Duplice cassa e materiali

Come noto l’art. 30 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. prevede che, in determinati casi, vi sia l’impiego di una duplice cassa, l’una di metallo e l’altra di tavole di legno massiccio e che la cassa metallica, o che racchiuda quella di legno o che sia da questa contenuta, deve essere ermeticamente chiusa mediante saldatura (…) e che le saldature debbano essere continue ed estese su tutta la periferia della zona di contatto degli elementi da saldare.
Infine (comma 4) prevede che lo spessore di lamiera della cassa metallica non debba essere inferiore a 0,660 mm se di zinco, a 1,5 mm se di piombo.
Ne consegue che i metalli, il cui impiego è previsto per la cassa metallica, siano individuati nominativamente, non senza considerare come uno dei due non sia particolarmente utilizzato, per non dire che il suo utilizzo sia nel tempo (neppure breve) venuto del tutto meno.
Il successivo art. 31 prevede altresì che il Ministero della sanità, anche su richiesta degli interessati, sentito il Consiglio superiore di sanità, possa autorizzare, per i trasporti di salma da comune a comune l’uso per le casse di materiali diversi da quelli previsti dall’art. 30, prescrivendo le caratteristiche che essi devono possedere al fine di assicurare la resistenza meccanica e l’impermeabilità del feretro.
In altre parole, quest’ultima disposizione consente, previa autorizzazione, che possa autorizzarsi l’impiego anche di materiali diversi (e, quindi, anche non metallici), per i quali si dovrebbe fare rinvio alle singole autorizzazioni.
Si sottolinea che queste autorizzazioni, concernenti l’impiego di materiali diversi dallo zinco e/o piombo sono ammesse unicamente per i trasporti di salma da comune a comune.

Tornando un po’ all’indietro, non si richiama il D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803, dal momento che presentava (artt. 28 e 29) norme simili, che trovavano, più o meno, corrispondenza negli artt. 27 e 28 R. D. 21 dicembre 1942, n. 1880, osservando, in particolare, come il secondo (art. 28) prevedesse che il Ministro per l’interno (il Ministero della sanità, oggi Salute, è stato istituito nel 1958 e le relative competenze, erano, prima della sua istituzione, assolte da un Alto Commissariato presso il Ministero dell’interno), sentito il Consiglio superiore di sanità, per i trasporti di salme da comune a comune, può autorizzare in sostituzione della cassa metallica, l’uso di casse di cemento-amianto o di altro materiale.
Qui va fatta una considerazione aggiuntiva, nel senso di considerare come, oggi, parlare di cemento-amianto esponga a valutazioni di qualificazione di “inquinamento universale”: infatti all’epoca non si avevano conoscenze precise sulle pericolosità del cemento-amianto, che di seguito hanno portato a vietarne l’uso in via generale e, forse, neppure si avevano le conoscenze, attuali, attorno al degrado nel tempo delle caratteristiche di resistenza meccanica, influenti in prospettiva anche sull’impermeabilità del feretro.
Si tratta di un materiale per cui la L. 27 marzo 1992, n. 257 ha vietato in Italia l’estrazione, l’importazione, l’esportazione, la commercializzazione e la produzione di amianto o di prodotti contenenti amianto. Dunque, perché parlarne?

In troppe occasioni, quando si affronta il tema dell’impiego di materiali (nel nostro caso, alternativi alle casse metalliche in zinco o in piombo), non viene fatta mente locale al fatto che il loro impiego non si esaurisce col completamento del trasporto e la tumulazione del feretro.
Nelle ultime fasi in cui la competenza autorizzativa era ancora ministeriale, spesso venivano chieste “dichiarazioni”, anche di autorità/soggetti esercenti i cimiteri, con orizzonti temporali biennali, cioè ben insufficienti solo che si consideri come il termine temporale “minimo” in ambito cimiteriale sia il decennio del turno ordinario di rotazione, per altro riferito alla pratica dell’inumazione e quindi non pertinenti rispetto a quella della tumulazione, generalmente sempre maggiore, spesso di molto.
Ne consegue che il tema non può sottrarsi al fatto che l’impiego dei detti materiali alternativi influenza fino alle estumulazioni, con la conseguenza che possono rivenirsi in questa sede che siano stati impiegati materiali alternativi, ormai desueti (sia permesso l’uso di questo termine), ponendo oggi problemi di trattamento, anche in termini di trattamento dei rifiuti, che un tempo non si ponevano (sotto il profilo del trattamento dei rifiuti, basterebbe citare l’art. 86, comma 2 D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803).

