È opportuno non confondere “irreperibilità” con “non assenso”

Talvolta può essere utile riprendere aspetti, in particolare quando, nel tempo, si generino (umani) fraintendimenti.
Un caso è quello connesso alla pronuncia della Corte di Cassazione, Sez. III Civ., 10 gennaio 2023, n. 370 attorno ad un procedimento giudiziale originato dall’applicazione di quanto previsto dall’art. 3, comma 1, lett. g) L. 30 marzo 2001, n. 130.
Anche se l’azienda affidataria del servizio presenta elevati caratteri standard operativi di qualità, nella fattispecie vi è stata una “leggerezza” procedimentale che poteva essere evitata, ma che, accidentalmente avvenuta, poteva essere affrontata in termini meno … contenziosi, cercando una transazione sostenibile, evitando il percorso sui tre gradi di giudizio con la conclusione cui è pervenuta la Corte di legittimità.
La pronuncia ha sollevato nei gestori dei servizi, siano essi gestiti in forma diretta oppure col ricorso all’affidamento (nelle diverse forme che questo possa avere), dubbi ed incertezze, ma, anche, proposte di modifica della disposizione (sarebbero necessarie o anche solo opportune?).

Una delle maggiori fonti d’incertezza si ha sulle considerazioni della Corte che richiama, tra gli altri, anche l’orientamento espresso dal Consiglio di Stato, Sez. 1^, 29 ottobre 2003, n. 2957 circa le disposizioni della L. 30 marzo 2001, n. 130 che possano ritenersi di diretta applicazione anche se non siano stati emanati i provvedimenti attuativi previsti.
Essa rileva come un (eventuale) mancato riscontro di comunicazione rivolta agli aventi titolo a disporre per il richiesto “assenso” alla cremazione dei resti mortali (che qualcuno denomina, più o meno propriamente o, meglio, impropriamente, quale “disinteresse”) possa (o non possa ….) costituire condizione equivalente ad un assenso ritualmente espresso, negando questa equivalenza.
Ora, per il rilascio dell’autorizzazione alla cremazione di cadavere, è necessaria una manifestazione di volontà (in positivo) alla cremazione, resa, in primis dal defunto in vita (con più possibili forme e modi), oppure, in secundis e in difetto di questa, dai familiari a ciò qualificati.
E, nel caso di prospettata cremazione di resti mortali (la citata lett. g)), è previsto un assenso da parte degli aventi titolo (trascuriamo l’ipotesi che emerga, per quanto tardivamente, un’espressa volontà della persona defunta), assenso che assume la natura di riconoscimento della titolarità, in capo ai familiari aventi titolo a disporre, di “opporsi” alla cremazione dei resti mortali, opposizione che può anche essere del tutto silente, cioè quando l’”assenso” non sia formalmente espresso (e, quindi, manchi).

Va osservato come, sotto il profilo gestionale, possano aversi valutazioni diverse sull’opportunità, sull’utilità di provvedere alla cremazione di resti mortali (aventi le caratteristiche previste dalla lett. g)) a seconda della posizione dell’interprete, in quanto non ricorrere a questa pratica comporta l’esigenza di destinare i resti mortali ad altre “collocazioni”.
Per altro, il punto non è questo, dal momento che la lett. g) considera due fattispecie:
(1) acquisizione del consenso da parte dei familiari aventi titolo a disporre (fattispecie che apre, o riapre, la questione se possa applicarsi, se del caso, il criterio della loro maggioranza assoluta, oppure (non trattandosi di cremazione di cadavere) sia richiesto il consenso da parte di tutti i familiari nel grado più prossimo),
(2) irreperibilità dei familiari aventi titolo a disporre (e anche qui torna la questione ricordata nel caso di pluralità di familiari nel medesimo grado di prossimità).

Queste due fattispecie non considerano situazioni diverse, quale potrebbe essere il “disinteresse”, dato che questo (art. 1, comma 7-bis D.-L. 27 dicembre 2000, n. 392 convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2001, n. 26 (la disposizione è stata inserita con le modificazioni in sede di conversione ed è in vigore dal 2 marzo 2001) può essere preso in considerazione (per quanto qui interessa) per la cremazione dei cadaveri umani di cui al Capo XVI D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.
Per inciso e pertinenza, ricordiamo come questa disposizione, avente ad oggetto la gratuità del servizio di cremazione dei cadaveri umani, sia stata nettamente superata dall’art. 5, comma 1 L. 30 marzo 2001, n. 130 (laddove si parla di indigenza del defunto, de-vitalizzando ogni ipotesi di gratuità in situazioni differenti).
A questo punto occorre spostare l’attenzione sulla situazione di irreperibilità dei familiari aventi titolo a disporre, in quanto questa merita una qualificazione.

L’ordinamento giuridico, anche uscendo dalle norme specializzate, conosce l’istituto dell’irreperibilità quando si tratti di persone destinatarie di provvedimenti di cancellazione dall’Anagrafe della popolazione residente, adottati ai sensi dell’art. 11, lett. c) D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223 e s.m.
Questo istituto ha, sotto il profilo della gestione cimiteriale, probabilmente rara evenienza, ma non può essere sottovalutato, costituendo un’espressa fattispecie della condizione di irreperibilità (tanto che se non la si considerasse si aprirebbero criticità operative insormontabili), per cui si ritiene con un certo quale convincimento che possa essere integrato con lo strumento del Regolamento comunale di polizia mortuaria, con l’aggiunta di ulteriori elementi di qualificazione della condizione di irreperibilità.
Ad esempio, che, ai fini dell’applicazione della prefata lett. g), l’irreperibilità sussista o quando ricorra quella poco dianzi ricordata (che potremmo chiamare: “lett. a)”) o b) quando comunicazioni effettuate con lettera raccomandata con avviso di ricevimento o modalità a questa equiparate ai sensi del D. Lgs. 7 marzo 2005, n. 82 e s.m., siano state:
b.1) rese per non reperibilità all’indirizzo della persona destinataria, oppure:
b.2) rese per compiuta giacenza, oppure:
b.3), oppure: rese per indirizzo non esistente, oppure:
b.4) rese per rifiuto.
Ma potrebbero individuarsi anche altri fattori di qualificazione dell’irreperibilità purché abbiano contenuto oggettivo e documentabile.
Il fattore di rilevanza è dato dal fatto che l’irreperibilità sia qualificata (oggettivamente, lo si ripete) “a monte” individuando le fattispecie in cui sorga.

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