Esigenze di chiarezza per superare le equivocità

Molti conoscono la pronuncia la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, Sez. III, 14 novembre 2018, C-342/17, con la quale ha la Corte ha affermato, tra l’altro, che una normativa nazionale che vieti ai cittadini dell’Unione di fornire un servizio di conservazione di urne cinerarie in uno Stato membro istituisce una restrizione alla libertà di stabilimento, ai sensi dell’articolo 49 T.F.U.E.
In disparte altre considerazioni, tra cui la debolezza delle argomentazioni addotte nel corso del procedimento dal Governo italiano, pare opportuno osservare come il fatto di richiamarsi all’art. 49 T.F.U.E. risulti essere un equivoco, in quanto il diritto di stabilimento riguarda il “luogo” di svolgimento di una qualche “attività”, in particolare quando questa sia svolta da soggetto “stabilito” in altro Stato membro dell’Unione europea.
Tale disposizione (che si riporta [1] per maggiore chiarezza), andrebbe letta considerando anche i successivi articoli da 50 a 55, tra i quali l’art. 51 individua le “attività” che sono (sono, non possono essere …) escluse da questa disciplina.
Poiché la questione che ne è stata oggetto era quella dell’”attività” di conservazione di urne cinerarie in edifici, siti fuori dai cimiteri, realizzati o adattati allo scopo, da soggetti privati (più esattamente: soggetti diversi dal comune), dovremmo sollevare la questione se, o quanto, questa “attività” costituisca un’attività economica, rientrante nell’ambito del “diritto di stabilimento”, tanto più che, nella fattispecie, il soggetto interessato non era “stabilito” in uno Stato membro differente rispetto a quello in cui era stata avviata l’attività.
In altre parole, non rilevava il “luogo” di svolgimento, ma piuttosto se l’attività potesse, magari anche solo astrattamente, essere svolta in termini di incremento della produzione e degli scambi (formula questa meramente “trascritta” dall’art. 50, alinea 2, lett. a) del T.F.U.E.), cosa che porta a porre la questione se l’oggetto di questa “attività” possa qualificarsi quale “attività economica”, esercitabile da un qualsiasi operatore economico, comunque “stabilito” in uno Stato membro.

La conservazione di urne cinerarie in un qualche edificio privato e fuori dai cimiteri ha una qualche pertinenza, poco o tanto che sia, ai fini di un “incremento della produzione e degli scambi”?
Il fatto che non vi siano state considerazioni in proposito, ha, come poteva essere prevedibile, portato anche altri a percorrere queste strade, trascurando, più o meno consapevolmente, le situazioni di esclusione del sopra citato art. 51 T.F.U.E., cosicché si è pervenuti anche alla pronuncia del T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II-ter, 12 aprile 2023, n. 6339, giungendo alla dichiarazione di improcedibilità come conseguenza che il comune (neppure uno tra i più piccolini …, anzi!), o, meglio, un suo “Servizio attività produttive, Ufficio commercio fisso artigianato e pubblici esercizi”, aveva concluso un procedimento conseguente ad una S.C.I.A. presentata al S.U.A.P. avente ad oggetto l’apertura dell’attività di deposito custodia privata di urne cinerarie, … ““sicché la struttura ospitante le urne cinerarie deve intendersi ad oggi autorizzata”.
Ritorna qui la questione posta in precedenza, cioè se questa attività di “deposito custodia privata di urne cinerarie” sia o meno un’attività economica o, se sia sufficiente, a trasformarla in tale il mero fatto che essa sia realizzata dietro corrispettivo.
Fermo restando che ogni attività non potrebbe prescindere da un corrispettivo, ed adeguato, la questione assume altre valenze, stante la peculiarità degli “oggetti” interessati al deposito e custodia, presumibilmente per termini temporali predeterminati contrattualmente.

