È cosa arci nota come la L. 30 marzo 2001, n. 130 abbia sostanzialmente due oggetti:
(a) la cremazione e
(b) la dispersione delle ceneri,
come esplicitato dall’art. 1, disposizione che assume a proprio fondamento il rispetto della volontà del defunto.
Quest’ultima accentuazione porta a ribadire un elemento importante, cioè la questione della volontà del defunto, che, nel corso della pandemia da Covid-19, risulta essere stata fortemente adulterata, anche con incoerenze rispetto all’art. 7 stessa L. 30 marzo 2001, n. 130, avendosi notizie che in molte realtà, anche ospedaliere e/o di strutture sanitarie od assimilabili, siano state fornite ai familiari indicazione per cui le persone decedute per malattia infettiva-diffusiva “dovevano” essere cremate, illazione diffusasi a livello di massa, anche per effetto dei mass-media.
In realtà, l’accesso alla pratica funeraria della cremazione è (leggi: dovrebbe essere, sempre) una scelta personale, libera e cosciente: non si ignora come la stessa F.I.C. abbia prodotto e diffuso un video intitolato: “Sia fatta la mia volontà”, proprio per porre l’accento sulla volontà, che sta al centro di tutta la legge.
Con l’art. 2 la legge ha modificato l’art. 411 C.P., aggiungendovi due commi (il III ed il IV), laddove il III prevede che non costituisca reato la dispersione delle ceneri di cadavere autorizzata dall’ufficiale dello stato civile sulla base di espressa volontà del defunto, mentre il IV riconferma la fattispecie di reato allorquando la dispersione delle ceneri non sia preventivamente autorizzata dall’ufficiale dello stato civile, o sia effettuata con modalità diverse rispetto a quanto indicato dal defunto.
Ora, in questa seconda parte riporta l’elemento della volontà del defunto, qui assumendo rilevanza le indicazioni date dal defunto.
Una nota va fatta sul III, dal momento che esso individua per l’autorizzazione alla dispersione delle ceneri una competenza funzionale, ma nulla dice circa la competenza territoriale, aspetto non certo secondario (e che ha visto, e vede, contenziosi).
Torniamo alle condizioni (o, pre-condizioni) per il rilascio dell’autorizzazione alla dispersione delle ceneri, in particolare richiamando l’attenzione sulla specificazione sulla base di espressa volontà del defunto, che, sotto il profilo interpretativo, porta anche a dover prendere in considerazione le forme con cui questa espressa volontà debba, o possa, essere provata.
Le lettrici ed i lettori conoscono la pronuncia del TAR Sardegna, Sez. II, 5 febbraio 2014, n. 100, emessa in una situazione in cui un comune ha ritenuto insufficiente, ai fini della prova della volontà dell’interessato alla dispersione delle proprie ceneri, le dichiarazioni dei suoi prossimi congiunti, ritenendo necessaria una dichiarazione scritta e firmata dello stesso defunto.
Il TAR ha ritenuto: “… Pertanto tale disposizione nulla precisa in ordine alle modalità formali di espressione e di dimostrazione della scelta del de cuius in ordine alla dispersione delle proprie ceneri, dal che consegue -se non altro in base ai fondamentali principi civilistici di “libertà di forma negoziale” e di “salvaguardia della volontà del de cuius”- che deve considerarsi valida anche una volontà verbalmente espressa ai propri familiari e da questi “attestata” con propria dichiarazione conforme, come nel caso di specie.
Nello stesso senso depone, inoltre, la sopra descritta disciplina sulla cremazione, la quale consente espressamente che la relativa scelta sia comunicata al comune dai familiari dell’interessato, mentre non si vede per quale ragione una disciplina più restrittiva dovrebbe applicarsi alla dispersione delle ceneri.
