Dispersione delle ceneri: distinzione tra competenza funzionale, oppure territoriale – 2/2

In materia di rilascio dell’autorizzazione alla dispersione delle ceneri vi è stata, per quanto noto, un’unica pronuncia intervenuta in materia di competenza – territoriale – dell’Ufficiale dello stato civile relativamente al procedimento di rilascio dell’autorizzazione alla dispersione delle ceneri: si è trattato della pronuncia del T.A.R. Toscana, Sez. 2^, 4 dicembre 2009, n. 2583, la quale ha preso in considerazione anche l’argomentazione, introdotta nel corso del giudizio, circa il principio generale per cui l’autorizzazione allo svolgimento di un’attività soggetta a titolo autorizzatorio spetta, di regola, all’Amministrazione competente del luogo in cui la suddetta attività debba essere svolta”, rilevando, tra l’altro: “… Voler assegnare al Comune di (decesso) la competenza al rilascio dell’autorizzazione alla dispersione, significherebbe ammettere un esercizio di poteri amministrativi che producono effetti al di fuori del territorio dell’Ente, in difetto di una previsione espressa dell’ordinamento generale legittimante una simile produzione”.
Ricorrendo, alla fine, al criterio dell’interpretazione analogica, la sentenza giunge alle proprie conclusioni argomentando la predominanza, nel procedimento di dispersione delle ceneri, dei profili igienico-sanitari, la quale suggerisce univocamente che l’adozione della relativa autorizzazione non può spettare ad altri che all’Ufficiale dello Stato Civile del Comune nel cui territorio la dispersione stessa deve essere effettuata, … in quanto più idoneo a soddisfare l’interesse pubblico specifico sotteso al rilascio dell’autorizzazione e, contemporaneamente, affermando che la “questione non è, pertanto, quella – come pretende la ricorrente…. – nei nei limiti di efficacia degli atti amministrativi, poiché, come ricorda il medesimo illustre Autore invocato dalla ricorrente, tali limiti sono segnati, anzitutto, dalla sfera d’azione riconosciuta dall’ordinamento ad ogni categoria di atti …”.
Le motivazioni di un tale approccio non convincono, dal momento che le ceneri sono, in quanto tali, non rilevanti sotto i profili igienico-sanitari, come risulta, per inciso, anche all’art. 3, comma 1, lett. f) L. 30 marzo 2001, n. 130, disposizione che discende dalla presa d’atto dello “stato” in cui – oggettivamente – si trovano le ceneri derivanti dalla cremazione e debitamente raccolte in apposita urna (quanto meno per il loro trasporto dall’impianto di cremazione al sito di “destinazione” finale).
Semmai problematiche potrebbero esservi (ma si ritiene non riconducibili ad aspetti igienico-sanitari, quanto piuttosto “ambientalisti”) quando un medesimo sito divenga destinatario di plurime dispersioni di ceneri, generando un qualche “sovraccarico” su di un’area presuntivamente ristretta (cosa che potrebbe aversi – e.g. – quando la dispersione avvenga … “in aree a ciò appositamente destinate all’interno dei cimiteri” (citato art. 3, comma 1, lett. c) L. 30 marzo 2001, n. 130), questione su cui non sembrano esservi grandi approfondimenti, salvo che alcuni studi, risalenti ad oltre una trentina di anni addietro effettuati, per quanto si ricordi, in area olandese).

