più che il comune nel cui cimitero è installato l’impianto di cremazione non è il comune di decesso, né altro comune tra quelli enunciati all’art. 52 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., né il comune di prevista destinazione finale dell’urna cineraria.
Da sommarie informazioni acquisite informalmente, sembrerebbe che figlia/o della persona defunta non abbia provveduto neppure a richiedere, ed ottenere, l’autorizzazione alla cremazione, non andando oltre dal conferire il mandato scritto a I.O.F. di propria fiducia per la fornitura del cofano, le forme esequiali scelte, fino al trasporto all’impianto di cremazione.
Sembrerebbe per un qualche contenzioso sorto tra il familiare e l’ospedale in cui è avvenuto il decesso.
Si pone la questione di quanto tempo un feretro possa permanere presso l’impianto di cremazione, stante l’eccezionale durata di questa situazione.
Se si trattasse della camera mortuaria, quale definita dall’art. 64 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., si potrebbe sollevare la questione se la cremazione possa, o meno, considerarsi una “sepoltura” (è noto alle lettrici/lettori che frequentemente vi sia chi usa il termine “sepoltura” indicandolo tra virgolette, per trattare con un medesimo termine i feretri, a prescindere dalla pratica funeraria scelta).
Astrattamente, l’uso di questo termine virgolettato indurrebbe a fornire una risposta positiva, se non fosse che la camera mortuaria è un “impianto” cimiteriale che deve/dovrebbe essere presente nel cimitero di definitivo accoglimento, il che non può sostenersi per i locali di servizio, tra cui il luogo di temporanea collocazione dei feretri in attesa di cremazione, dell’impianto di cremazione, in particolare quando questo si trovi in cimitero differente da quello di destinazione finale dell’urna cineraria.
Ma, sull’uso della camera mortuaria, nulla esclude che il comune interessato possa, nel proprio Regolamento comunale di polizia mortuaria, stabilire termini temporali limite per questa “eventuale sosta”, anche se raramente vi sono disposizioni regolamentari in questo senso, per l’ovvia motivazione che generalmente questa “eventuale sosta” avviene per motivazioni tecniche (e.g.: il giorno successivo quando il feretro pervenga in orario che non consente l’immediata “sepoltura”, l’esigenza di disporre di adeguata attrezzatura, particolari esigenze della famiglia, come potrebbe essere nel caso di alcuni familiari che debbano giungere da lontano, ecc.) e, generalmente, in termini abbastanza brevi.
Un qualche termine temporale per una “sosta” potrebbe essere individuabile quando si abbia a che fare col “deposito di osservazione (art. 12 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e .sm.), ma anche in questo caso i termini sono generalmente brevi (lo stesso periodo di osservazione è breve, 24 ore, ai sensi del di poco precedente art. 8).
Tuttavia non vi è un termine massimo per questo utilizzo, anche se non pochi Regolamenti comunali di polizia mortuaria hanno iniziato a fissare un termine massimo, a volte anche corredandolo da una tariffazione, nei casi di un suo prolungamento oltre un certo termine.
Invece, se si trattasse di “obitorio” (successivo art. 13) va ricordato come alla lett. b) sia previsto, espressamente, “… b) deposito per un periodo indefinito dei cadaveri a disposizione dell’autorità giudiziaria per autopsie giudiziarie e per accertamenti medico-legali, riconoscimento e trattamento igienico-conservativo.”
Ma si tratta di “impianti” la cui localizzazione è regolata dall’art. 14, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., per cui, salva l’ipotesi (accademica) che l’impianto di cremazione non sia stato, precedentemente, individuato con atto formale quale luogo in cui siano istituiti il deposito di osservazione e/o l’obitorio, si può affermare come tale impianto, ed i suoi locali tecnici, non possa essere qualificato in tal modo.
Va aggiunto il fatto che per l’applicazione del disposto, sopra citato, dell’art. 13, lett. b) sussisterebbe il presupposto dell’atto dispositivo da parte dell’autorità giudiziaria, adottato quando ricorrano le condizioni previste (rinviando al loro testo).
Il suggerimento che potrebbe essere proponibile è quello di prendere contatti, e dato il tempo decorso in forma scritta, con i familiari tenutivi per sollecitarli alla presentazione dell’autorizzazione alla cremazione, fissandone un termine ragionevole.
Tra l’altro, stante la peculiarità del caso, è da presumere che il Regolamento comunale di polizia mortuaria del comune nel cui cimitero è installato l’impianto di cremazione non preveda un qualche sistema tariffario per il deposito dei feretri che superi una data durata, mentre potrebbe esservi previsione per altra fattispecie, quella riguardante i termini temporali per il ritiro, da parte di chi ne abbia titolo, dell’runa cineraria una volta effettuata la cremazione.
Tuttavia questo suggerimento (in sé stesso anche ovvio) presenta un limite, nel senso che non tiene conto del fatto che una sollecitazione potrebbe rimanere anche inevasa, dando luogo a quello che potrebbe chiamarsi “abbandono” del feretro.
Occorre quindi valutare se, pur se in contrasto con la volontà sottostante alla scelta della cremazione, possano individuarsi pratiche … alternative, come il trasferimento in cimitero (a questo punto, nei campi a sistema di inumazione considerati all’art. 58 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.).
In tale ipotesi sorgono due possibili considerazioni: contra dato che l’impianto di cremazione è un comune terzo, rispetto alle previsioni dell’art. 50 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., questa ipotesi appare non sostenibile; pro il soggetto gestore dell’impianto di cremazione non può essere chiamato a sostenere oneri, come quello del trasporto del feretro al comune che sia obbligato all’accoglimento ai sensi dell’appena ricordato art. 50 e, quindi, questa rimane soluzione prospettabile, quanto meno de residuo.
Ovviamente, e come sempre, queste eventuali procedure vanno poste in essere con la più ampia attenzione per il rispetto delle forme previste dalla L. 7 agosto 1990, n. 241 e s.m., disposizioni la cui corretta e sostanziale osservanza porta tutela a chi opera, oltre che ad assicurare garanzie alle persone a vario titolo coinvolte.
Sia permessa una considerazione, per quanto di merito: ma i familiari, a prescindere da quelle che siano le doglianze che ritengano nei confronti dell’ospedale presso cui si è avuto il decesso, come si rapportano con il loro rapporto (si immagina, anche di affettività endo-familiare) con la persona defunta?