Ora non sappiamo se vi siano state autorizzazioni all’impiego di cemento-amianto per la duplice cassa, ma, nel caso, esso potrebbe emergere in occasione di estumulazioni da concessioni ultra50ennali (o di maggiore durata, senza escludere ascendenti concessioni perpetue, sorte fino a che erano ammissibili).
Prescindendo da questa non conoscenza, ci si limita a ricordare come sia stato riferito che, in occasioni di estumulazioni, siano state reperite casse metalliche in ferro, ma anche in ceramica, segno che, autorizzazioni o meno, in altri tempi potevano aversi situazioni non esattamente “allineate” alle norme attuali.
Ancora una volta torna la questione, spesse volte obliterata (o proprio non considerata) collegata alle durate delle sepolture avvenute col sistema della tumulazione, per cui in materia di gestione dei cimiteri se ne deve fare conto.
Cosa che vale, secondo noi, anche per le concessioni che sorgano ora, rispetto a cui il tema della durata non sempre è valutato, difettando criteri adeguati, ma anche per il fatto che non è facile immaginare effetti futuri, specie quando tale futuro si sottragga a stime adeguate.
Per altro, il tema della lunghezza delle durate e, quindi, della valutazione degli effetti ex post di lungo periodo, presente nella pratica funeraria della tumulazione, può mettere in ombra un fattore importante, cioè che l’art. 31 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. ammettere che possano essere oggetto di autorizzazione materiali alternativi unicamente per i trasporti da comune a comune, previsione che porterebbe ad escludere tale possibilità quando la tumulazione sia prevista nel medesimo comune. Potrebbe essere un freno all’innovazione tecnologica (ed ecologica)?

Ma ciò pone anche altre questioni, nel senso che questi trasporti sono quelli in cui la distanza tra i comuni sia pari o superiore a 100 km (forse, vi è ancora qualcuno che ricordi come tale distanza fosse fissata in 25 km, vigente l’art. 28, comma 11 D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803).
Ma ciò pone l’ulteriore questione delle pratiche funerarie richieste. In caso di inumazione una soluzione percorribile potrebbe essere quella che la cassa in materiali alternativi sia collocata esternamente alla cassa di legno, così da poter essere agevolmente rimossa, soluzione che potrebbe essere poco apprezzata quanto meno per ragioni estetiche (anche se non si deve dimenticare l’art. 75, comma 2 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., operazione che a propria volta può non essere apprezzata da chi la debba eseguire).
Nel caso in cui il trasporto avvenga in funzione della cremazione, potrebbe dirsi altrettanto, ma con l’esclusione della possibilità che possa trovare applicazione l’appena citato art. 75, comma 2.
Mentre, se la cassa realizzata in materiali alternativi sia posta internamente alla cassa di legno, ogni valutazione di idoneità dell’impiego di materiali alternativi richiederebbe, ai fini del rilascio di un’eventuale autorizzazione, conoscenza, e prove tecniche, adeguate (e di abbastanza lungo periodo) a valutare gli effetti in corso di cremazione, sia per quanto riguarda le funzionalità dell’impianto di cremazione in tutte le sue componenti, sia per quanto riguarda gli aspetti ambientali, in primis quelli che attengono alle emissioni in atmosfera.
Ma questi aspetti comporterebbero non solo l’autorizzazione all’impiego di materiali alternativi, ma anche che, nella documentazione che correda e segue il trasporto, se ne indichi (e magari anche con una qualche “marchiatura”, per simboli, sul feretro) la tipologia, oltre che la pratica funeraria, caso per caso richiesta, in modo da prevenire eventuali irregolarità.

In fine, va affrontato altro aspetto: quello per cui, quando il trasporto è avvenuto, il cimitero o l’impianto di cremazione viene a trovarsi nella condizione di avere ricevuto il conferimento di materiali da smaltire in modo conforme alle disposizioni che li regolino.
Ma sono questi materiali in qualche modo riconducibili alle categorie dei “rifiuti cimiteriali” o “rifiuti da attività cimiteriali”? In pratica, i gestori dei cimiteri e/o degli impianti di cremazione diventano destinatari di oneri di smaltimento di rifiuti che non hanno prodotto, ma gli sono solo conferiti da altri.
Fino a qui è stata affrontata la questione dei materiali alternativi allo zinco, quando sia necessaria la duplice cassa, mentre nulla è stato detto circa quando vi sia la sola cassa di legno.
Ciò porta a ricordare come l’art. 75, comma 3 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. preveda, per le casse destinate all’inumazione, la possibilità che possano autorizzarsi materiali (biodegradabili) alternativi al legno.
A parte il concetto di biodegradabilità, si ha presente che all’estero (in Paese di Stato membro dell’Unione europea) siano commercializzate casse composte da materiali particolari, nella fattispecie manufatti realizzati utilizzando polverizzazioni di noccioli rinsecchiti di pesca, tenuti assieme da collanti vinilici e conformato mediante pressioni.
Ora, senza entrare in aspetti che richiederebbero conoscenze tecniche (che non abbiamo), l’impiego di collanti vinilici forse non è del tutto funzionale alla pratica dell’inumazione, dubbi che si potrebbero estendere anche alla cremazione, in tal caso per le problematiche che potrebbero determinarsi in termini di effetti sulle emissioni dei fumi in atmosfera.

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Sereno Scolaro

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