Tuttavia, la questione non sorge unicamente su quale qualificazione si dia o possa darsi circa la natura del c.d. “pubblico interesse” tutelato, cioè se prevalgano gli aspetti della tutela della salute (implicitamente richiamati quando si parli di rilevanza di elementi igienico-sanitari), oppure aspetti legati alla competenza territoriale dell’autorità preposta, per legge, al rilascio dell’autorizzazione alla dispersione delle ceneri e agli effetti “territoriali” di questa autorizzazione amministrativa.
Per rendere maggiormente palese la questione, si ricorre ad alcuni esempi, tratti da situazioni reali (e non certo elaborate accademicamente, per mere “ragioni di scuola”), prendendo lo spunto da più contesti, a volte non considerati: il più immediato si collega, ancora una volta, alla già richiamata lett. c) del predetto art. 3, in particolare nella parte in cui vieta la dispersione delle ceneri nei centri abitati, come definiti dall’articolo 3, comma 1, numero 8), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), dato che solo in sede locale l’Ufficiale dello stato civile si trova nella condizione di poter disporre degli elementi conoscitivi circa il fatto se un dato sito si trovi entro o fuori dal centro abitato.
Considerazioni del tutto analoghe possono farsi nel caso sia prevista dispersione in mare, nei laghi e nei fiumi. Ma vi sono anche realtà che, apparentemente, non rientrano in queste fattispecie: si consideri in cui sia prevista la dispersione in aree private deve avvenire all’aperto e con il consenso dei proprietari, e non può comunque dare luogo ad attività aventi fini di lucro, ponendo l’accento sulla parte che recita: “e con il consenso dei proprietari”.
Nelle diverse realtà ci possono essere santuari, spesso corredati da edifici di varia destinazione, e ancora più spesso da aree naturali (prati, boschi, ecc.), che, magari per le situazioni dei luoghi sono nella proprietà dei soggetti ecclesiastici (quali siano nelle singole realtà secondo lo specifico ordinamento) cui pertengono i santuari, dove le autorità canoniche titolari (e, quindi: “proprietarie”) ritengano, avendo presente il n. 7) dell’”Istruzione “Ad resurgendum cum Christo circa la sepoltura dei defunti e la conservazione delle ceneri in caso di cremazione”, emanata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede il 15 agosto 2016, abbiano, più o meno formalmente, informato il comune di non prestare un tale “consenso”.
È stata usata la formula: “più o meno formalmente” per il fatto che questo “consenso” costituisce una pre-condizione per l’autorizzazione alla dispersione delle ceneri in un dato “luogo” (sia che lo si veda come “in natura”, sia come “aree private”) che è richiesta in positivo, per cui non potrebbe esservi una sorta di “silenzio-assenso”, dal momento che il “consenso” è, pur sempre, un atto volontario, accettato dai “proprietari”.
Per inciso, non si può sottovalutare neppure il fatto che le persone che, avendone titolo, optano perché l’esecuzione della dispersione delle ceneri in un dato sito, numerose volte non tengono conto, od ignorano, il sopra citato orientamento della anzi richiamata “Istruzione” del 15 agosto 2016, talora (non si può escludere) ritenendo maggiormente appetibile, sotto il profilo di una certa quale “sacralità”, che la dispersione avvenga in prossimità di un qualche santuario.
Non si ignora, infatti, che a volte le persone propendono per una “vicinanza” a luoghi carichi di simbolicità, specie quando la percezione totale sia “disconnessa” (o che le ignora) dalle “Istruzioni” ecclesiastiche, non sempre note ai fedeli.
Si tratta di situazioni che sono conoscibili in sede locale, ma (salvo ricorsi a soluzioni costituenti espedienti, come una qualche eventuale pubblicazione on-line su una qualche pagina, agevolmente accessibile, del sito web istituzionale del comune) non sono generalmente accessibili da parte di Ufficiali dello stato civile che svolgano la propria funzione in altro comune, magari anche sito in altra regione (o, non lo si dimentichi, di persone, di cittadinanza italiana, decedute sia che siano cremate in Italia o che provengano raccolti in urna a seguito di cremazione avvenuta all’estero).
Come si vede da questi esempi, la questione della competenza territoriale è tutt’altro che un aspetto secondario o di c.d. “lana caprina” (ma il pregiato cachemire è una lana prodotta con pelo di capre).
Del resto, il tema della competenza territoriale, quale distinta dalla competenza funzionale, è spesso largamente presente e non obliterabile.

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Sereno Scolaro

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