Considerando la L. 30 marzo 2001, n. 130, in particolare le disposizioni di questa che definiscono le possibili “destinazioni” delle urne cinerarie (e trascurando l’ipotesi della dispersione delle ceneri, in quanto in questa non vi è “deposito”, né “custodia”), si può individuare come ciò sia previsto in termini di ricorso agli impianti cimiteriali, nelle varie forme della la tumulazione, oppure dell’interramento, con la sola deroga dell’affidamento ai familiari, ipotesi quest’ultima che costituisce il solo caso in cui il “deposito” e “custodia” sia ammesso in ambiti extra-cimiteriali.
La previsione non può che richiamare quella dell’art. 343, comma 2 T.U.LL.SS., R. D. 27 luglio 1934, n. 1265 e s.m. [2], riempiendo di un qualche contenuto il termine “colombari privati” (ma tali sono fuor di dubbio, ed unicamente, quelli rientranti nelle previsioni del Capo XVIII D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.), integrandoli con indicazioni che dovrebbero (si usa il condizionale per il fatto che, in alcune realtà, non si faccia particolare attenzione a questo aspetto) applicarsi altresì alle ipotesi dell’affidamento ai familiari delle urne cinerarie sotto il profilo delle “modalità” con cui debba concretizzarsi un tale affidamento.
Ne consegue che se l’istituto dell’affidamento ai familiari delle urne cinerarie comporti un “deposito e custodia” (non solo per la “destinazione stabile” e la garanzia “contro ogni profanazione”), esso comporta o, meglio, presuppone, che la “relazione” sottostante tra “familiari affidatari” e l’urna cineraria non sia, né possa essere, un’attività in qualche modo economica, ma che sorge in relazione a rapporti affettivi (e giuridici) intercorrenti, intercorsi in vita e persistenti dopo la cremazione, tra il familiare affidatario e la persona defunta le cui ceneri sono raccolte nell’urna cineraria.
Gli elementi di affettività presenti in vita si tramutano in memoria, a carattere nettamente familiare, cosa che porterebbe ad escludere ogni valenza, più o meno, commerciale.

Nessuno si scandalizza che vi siano soggetti, c.d. operatori economici, che possano cercare di individuare spazi in cui mettere a profitto ogni possibilità di ottenere adeguati ricavi.
Tuttavia (e non casualmente richiamandosi anche alle disposizioni dell’art. 51 T.F.U.E.) non si può negare che vi siano contesti che, per loro natura intrinseca, si collocano “fuori contesto”.
Quando vi sia affidamento ai familiari dell’urna cineraria il fattore rilevante non è la “modalità” con cui si estrinseca il deposito e custodia della stessa, ma le relazioni tra il familiare e il “ricordo” della persona del defunto, rappresentato dall’urna stessa, le quali non si collocano tra le posizioni giuridiche rispetto a beni in qualche modo disponibili, quanto tra le posizioni giuridiche afferenti ai diritti della personalità e, con maggiore esplicitazione, tra i diritti personalissimi, che, in quanto tali, sono indisponibili o, in altri termini, sottratti alla disponibilità.
In precedenza, è stato fatto cenno alle relazioni affettive: a questo punto è possibile porre la domanda se gli affetti possano avere valenze commerciali o se possano essere trasferiti a terzi.
Si parla di trasferimento a terzi, dal momento che vi è stato chi (dando come assodata la bona fide, sempre fuori discussione) ha ipotizzato, con creatività, una sorta di scissione tra la posizione del familiare affidatario dell’urna cineraria, quale risultante dall’atto di affidamento e quella dell’azione (attività?) di deposito e connessa custodia dell’urna cineraria, con una costruzione secondo cui quest’ultima non sarebbe altro che una modalità attraverso la quale possa sostanziarsi l’esercizio della posizione giuridica di affidatario.
Sotto questa prospettiva si potrebbe riformulare la situazione in termini di “delega” dell’affidamento da parte del familiare affidatario a terzi, come se la motivazione sottostante all’affidamento (in primis i rapporti affettivi e il “ricordo” personale) potesse esserne oggetto.
La questione non è più se sia o meno ammissibile una trasformazione del deposito e conservazione dell’urna cineraria in attività economica, ma se il “ricordo”, il “lutto” possa essere delegabili a terzi, di norma del tutto estranea al vissuto della persona defunta. La risposta è auto-conseguente alle premesse per come qui poste.


[1] – Trattato sul funzionamento dell’Unione europea- Articolo 49 (ex articolo 43 del TCE)
Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate.
Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative all’apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro.
La libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività autonome e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi dell’articolo 54, secondo comma, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitali.

[2] – T.U.LL.SS., R. D. 27 luglio 1934, n. 1265 – Art. 343 [I] (omissis) [II]
Le urne cinerarie contenenti i residui della completa cremazione possono essere collocate nei cimiteri o in cappelle o templi appartenenti a enti morali o in colombari privati che abbiano destinazione stabile e siano garantiti contro ogni profanazione.

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Sereno Scolaro

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