Discorso non dissimile vale per la disciplina recata dalla Regione Sardegna n. 4/2012, la quale, all’art. 4, fa rinvio ai principi previsti dalla normativa statale (comma 1) e poi addirittura collega il rilascio dell’autorizzazione (anche) alla dispersione delle ceneri “…alla manifestazione di volontà espressa dal defunto o dai suoi familiari…” (comma 2), in tal modo ulteriormente confermando la ricostruzione fin qui esposta.“
Vi è qui la scelta di riprodurre le considerazioni fatte dal TAR, perché esse sono, o possono essere, utili per compiere uno sforzo interpretativo un po’ più articolato (anche se proponga soluzioni differenti).
Infatti, se l’espressa volontà del defunto costituisca la condizione sine qua non ai fini del rilascio dell’autorizzazione alla dispersione delle ceneri (diversa e del tutto distinta dall’autorizzazione alla cremazione di cadavere, per la quale accanto alla determinazione della competenza funzionale vi è anche esplicita chiarezza sulla competenza territoriale), si potrebbe considerare che la volontà del defunto non si sottragga dai “mezzi di prova” che la stessa legge individua ai fini del rilascio della autorizzazione alla cremazione (richiamando quel “nel rispetto della volontà del defunto” enunciato all’art. 1).
Se si abbia presente l’art. 3, comma 1, lett. b) della legge, ben si coglie come l’autorizzazione alla cremazione di cadavere, sia espressa dal defunto o dai suoi familiari, richieda specifiche “modalità” (forse, si dovrebbe dire “forme di prova” ….), le prime due riferite al defunto (disposizione testamentaria, iscrizione ad associazioni riconosciute che abbiano tra i propri fini statutari quello della cremazione dei cadaveri dei propri associati), mentre quando difetti una di queste (e, per inciso, l’espressione “… o di qualsiasi altra espressione di volontà da parte del defunto … “ potrebbe essere interpretata come riferita a quelle diverse dalla forma testamentaria, cosa che porta direttamente all’iscrizione alle predette associazioni riconosciute) la volontà è espressa dai “familiari” (trascuriamo qui le indicazioni circa quali siano le persone legittimate).
Anche su questo punto, non si può evitare di ricordare come vi siano state interpretazioni dubitative sulla natura, anche di contenuto sostanziale, della manifestazione di volontà da parte dei familiari, sostenendosi da parte di alcuni che costoro esercitassero una legittimazione propria, mentre da parte di altri che manifestassero, che rappresentassero quella che sarebbe stata la volontà del defunto, questioni su cui è intervenuto il Ministero dell’interno con la circolare telegrafica n. 37 del 1° settembre 2004, nella quale si è rappresentato che “sentito il Dipartimento per la Funzione Pubblica”, questi avrebbe espresso l’avviso che la “dichiarazione” da rendersi da parte dei familiari aveva la natura di “rappresentare” la volontà del defunto e non quella di esplicitare la volontà propria dei “familiari” legittimati. Per quanto questo indirizzo non sia convincente, tuttavia non può venire negletto.
Vi è un argomento che si può portare a sostegno di questa impostazione, che non ci pare secondario e che è individuabile nell’art. 411, comma 4 C.P., cioè il fatto che persiste la qualificazione di norma penale nei casi in cui, tra l’altro, al dispersione delle ceneri sia sia effettuata con modalità diverse rispetto a quanto indicato dal defunto.
Ora, in presenza di questa rilevanza penale, parrebbe abbastanza chiaro che le prove che escludano la sussistenza di una fattispecie di tal fatta abbia forme (o, modalità) adeguate, anche a tutela della posizione soggettiva delle persone (“familiari”) che, eventualmente “dichiarino” …. (si potrebbe anche considerare la tutela dell’ufficiale dello stato civile, ma non se ne fa cenno in relazione alla professionalità che tale figura riveste).
Questa esigenza di acquisire forme di prova adeguate a dare effettiva prova della volontà della persona defunta alla dispersione delle ceneri non si atteggia a mero formalismo, ma rivesta carattere sostanziale.
Forse è il caso di approfondire, con argomenti e senza lasciarsi condizionare da prassi variamente sorte, avendo – sempre – presente quel rispetto della volontà del defunto che costituisce il nocciolo della legge.