Disposizione del corpo e dei tessuti post mortem a fini di studio, di formazione e di ricerca scientifica

Fino ad una certa epoca (circa mezzo millennio addietro, senza minimamente voler essere precisi sulle datazioni – anche se si registrano papiri egizi che provano attività di ricerca su questo campo), l’attività di ricerca scientifica sui corpi non veniva effettuata, in termini di sezionamento, dai medici, quanto da barbieri, per quanto sotto la guida dei medici.
R.L. Stevenson ebbe a scrivere, tra le altre opere, anche “Strange case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde” (1886), racconto di cui non tutti hanno presente, o esplicitano, il momento d’ispirazione, essendo emerso come la Facoltà di Medicina di Edimburgo, quando si trovava in carenza di corpi di persone senza familiari, specie se in condizioni di marginalità sociale, da utilizzare come “materiale didattico” per lo studio dell’anatomia, provvedeva a rivolgersi a “procacciatori”, previo pagamento, che non mancavano di “approvvigionarsi”, dapprima ricorrendo ad omicidi più o meno cruenti, fino a che alcuni, perfezionando la “tecnica”, avevano adottato una tecnica che consentiva di disporre di corpi non “danneggiati”, che venivano remunerati meglio.
L’art. 40 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. richiama l’art. 32 Testo unico delle leggi sull’istruzione superiore, R.D. 31 agosto 1933, n. 1592 (ma questo è stato recentemente abrogato; Cfr._ infra), il quale prevedeva:
Art. 32. (Art. 7, R. D.-L. 10 febbraio 1924, n. 549)
[I] Tutti i cadaveri provenienti dagli ospedali sono sottoposti al riscontro diagnostico.
[II] I cadaveri, poi, il cui trasporto non sia fatto a spese dei congiunti compresi nel gruppo famigliare fino al sesto grado o da confraternite o sodalizi che possano avere assunto impegno per trasporti funebri degli associati e quelli provenienti dagli accertamenti medico-legali (esclusi i suicidi) che non siano richiesti da congiunti compresi nel detto gruppo famigliare, sono riservati all’insegnamento ed alle indagini scientifiche.
Teniamo conto che all’epoca (sono stati appena citati gli anni 1924 e 1933) gli ospedali non erano particolarmente assimilabili a quelle che sono le strutture così denominate, ma piuttosto luoghi che costituivano ricetto, ospizio per persone sole o ampiamente emarginate, frequentemente senza legami (o, supporti) familiari, cosa che da motivo della generalizzazione della prassi del riscontro diagnostico (comma 1), mentre (comma 2) vi era una destinazione, una riserva all’insegnamento ed alle indagini scientifiche, per i corpi dei defunti provenienti dagli ospedali e, aggiunta, il cui trasporto non sia fatto a spese dei congiunti …. o da confraternite o sodalizi che possano avere assunto impegno per trasporti funebri degli associati e quelli provenienti dagli accertamenti medico-legali (esclusi i suicidi) che non siano richiesti da congiunti compresi nel detto gruppo famigliare.

Si tratta di disposizione abrogata dall’art. 10 L. 10 febbraio 2020, n. 10 “Norme in materia di disposizione del proprio corpo e dei tessuti post mortem a fini di studio, di formazione e di ricerca scientifica”, cui ha fatto seguito, in termini attuativi, il D.P.R. 10 febbraio 2023, n. 47 “Regolamento recante norme in materia di disposizione del proprio corpo e dei tessuti post mortem a fini di studio, di formazione e di ricerca scientifica.”.

