“Distorsioni” dell’ambito di appartenenza alla famiglia del concessionario ai fini del diritto di sepoltura

Si attribuisce ad Albert Einstein l’uso della nota formula “E = mc2”, che in realtà aveva scritto inizialmente con la notazione: “L/V2 = m”, in “L’inerzia di un corpo dipende dal suo contenuto di energia? (27/9/1905), pubblicata in “Annalen der Physik”, notazione di seguito modificata in quella oggi nota.
In realtà esiste un opuscolo, datato 1/4/1903, pubblicato nel 1904, con prefazione di G. Schiaparelli del 16/6/1903, ad opera di una persona (laureato in geologia, ma che all’epoca svolgeva attività commerciale per un’azienda del fratello che forniva macchinari all’azienda del padre di Einstein comprendente visite, per cui la conoscenza con la famiglia è sostenibile) in cui si ritrova la formula espressa quale “E = mv2”.
Le previsioni einsteiniane sulla relatività generale (1916) furono confermate (1919) dalle osservazioni di un astrofisico nel corso di un’eclissi solare, in particolare con riferimento ai fenomeni di deformazione dello spazio-tempo. Successivamente, con la realizzazione degli interferometri (anche se il primo risale al 1887), in Italia e in USA, si è potuto rilevare tali fenomeni distorsivi, in particolare interessanti i buchi neri, cosa che porta a considerare come questi fenomeni siano particolarmente frequenti, dato che, appena realizzati, questi strumenti hanno da subito ottenuto misurazioni.

Questa premessa non appaia fuori luogo, dal momento che essa si è imposta avendo l’occasione accidentale di prendere visione di un testo di Regolamento comunale di polizia mortuaria in cui risulta che “Ai fini … del diritto di sepoltura ai sensi dell’art. 93, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. …, per famiglia del concessionario si intende quella composta dagli ascendenti e dai discendenti in linea retta e collaterali, nonché dagli affini fino al 4° grado.
Si tratta di una definizione di famiglia che, di primo acchito, potrebbe apparire immune da vizi, se non fosse che manca una figura in genere molto importante rispetto al concetto di “famiglia”, quale definizione se ne voglia dare: manca del tutto la figura del coniuge, senza neppure avere presente come l’art. 1, comma 20 L. 20 maggio 2016, n. 76 individui una figura giuridica assimilabile a quella del “coniuge” (quest’assimilazione qui neppure ci interessa, soffermandoci unicamente su quella del coniuge).
È ben vero che nell’ordinamento giuridico italiano non vi è una definizione di “famiglia” da applicare in via generale, ma vi sono numerose definizioni, ciascuna delle quali “specializzata” ad una data finalità o contesto, una delle quali è, per l’appunto, quella che si fonda sulla titolarità, espressa in termini di riserva, ad essere accolti, a tempo debito (senza fretta …) in un sepolcro familiare, la cui definizione (anzi, pre-definizione) è materia, esclusiva, del Regolamento comunale di polizia mortuaria.
Ma queste plurime possibili definizioni “specializzate” con contrastano minimamente con l’art. 29 Cost., in cui la “famiglia” (non altrimenti definita) è riconosciuta quale società naturale, fondata sul matrimonio, anche questo non definito.
Da qui la considerazione che difetti ogni riferimento al coniuge porta a pensare che, in loco le persone seguano la prassi di non contrarre matrimonio … (il ché non è particolarmente probabile).
A questo punto sorge una contraddizione o, se lo si voglia, un’incoerenza, poiché in questo testo si considerano, tra i componenti della famiglia del concessionario, anche gli affini, rapporto giuridico che per sorgere necessita (art. 78 C.C.) della figura del “coniuge”!
Come dire che le cognate e le suocere appartengono alla famiglia del concessionario, ma non i coniugi …! Forse non era questo che si voleva.
Per inciso, non è neppure la prima volta che la figura del coniuge, a questi fini ed in questo contesto, risulta assente, tanto che in alcuni casi è stato posto rimedio, con una modifichina al Regolamento comunale di polizia mortuaria, asserendo che si trattasse di mero errore materiale di scritturazione.

Dal momento che la potestà regolamentare dei comuni spetta al consiglio comunale, che in molte realtà opera, sulla base del proprio regolamento di funzionamento, attraverso un preliminare vaglio di specifiche commissioni consiliari, si ritiene che l’elaborazione dei testi (almeno in termini di “schemi”) non sia attribuibile ai componenti del consiglio comunale (e, laddove presenti, delle commissioni consiliari), quanto riferibile al personale del comune in relazione alle competenze funzionali attribuite ai diversi uffici comunali dal Regolamento di cui all’art. 48, comma 3 T.U.E.L., D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e s.m. (che costituisce il solo ed unico Regolamento comunale di competenza della giunta comunale e non del consiglio comunale).
Nel caso citato, probabilmente il testo è stato elaborato da figure “tecniche” (nel senso appena indicato delle attribuzioni degli uffici) che presumibilmente hanno una “cultura/esperienza professionale” mirata su specifici aspetti, magari non cooperando, collaborando con uffici operanti secondo altra “cultura/esperienza professionale”.
Nella fattispecie verrebbe fatto di pensare che non vi siano state coinvolgimenti con gli uffici preposti alle diverse registrazioni amministrative della popolazione, in primis con l’ufficio dello stato civile, che, non solo per il fatto di avere tra la rosa delle proprie registrazioni, anche quella della tenuta dei registri per gli atti di matrimonio (e, più recentemente, anche di atti a questi assimilabili) ben ha presente che i “coniugi” sono … presenti.
Si tratta di ipotesi che possono trovare argomento anche dal fatto che nel medesimo testo regolamentare vi sono riferimenti al R.D. 9 luglio 1939, n. 1238, ma non al D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 e s.m. (in vigore dal 30 marzo 2001), dato che il testo qui considerato, per quanto non riporti date di approvazione, non può che essere se non abbondantemente successivo al 2010, dal momento che cita norme regionali emanate nel 2010: molti elementi potrebbero portare ad ipotizzare una datazione collocabile almeno un quinquennio, circa, successivo.
Indipendentemente dalla data di approvazione, anche nell’ipotesi (improbabile) che risalga al 2010, si avrebbe che sarebbe decorso almeno un decennio (e oltre) dall’entrata in vigore del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 e s.m., per cui l’assenza di riferimenti a questo porta a valutare come sia mancato ogni coinvolgimento, in fase redazionale, dell’ufficio dello stato civile.
Se, ab absurdum questo coinvolgimento vi sia stato (ed a maggiore ragione se la fase redazionale sia stata curata da tale ufficio) non resterebbe che prendere atto, senza che sia produttivo utilizzare interferometri, che vi sia stata una “distorsione spazio-temporale” di non lieve spessore.

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Sereno Scolaro

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