Come prima cosa merita di farsi osservare come la attuale Legge individui due “oggetti”, la disposizione del (a) proprio corpo, e (b) dei tessuti post mortem con una, o più, delle finalità indicate fin dalla rubrica della legge.
Una precisazione appare utile per questi ultimi, dato che l’uso (si permetta il termine) dei tessuti ai fini anzi indicati può avere rilievo nel post mortem, mentre in vita, si tratta di materia rientrante nell’ambito dell’art. 5 C. C. [1].
Andrebbero citate nel periodo intermedio anche le disposizioni in materia di prelievo di parti del cadavere a scopo di trapianto terapeutico se il soggetto ne abbia dato autorizzazione, o, in mancanza di disposizioni dirette della persona, il prelievo è consentito qualora non vi sia opposizione da parte del coniuge o dei parenti entro il 2° grado (L. 3 aprile 1957, n. 235), così come le disposizioni della L. 29 dicembre 1993, n. 578 “Norme per l’accertamento e la certificazione di morte”, disposizione quest’ultima, cui fa rinvio l’art. 1, comma 3 della citata L. 10 febbraio 2020, n. 10 (mentre il succ. comma 4 preveda un periodo di latenza).
Per quanto riguarda il consenso a fini di studio, di formazione e di ricerca scientifica sia per la disposizione del proprio corpo sia dei tessuti post mortem esso comporta (art. 3 Legge citata) una “dichiarazione di consenso”, per altro sempre revocabile con le medesime forme, redatta nelle forme stabilite dall’art. 4, comma 6 L. 22 dicembre 2017, n. 219 “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento[2].
Appare utile ricordare come nella stessa “dichiarazione di consenso” la persone che vi dispone debba indicare una persona di sua fiducia (ed eventuale suo sostituto) alla quale incombe l’onere di comunicare l’esistenza del consenso prestato al medico necroscopo in sede di assolvimento della funzione di accertamento della morte ai sensi dell’art. 4 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.
Si tratta di previsione che, sinceramente, pare impropria (…) solo considerando che la “dichiarazione di consenso” va consegnata all’ASDL per la sua conservazione e la trasmissione telematica alla banca dati prevista dall’art. 1, comma 418 L. 27 dicembre 2017, n. 205.
Questo porta a fare cenno come vi sia stato, pur se senza esito, chi avesse proposto di utilizzare l’ANPR come sito in cui inserire una sorta di warning, costituito da un unico flag come “segnale” per possibili scelte delle persone, in vari ambiti, dalla cremazione, alla dispersione delle ceneri, alla donazione degli organi, alle DAT, fino agli atti – oggi – di cui alla L. 10 febbraio 2020, n. 10 e quanto altro, dato che, contando su 36 caratteri (lettere alfabetiche estese e cifre numeriche), le possibilità sarebbero ampie.
Non per indicare a priori questa o quella scelta (cosa che potrebbe incidere su aspetti di tutela dei dati personali, anche sensibili), ma unicamente la presenza, l’esistenza di una qualche “dichiarazione di volontà” da parte della persona defunta, in un materie costituenti diritti personalissimi. A volte, basterebbe ben poco.


[1] = Codice Civile, Art. 5 (Atti di disposizione del proprio corpo) – Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume.
[2] = L. 22 dicembre 2017, n. 219 – Art. 4 (Disposizioni anticipate di trattamento), 6° – Le DAT devono essere redatte per atto pubblico o per scrittura privata autenticata ovvero per scrittura privata consegnata personalmente dal disponente presso l’ufficio dello stato civile del comune di residenza del disponente medesimo, che provvede all’annotazione in apposito registro, ove istituito, oppure presso le strutture sanitarie, qualora ricorrano i presupposti di cui al comma 7.
Sono esenti dall’obbligo di registrazione, dall’imposta di bollo e da qualsiasi altro tributo, imposta, diritto e tassa.
Nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, le DAT possono essere espresse attraverso videoregistrazione o dispositivi che consentano alla persona con disabilità di comunicare.
Con le medesime forme esse sono rinnovabili, modificabili e revocabili in ogni momento.
Nei casi in cui ragioni di emergenza e urgenza impedissero di procedere alla revoca delle DAT con le forme previste dai periodi precedenti, queste possono essere revocate con dichiarazione verbale raccolta o videoregistrata da un medico, con l’assistenza di due testimoni.

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Sereno Scolaro

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